Aumentano le donne al potere eppure regrediscono i diritti delle donne. “Un paradosso solo per chi immagina che una donna al potere sia per ciò stesso una buona notizia per le donne. Se Giorgia Meloni proclama in piazza di essere “donna, madre e italiana”, e sviluppa nel trittico Dio, Patria e Famiglia il proprio impegno civile, beh siamo oltre una cattiva notizia. E mi fa specie che non si capisca subito.” così rispondeva Eva Cantarella in una intervista di dicembre 2024. Von der Leyen a Bruxelles, Meloni e Schlein a Roma, Le Pen a Parigi, Wagenknecht a Berlino per citarne solo alcune, dimostrano un potere rosa che si allarga e si consolida.
Eppure, la condizione femminile nel suo complesso subisce ancora le più gravi forme di sfruttamento, violenza, povertà, marginalizzazione culturale come osserva Giorgia Serughetti nel suo libro “Potere di altro genere“. Sotto attacco non solo i diritti conquistati da decenni di lotte femministe, ma a rischio sono i passi in avanti tuttora da compiere per concretizzare un miglioramento della vita per le donne.
Basti pensare alle posizioni sul tema della guerra, dei diritti riproduttivi, di quello che sta succedendo in USA, con le politiche di Trump in materia di migranti e diritti. Intimidazione e silenziamento del dissenso contraddistinguono un disegno autoritario, a cui anche donne alla corte degli oligarchi partecipano.
Non è assolutamente sufficiente che sia una donna a salire in politica, qualunque sia la sua storia, la sua visione politica, il suo rapporto con il femminismo, il suo modello di gestione del potere, la sua maturità politica. Fare politica significa mettersi a disposizione con spirito di servizio e mettere davanti il bene collettivo. Non è vero che basta professarsi dalla parte delle donne, quando poi alla prima occasione si cerca di denigrare o sminuire una compagna. Non è vero che le donne siano più empatiche degli uomini, non se per loro viene prima il proprio tornaconto. Riconoscere e riconoscersi l’una con l’altra dovrebbe essere la regola, ma non sempre è così.
“La tesi che attraversa le pagine del libro è duplice. Da un lato, il femminismo politico. se non vuole essere ridotto a una serie di parole chiave buone per ogni uso e abuso, deve collocarsi con decisione dalla parte del cambiamento, della lotta per un ordine sociale giusto. Dall’altro lato, le forze politiche che intendono combattere le disuguaglianze e avanzare progetti di giustizia sociale devono porre le istanze del femminismo al centro della propria agenda.
La battaglia delle donne può diventare strumento di liberazione per tutti coloro che si trovano ai gradini più bassi della scala sociale: per questo sono centrali le questioni del reddito, della divisione sessuale del lavoro, del razzismo, della violenza istituzionale sulle persone migranti, ma anche sulle donne, della cancellazione culturale e giuridica delle sessualità non conformi.
Il femminismo è una forza trasformativa radicale, la ricerca di una buona vita per tutte, non per poche, che può avvenire solo attraverso la costruzione e l’attivazione di una nuova dimensione del potere, di un altro genere di potere, un potere di altro genere”.
Significa porsi in un altrove in cui non ha spazio l’esercizio dispotico e violento nelle parole e nei fatti. Significa non aderire mai più a modelli machisti di annientamento altrui. Sospendere i giudizi frutto di pregiudizi, scendere dalla piramide maschile di potere, avvicinarsi alla realtà e alle motivazioni di ciascuna. E’ molto più facile certo imbracciare le stesse armi di distruzione maschile per farsi largo. Io non credo che sia un caso se molte donne scelgono di stare dalla parte del patriarca e non ci trovino nulla di male, anzi.
Si può parlare di femminilizzazione della politica, ma non di una vera politica femminista in alcune parti politiche. C’è sicuramente un tentativo di appropriarsi maldestramente dei temi che concernono la vita delle donne, ma è uno scimmiottare che mostra subito le corde logore e di scarsa qualità che tengono in piedi il tendone da circo. Personalmente non riesco ancora oggi ad accorgermi per tempo di queste tipologie di soggetti femminili. Ci casco irrimediabilmente ogni volta. Così come ci si accorge sempre con notevole ritardo delle difficoltà delle donne, solo quando vi si inciampa a propria volta.
Citando una osservazione di Lea Melandri “Un duplicato dell’uomo”, come scriveva già all’inizio del 900 Sibilla Aleramo. Una prospettiva diversa è quella che è venuta con quei “soggetti imprevisti” che sono state le femministe degli anni 70.” Ma se non avviene la giusta trasmissione e riconoscimento delle nostre sorelle maggiori, il rischio di avere pericolose retrocessioni nei diritti e nella quotidianità è molto alto.
Così non ci sorprende che secondo l’ultimo bilancio di genere dello Stato, riferito al 2023, evidenzia che solo lo 0,42% della spesa pubblica statale riguarda misure per ridurre le disuguaglianze di genere. Nel primo anno di governo Meloni è aumentata solo dello 0,01%. L’83% del bilancio è considerato neutro rispetto al genere. Non appare una novità, la invisibilizzazione delle donne.
Cosa fare quindi di fronte a donne che hanno abbracciato la formula di mascolinità egemonica (Raewyn Connell) e si trovano a rappresentare la cittadinanza? Quanto possiamo contare su questo modello di far politica se vogliamo fare dei passi in avanti?
A questi problemi se ne aggiungono altri tipici di infrastrutture maschiliste.
“Nel campo di tensione tra antichi retaggi e trasformazioni nel diritto si determina il fenomeno per cui le donne, dichiarate pari sulla carta, continuano a subire gli effetti delle disuguaglianze in tutti i campi: dal lavoro alla famiglia, dalla politica alla cultura. Era vero alla metà degli anni sessanta, quando si sviluppò la seconda ondata del femminismo, ed è vero oggi, quando l’aumento di partecipazione femminile alla vita sociale e politica si scontra con la durezza di codici e norme organizzative.
Si pensi all’espulsione delle donne dal mercato del lavoro a causa della diseguale ripartizione dei carichi di cura tra i generi. Ma anche alla difficoltà di conciliare i tempi della vita personale con quelli della vita politica attiva. I casi di burnout di leader politiche, che abbandonano le loro posizioni per l’impossibilità di far coesistere le due dimensioni, sono la testimonianza più significativa della resistenza di forme istituzionali e grammatiche del potere ancora modellate al maschile, sul soggetto legittimato a esercitare il privilegio tanto nella sfera politica quanto in quella domestica.
Forme e grammatiche che sono in evidente conflitto con la preoccupazione per la cura di sé e del complesso delle relazioni a cui si intende dare valore”.
Ma tutto questo non ci fermerà.
