Dopo averne parlato in questo articolo, abbiamo voluto approfondire l’argomento, entrando negli aspetti non solo giuridici ma altresì umani ed etici della legge in fieri sul cognome dei figli. Ci ha aiutato a capire meglio la materia il dialogo con Iole Natoli, giornalista pubblicista e blogger, autrice del primo testo in Italia sul Doppio Cognome (1979) e della prima causa civile (1980) per il cognome materno ai figli, che si è dimostrata disponibile a ripercorrere 46 anni di un’attività, mirata a incidere sulla realtà ancora sostanzialmente refrattaria al doppio cognome, cioè alla presenza del cognome di entrambi i genitori in quello del figlio. Il personale è politico, questo il pensiero guida che Natoli ha condiviso con il movimento femminista e che è stato base e ragione per una lotta lunga una vita, condotta attraverso Petizioni formulate mediante possibili articoli di legge e Lettere aperte, inviate alle Commissioni Giustizia e a diversi parlamentari nelle varie legislature.
Per obiettivo non solo un riconoscimento formale, ma una modifica che riformasse nel profondo la realtà, col rendere visibile e finalmente innegabile, nell’interezza della sua portata umana, la figura materna. Strumento della riforma sociale il colpo di grazia, assestato mediante la presenza materna nel cognome, alle invisibilizzazioni innaturali, instaurate dalla strategia patriarcale al fine di negare la personalità e i diritti di ogni donna e di spezzarne i legami con le generazioni successive.
Un’esperienza personale, la nascita di due figlie, che s’intreccia con la Storia determinando la volontà ferrea di non fermarsi, per dare piena legittimità al cognome materno. La presenza simbolica del materno mediante il cognome, atta a innescare una nuova fase storica e culturale, non poteva essere per lei frutto dell’iter burocratico previsto per una “concessione”, che Natoli rifiutò, indignata, dopo la nascita della sua prima figlia; avrebbe dovuto, al contrario, sancire la normalità della non soppressione del legame materno dall’identità giuridica di figlie e figli.
«A seguito del ricorso di una coppia, avviato a Bolzano» – scrive in un saggio del 2024 pubblicato sul n.2 di MicroMega dal titolo “Liberiamoci del patriarcato” – «la sentenza della Consulta 131 del 31 maggio 2022 ha stabilito che l’assegnazione in automatico del solo cognome paterno è illegittima ab origine, perché in contrasto con l’impianto antidiscriminatorio della nostra Carta costituzionale, nonché di taluni trattati internazionali da lunghissimo tempo sottoscritti. Come aveva già fatto in precedenza, la Corte ha esplicitamente stigmatizzato il retaggio patriarcale rintracciabile nella patrilinearità obbligatoria. In quest’ultima occasione, però, ha eliminato ogni moratoria possibile, istituendo quale regola base l’attribuzione alla prole del cognome di entrambi i genitori, salvo scelta diversa espressa concordemente dagli stessi».
Allora, perché non parlarne direttamente con Iole Natoli?
Quali sono gli aspetti che una legge deve disciplinare per risolvere le attuali difficoltà in materia di scelta dei cognomi alla nascita?
Prima ancora di parlare di scelta io mi soffermerei sul termine attribuzione. È evidente che l’attribuzione del prenome e del cognome, elementi che formano il nome, costituisce un diritto inalienabile di chi viene al mondo e necessita di essere pubblicamente identificato come individuo. Ciò di cui la legge in gestazione in Parlamento deve occuparsi è stabilire come vada gestita l’attribuzione del cognome, nel preminente interesse della prole e nel rispetto delle specificità genitoriali.
Ha avuto modo di visionare le proposte di legge attualmente incardinate al Senato?
Ho seguito tutte le proposte succedutesi negli anni, dal 1979 a oggi. Sono sempre stata al corrente dei testi e delle audizioni che ci sono state presso le Commissioni Giustizia delle due Camere, affidatarie del tema. Ne ho regolarmente scritto sul mio blog sul Cognome materno, analizzando le varie implicazioni.
Benché esistano Ddl anche alla Camera dei Deputati, in questa legislatura è stato il Senato ad avviare concretamente i lavori per una nuova legge. Ci sono state già molte audizioni, nel corso delle quali sono venute alla luce proposte diverse per superare quelle difficoltà che la sentenza 131/2022 della Corte costituzionale ha affidato al lavoro del Legislatore, non avendo la veste istituzionale per risolverle in proprio. La Corte infatti esamina, su richiesta specifica, la costituzionalità di questa o quella norma, ne conferma la validità se la riscontra, oppure ne pronuncia l’illegittimità cui consegue l’inevitabile decadenza. È quel che è accaduto col cognome patrilineare obbligatorio.
Al fine di garantire ai figli la formazione di un’identità personale completa e di eliminare altresì la discriminazione incostituzionale esercitata dalla normativa ai danni della donna, la Corte ha individuato una regola – suppletiva dell’intervento del Legislatore già richiesto in precedenti sentenze, senza esito alcuno – nell’attribuzione alla prole del cognome di entrambi i genitori. La decisione 131/2022 ha così dato luogo al cosiddetto doppio cognome, composto cioè da due elementi distinti che collegano la figlia o il figlio con la madre e col padre, pur mantenendo la possibilità residuale del cognome singolo di uno dei due, per scelta consapevole e concorde di entrambi i genitori.
Cosa ne pensa della proposta dell’ex ministro Dario Franceschini?
Mi è tornato immediatamente alla mente il vespaio suscitato nel 1996 dalla proposta dell’on. Giuliano Pisapia, che ravvisava nel solo cognome della madre la soluzione più naturale ed equa del problema. Oggi la situazione è diversa, non solo perché c’è stato un maggiore risveglio delle coscienze femminili e di chi le interpreta e rappresenta in Parlamento, ma soprattutto perché abbiamo già una sentenza della Consulta che non sarebbe facile bypassare proponendo una soluzione analoga a quella.
L’iniziativa del sen. Franceschini mi sembra sia una mossa tattica per neutralizzare le opposizioni al doppio cognome, sistematicamente risorgenti. Fate le pulci a tutte le soluzioni possibili in tema di divergenze sull’ordine dei due cognomi? Non sapete come risolvere, se con i sorteggi (male minore) oppure con gli ordini alfabetici in sequenze abituali o invertite (pallino stabile della senatrice Bongiorno)?
Vi e ci angosciate perché verrebbe interrotta la rintracciabilità automatica dei cugini per parte paterna (chiodo fisso del senatore Rampelli), benché dell’invisibilità totale del legame tra cugini per parte materna non vi sia mai importato un bel nulla? E allora facciamo un bagno di realtà. I figli li mette al mondo un genitore soltanto, anzi la genitrice, la madre e non il padre. Che i figli prendano solo il cognome di lei e la si finisca con i vari cavilli capziosi, utili solamente a mascherare quelle verità di natura che i maschi non sono mai riusciti a digerire. Questo, secondo me, il sottotesto.
Credo che il termine “risarcimento”, usato da Franceschini, vada letto nel quadro interpretativo delineato. Con un significato diverso non avrebbe, a parer mio, molto senso. Nessuna norma successiva risarcisce un soggetto per un danno che gli è stato fatto in precedenza e che si è protratto nel tempo. Nel caso specifico, nessuna donna cui sia stato negato questo diritto si sentirebbe risarcita da un ribaltamento di quelle “regole“ che negli anni passati, direi per troppi secoli, l’hanno “ridotta a cosa”, fucina di perpetuazione di una genealogia tutta al maschile. Questo vale anche per chi ha lottato per il cambiamento, ritenendolo necessario per il bene dell’intera società. Del mutamento sicuramente gioisce ma quanto a un “risarcimento” inteso in senso letterale… se ne ride.
L’Italia è pronta per questo passaggio?
L’Italia d e v e diventare pronta per il passaggio non necessariamente alla riforma Franceschini ma a un doppio cognome in modalità semplificata.
Culturalmente e praticamente cosa cambia con il doppio cognome? Per il tramonto del patriarcato abbiamo bisogno anche di atti simbolici?
Non è vero che il cognome singolo, materno o paterno, sia l’unica soluzione per semplificare le regole. Io stessa in alcune mie petizioni relative al doppio cognome avevo indicato l’opportunità di assegnare al cognome materno la prima posizione, eventualmente modificabile per accordo consensuale dei genitori, debitamente comunicato all’Ufficiale di Stato civile. Questo risolverebbe t u t t e le difficoltà pratiche sul disaccordo e presenterebbe il vantaggio di scardinare la sorgente stessa della sottomissione femminile pretesa e in vari modi attuata nei secoli, ideologia che informa di sé alcuni fenomeni asociali tra cui il femminicidio.
Del cognome materno in prima posizione per legge io ho scritto analiticamente più volte e in un’audizione di questa legislatura ne ha trattato dal punto di vista giuridico l’avvocata Antonella Anselmo, da me successivamente intervistata.
Adottare questa soluzione non configurerebbe nessuna discriminazione, che esiste solo quando una diversità di trattamento è applicata a condizioni uguali Di uguale nella generazione della prole c’è assai poco. Grosso modo, si può ravvisare uguaglianza e conseguente parità genitoriale solo considerando nel suo insieme il patrimonio genetico trasmesso. Nell’affermare questo si tralascia però una specificità femminile, quale la trasmissione del DNA mitocondriale. I mitocondri, centraline energetiche delle cellule la cui compromissione è alla base di diverse patologie che mettono a repentaglio la vita, costituiscono dunque una dotazione essenziale, ricevuta solo per via materna. Malgrado ciò, possiamo essere disposte a dichiarare, per compiacenza benevola, che sul piano genetico è ravvisabile una parità effettiva nel contributo genitoriale.
Poi tutto cambia. Non soltanto l’embrione si sviluppa in un unico corpo, il materno e non il paterno, ma con quel corpo instaura per nove mesi relazioni di scambio cellulare bidirezionale, conosciuto come Microchimerismo Materno-Fetale. È con queste caratteristiche biologiche che il nascituro arriva al momento della nascita. Ed è al momento della nascita che per legge si attribuisce il cognome, di cui nel nostro sistema giuridico il figlio diverrà titolare.
E allora perché la protervia di un taglio simbolico obbligato, con la soppressione o la messa all’angolo del cognome materno, se non per un misfatto ideologico che continua ad avvelenare il sociale?
È attraverso i simboli che un’ideologia incide nel bene o nel male sulla struttura di una società. Liberiamoci una volta per tutte della malattia patriarcale. Non c’è nessun bisogno pratico di sorteggi, per una corretta legge sul cognome, e men che mai di ordini alfabetici prevaricatori, che conferiscono un potere non contrattabile al membro della coppia il cui cognome precede quello dell’altro nell’ordine alfabetico, per semplice capriccio dello Stato. Basta assegnare in automatico al cognome della madre la prima posizione nel doppio, in ragione di ciò che è stato detto e che anni addietro ho denominato “prossimità neonatale”, ferma restando la possibilità per i genitori di concordare e comunicare all’Ufficiale di stato civile una sequenza opposta a quella stabilita dalla regola.
Nessuna limitazione abusiva dei diritti (non si sta proponendo di escludere dall’identità dei figli quella dei padri), nessun rompicapo amministrativo da gestire, nessuna restrizione che impedisca ai figli di scegliere quale dei due cognomi ricevuti attribuire un giorno alla propria prole. Tutto va a posto “naturalmente” se si accetta di rendere trasparente la realtà.