Regia di Guido Chiesa
Prodotto da Iginio Straffi e Alessandro Usai
Con Micaela Ramazzotti, Edoardo Leo, Gloria Harvey, Andrea Pisani, Anna Bonaiuto
Al cinema dal 17 aprile
Bruno è un quarantenne romano che ha un lavoro nella finanza, una figlia adolescente, Emma, e
una relazione tiepida. È un padre single, perché la mamma di Emma, Terry, ha seri problemi
psichici. “Sente le voci”, in sintesi. Ha sbalzi di umore e comportamenti spesso sopra (molto sopra)
le righe. Perciò si trova da anni in una struttura protetta.
Finché arriva il giorno in cui Terry sta meglio al punto di poter ambire al ritorno a una vita normale.
Una vita fuori dalla struttura. Ma per compiere questo grande passo, ne serve uno intermedio: un
mese a casa del suo ex, Bruno, e della loro figlia Emma.
All’inizio Bruno dice no. Poi Emma lo convince. È l’inizio di una convivenza difficile, dove si
scontrano due modi di vivere, essere, pensare. Sognare, soprattutto.
Terry sogna ancora un mondo in cui essere se stessa, pur con le sue stramberie e la sua (spesso
imbarazzante) sincerità. Bruno ai suoi sogni (quello del calcio, per esempio) sembra aver
rinunciato per sempre, in favore di una vita più ordinaria e “facile”.
Ma nessuno dei due, alla fine, sta bene. Non sta bene lei che butta giù i muri a martellate (e i
vicini, dall’altra parte, certo non gradiscono). E non sta bene lui che nel frigo ha un calendario
aggiornato della data di scadenza dei cibi.
Si avvicineranno fino a ritrovarsi (forse) solo quando saranno capaci di sospendere il giudizio, far
scattare l’empatia e mettersi ognuno nei panni dell’altro/a. «Un dialogo, e forse una relazione, è
possibile solo se si vede nell’altro un’opportunità di cambiamento e crescita. E la diversità ci può
aiutare a ritrovare o a scoprire parti di noi stessi che abbiamo sepolto sotto il peso delle
responsabilità e dei doveri» spiega il regista Guido Chiesa.
Commedia godibile ma non banale. Edoardo Leo, finalmente, in un ruolo non suo. Micaela
Ramazzotti, invece, in un ruolo in cui l’abbiamo vista fin troppo. Ma entrambi, con il contorno di
un ottimo cast, funzionano. Si potrebbe obiettare che la malattia mentale è presentata con
un’eccessiva superficialità, ma non è anche questo uno dei compiti del cinema e cioè rendere più
digeribili anche le realtà indigesta?