Dal Veneto al mondo. La vita di Cristina Baldan e’ cambiata in modo sostanziale, ”grazie” ad un matrimonio. La sua permanenza in Arabia Sudita le ha fatto conoscerere un mondo diverso da quello descritto dalla stampa occidentale, dove la donna appartiene al marito.
Cristina Baldan, trentottenne veneta, dopo i primi trent’anni nel vicentino con una laurea in Economia e Commercio ed una promettente carriera nel controllo di gestione, cambia vita, ma non da sola.
Ci racconti un po’ di te?
Verso i tren’anni, quando pensavo che la mia vita fosse ormai inquadrata e monotona mi sono sposata e trasferita a Milano, dove ho lavorato per diverse aziende lombarde ed ho avuto una figlia, cambiando città, lavoro e vita sociale. Nel 2001 abbiamo iniziato anche a cambiare nazione: ci siamo sono trasferiti in Arabia Saudita alla fine del 2001 e ci siamo rimasti per un anno. Pur avendo viaggiato frequentemente in passato, questa è stata la mia prima esperienza come residente all’estero e il paese in cui siamo stati mandati non è certo uno dei più facili per un’occidentale.
Com’era la tua vita da espatriata?
In Arabia Saudita le donne non possono lavorare, se non in ambiti ristretti (insegnamento, il settore sanitario e le sezioni femminili delle banche), non possono guidare e non possono uscire di casa o circolare senza essere accompagnate da un uomo della propria famiglia. Pensare di fare un giro in bicicletta, frequentare una palestra o una piscina pubblica, sono attività assolutamente fuori questione. Una donna occidentale si deve adeguare alle regole e rispettarle, a cominciare dal vestire in modo conforme al canone islamico: avere braccia e gambe interamente coperte e abiti abbastanza ampi da non evidenziare le forme del corpo. Inoltre è fortemente raccomandata l’abaya, la tunica nera lunga fino alla caviglia che permette di evitare spiacevoli incontri con la polizia religiosa.
I primi tempi sono stati duri, soprattutto perché ho dovuto organizzarmi una vita con una bambina in un paese straniero dove i negozi chiudono cinque volte al giorno per la preghiera e, se non hai un autista, diventa molto complicato anche fare la spesa.
Lo stato d’animo delle prime settimane era molto vicino al terrore di dire o fare qualcosa di sbagliato e di non sapere come comportarsi semplicemente rivolgendo la parola ad un uomo o andando, per esempio, al ristorante, dove le donne possono entrare solo nella family section, fisicamente e visivamente separata dalla bachelor section.
Con il passare del tempo ci sono due alternative per vivere in Arabia Saudita: la prima è rinchiudersi nei compound (cittadine private riservate ad occidentali) e dedicarsi alle innumerevoli attività sportive e passatempi disponibili, finendo per trascorrere il proprio tempo a contare i giorni che ti separano dalle vacanze in Europa.
La seconda alternativa è quella di cercare di incontrare un po’ la cultura di questo paese; in questo caso, se sei abbastanza fortunata da conoscere qualche famiglia saudita ed essere loro ospite, ti accorgi ben presto che gli arabi sono in realtà molto tolleranti con gli occidentali e ti offrono sempre una via di fuga per cavarti d’impaccio nel caso tu combini qualcosa. L’ospite secondo il Corano è un dono di Dio e il loro atteggiamento è sempre genuinamente accogliente e caloroso nei confronti degli stranieri. Nonostante si parlasse spesso, anche sui giornali locali, dell’esistente ostilità araba nei confronti degli occidentali, da parte mia ho sempre ricevuto accoglienza, disponibilità e calore umano da parte dei sauditi, spesso molta curiosità, voglia di conoscere qualcosa di più dell’Italia e il timore di quale sia la loro reputazione all’estero.
E’ vero cio’ che si dice e pensa delle straniere in Arabia Saudita?
Posso dire per esperienza diretta, che la situazione per un’occidentale è ben più difficile di quanto i media lascino immaginare: per quanto ci si possa informare, non si è mai abbastanza preparate alla realtà dell’Arabia Saudita che volutamente non traspare all’esterno del paese. Si chiacchiera molto sul fatto che le donne non possono guidare, ma c’è di più: è’ difficile adattarsi ad un regime così restrittivo, in primo luogo perché è troppo diverso dal nostro modo di vivere e si deve rinunciare a molte delle cose a cui siamo abituate nei paesi occidentali.
E’ dura sapere che non hai documenti e che la tua identità può essere attestata solo da tuo marito perché a lui di diritto appartieni, che non puoi avere un conto corrente o un semplice contratto intestato solo a te stessa, ma che serve l’intervento di tuo marito per qualsiasi attività che implichi una soggettività giuridica.
Talvolta, in alcuni contesti, ho ingoiato umiliazioni che una donna moderna a fatica riesce ad immaginare, tanto sono legate a tempi lontani dalla nostra generazione.
Inoltre sentirsi guardate in modo così particolare anche se si veste quell’abaya di poliestere (davvero terribile nella torrida estate saudita), solo perché il viso è scoperto e suscita chissà quali fantasie, non è qualcosa con cui si vuole convivere quotidianamente.
Aggiungete la monotonia del deserto fuori città e la scarsità di mete turistiche dove trascorrere il weekend, e il cerchio è completo.
Tuttavia non è tutto così tragico e la vita in questo paese offre anche aspetti piacevoli e unici per un’espatriata: l’Arabia Saudita ti restituisce il tempo per i tuoi figli; ha ritmi di vita pacati e più umani che lasciano più spazio alla propria interiorità; è organizzata per darti innumerevoli possibilità di sviluppare o imparare arti e lingue straniere, per incontrare e conoscere persone provenienti dai più svariati paesi del mondo e che si trovano nella tua stessa situazione e sono per questo motivo inclini all’amicizia.
In tutta sincerità ho vissuto un bel periodo in Arabia Saudita e ne sono uscita arricchita nello spirito e nel mio bagaglio culturale, con amicizie nuove, europee e saudite, di alto valore.
Ci parli delle donne saudite?
Esiste un mito sulle donne saudite: si dice che dietro ai loro veli si celino donne bellissime.
Le saudite non sono bellissime, sono donne normali, come noi, ma hanno la caratteristica di aver coltivato la loro femminilità in modo che noi ormai non sappiamo più fare.
Nell’ambito della loro segregazione, le saudite si sono costruite un mondo fatto a misura di donna, permeato di colori, profumi ed essenze speciali, di ambienti caldi e accoglienti. Nei loro lady center, centri femminili dove davvero nessun uomo può entrare e dove si può pranzare o ricevere amiche od ordinare un vestito su misura, o nei salotti delle loro case, dove quotidianamente avvengono incontri tra le donne di famiglia, tutto trasuda femminilità, abiti, trucchi, atteggiamenti.
All’interno delle loro case, queste donne studiano, lavorano, creano attività e spesso dirigono l’impresa di famiglia sotto il patrocinio del nome del padre o del marito, ma quando escono di casa si celano dietro il velo della tradizione.
Ho incontrato per lo più donne di elevato status sociale o comunque di buon livello reddituale; non so cosa accada nelle zone rurali e credo che all’interno del paese, dove le parabole satellitari non arrivano, la situazione sia ben diversa.
Di certo le saudite difendono a spada tratta la loro condizione, accettandola di buon grado e considerandola privilegiata rispetto a quella delle donne occidentali, che loro reputano più misera e pericolosa.
Alcune reclamano il diritto di guidare e di gestire i propri beni patrimoniali, che spesso hanno anche dimensioni ingenti, e probabilmente tra un po’ ci riusciranno. Credo infatti che l’Arabia Saudita dovrà affrontare un salto culturale di enormi proporzioni nei prossimi anni e la generazione delle giovani donne di ceto medio-alto ne sono consapevoli: in un modo o nell’altro ne saranno anche protagoniste.
Se fossi in Arabia Saudita, avresti paura come occidentale in un paese arabo e musulmano?
Avrei paura, come ho avuto paura per tutto il tempo in cui sono stata laggiù, degli estremisti islamici e delle imprevedibili azioni che potrebbero attuare nei confronti degli occidentali, ma non del fatto di vivere di per sé in mezzo al popolo arabo.
Per molti versi un paese arabo è molto più sicuro di quanto lo sia l’Italia stessa e, se devo essere sincera, in questo periodo mi sento a disagio anche quando prendo la metropolitana a Milano, pensando a quanto sarebbe facile un attentato nella nostra città.
4 commenti
Ottima relazione, chiara ed obbiettiva espressa con pacatezza e rispondente alla realta.Complimenti.
Consiglio la lettura di un romanzo uscito qualche anno fa, intitolato “ragazze di Riad” e scritto dalla saudita Alsanea Rajaaa http://www.ibs.it/code/9788804564256/alsanea-rajaa/ragazze-riad.html. Non fatevi fuorviare dalla forma di romanzo rosa epistolare via e-mail, consideratelo un documento, in ciò che descrive, per l’atteggiamento dell’autrice nei confronti della sua stessa cultura religiosa etc. etc. E’ un ottimo rivelatore del punto di vista di tante donne che considereremmo “moderate”, ma anche delle tante sfaccettature di mentalità nelle donne di quella classe alta o medio alta di cui si parla in questa bella intervista. E tenete presente che questo che a noi sembra un innocuo romanzetto è stato proibito nella patria dell’autrice.
Per lavoro dovrò recarmi a novembre ad una fiera a Riad chiedo consigli ed anche la conferma che per entrare in Arabia Saudita devo ricevere un invito da un locale a differenza dei miei colleghi uomini.
Grazie
Cristina Prascina
salve,mi chiamo antonio,sono un muratore e dovrei andare a riad per lavoro,vorrei che qualcuno che sia stato là,mi dia qualche informazione su come passare il tempo libero,su eventuali svaghi,ammesso che ce ne siano,e come si mangia da quelle parti, grazie in anticipo per una risposta