di Rita Cugola
BARAK OBAMA vs MITT ROMNEY: LA GRANDE VITTORIA DEL POPOLO
Con quell’aria birichina – magari talvolta un po’ allampanata – e la parvenza di un eterno ragazzo dal vissuto simile a tanti altri, il democratico Barak Obama ha letteralmente conquistato il cuore degli americani per la seconda volta, trionfando sul rivale repubblicano Mitt Romney.
Ultra mormone e miliardario, quest’ultimo. Lontano dalle problematiche economiche e sociali che affliggono la maggioranza della popolazione (famosa la sua gaffe sull’indifferenza nei confronti dei poveri) e fermamente intenzionato a favorire invece la ricca élite del paese – il più importante del mondo – che avrebbe voluto guidare, Romney ha infine dovuto arrendersi all’evidenza dei risultati elettorali e ritirarsi in buon ordine dalla scena mondiale.
Le luci dei festeggiamenti per la riconferma di Obama si stanno ora lentamente spegnendo sugli Stati Uniti, dove in una sola giornata è stato riassunto il cammino della storia planetaria per i prossimi quattro anni.
Impossibile non rimanere stupiti dalla grande partecipazione collettiva all’estenuante (e costosissima) campagna presidenziale, così come non è ammissibile fingere di ignorare la grande disponibilità al contatto diretto con il popolo che i leader americani – siano essi seguaci dell’asinello o dell’elefantino- hanno dimostrato di possedere.
Una situazione chiaramente impensabile in Italia, dove nel migliore dei casi i politici o pseudo-tali (peraltro quasi inavvicinabili dietro un muro di energumeni patentati) si limitano a ironici sorrisetti ostentati forzatamente davanti alle telecamere.
“L’America è una grande famiglia”, ha detto Obama nel suo primo discorso presidenziale del nuovo mandato. Indipendentemente dal colore rosso o blu di ogni singolo stato, dallo stato sociale o dal luogo di provenienza dei suoi abitanti: una grande lezione di democrazia orizzontale da cui dovremmo trarre un enorme motivo di riflessione, almeno alla luce delle controversie che da noi imperversano su tutti i fronti a livello nazionale. Ma così non è, come possiamo tristemente constatare quotidianamente.
La (seconda) corsa alla Casa Bianca non ha distolto l’attenzione di Obama dalle sofferenze e dalle aspettative dei più deboli, poiché, in fondo, quel ragazzone non ha mai dimenticato di essere uno di loro. Afroamericano, di umili origini come la carismatica moglie Michelle Robinson, appare decisamente distante dallo stereotipo del “vincente per nascita” (al contrario di Romney).
Incarna tuttavia la vera essenza dell’ ”American Dream”, del grande Sogno Americano, in base al quale chiunque, se meritevole e dotato di ferrea volontà, può riuscire a scalare anche le vette apparentemente più impervie e inaccessibili senza per questo nuocere al prossimo.
Obama ha insomma saputo interpretare nel giusto modo anche i messaggi più silenziosi, così dolorosamente numerosi e per questo determinanti. Non ha ignorato l’appello al riconoscimento sociale dei gay. Ai giovani, agli immigrati, alle minoranze in genere ha cercato di trasmettere concrete prospettive di speranza in un futuro davvero diverso in un’America migliore. Ma soprattutto è riuscito ad ascoltare le molteplici voci dell’universo femminile (lui stesso è l’unico maschio, in famiglia) e a interpretarne correttamente i desideri e le necessità.
Obama sa quanto sia importante, per una donna, la scelta consapevole di una maternità in tempi di crisi. Per questo non ha esitato a difendere strenuamente il diritto di aborto e di contraccezione, a dispetto di chi, come ad esempio i repubblicani Richard Mourdock e Tedd Aiken, nonché lo stesso Romney, avrebbero voluto l’esatto contrario (anche il figlio concepito dopo una violenza è un dono di Dio, era stato il loro leit-motiv). Del resto, lo staff del neo presidente ha sempre contemplato una nutrita presenza femminile e persino in occasione delle svariate apparizioni televisive Obama ha sempre mostrato una netta preferenza per le anchorwomen.
Anche in questo caso l’Italia ha molto da imparare. Da tempo immemorabile terra di maschilismo radicato, ha davanti a sé una strada ancora lunga da percorrere, per poter almeno accarezzare l’illusione di riuscire, un giorno, a condividere quella prospettiva onirica – ora prerogativa esclusiva d’Oltreoceano – divenuta nel frattempo patrimonio dell’umanità.