Curiosità e innovazione hanno sempre sostenuto Carla Della Beffa, artista a tutto tondo che per creare gira il mondo.
Ho incontrato Carla molte volte in questi anni, seguendone le tracce artistiche dall’Italia alla Francia, in Europa, nel mondo e ritorno. Più avanti rispetto a molti connazionali l’abbiamo ritrovata ”artista relazionale”, come lei stessa si definisce.
Una personalità variegata, assetata di cultura, curiosa e creativa, con il passare degli anni non è cambiata. O meglio è ”mutata”, trasferendo le sue conoscenze e interessi in altri paesi dove questi poi sono maturati e hanno raccolto interesse. Verrebbe da dire in paesi dove ”si può” ancora fare cultura innovativa.
Cosa vuol dire artista relazionale?
Il teorico dell’estetica relazionale è il critico francese Nicolas Bourriaud, e l’artista più famoso secondo me è Rirkrit Tiravanija . Ma ci sono tante interpretazioni quanti sono i critici e gli artisti, esattamente come per ogni altra tendenza dell’arte: penso anche solo a Picasso e al Douanier Rousseau, che lavoravano nello stesso periodo… A me, che facevo arte relazionale l’ha rivelato un’artista americana, Heather Holden. E come ogni rivelazione che si rispetti mi ha permesso di lavorare con molta più consapevolezza.
Come ci sei arrivata?
Lavorando per School Works, un progetto realizzato fra il 2007 e il 2009. Tutto era iniziato molti anni prima, la prima volta che ho letto Gargantua e Pantagruele di François Rabelais. Il testo ha scavato nella mia mente per molto tempo, finché non ho capito che volevo farne un video realizzato con ragazzini francesi attorno a un progetto interdisciplinare fra cibo, letteratura, arte e scienza. In fondo, Rabelais era stato anche un medico. Ho trovato professori entusiasti del progetto e gli esperti che ho coinvolto, uno storico del cibo e qualche scienziato, erano felici di lavorare con noi. Mi interessano molti argomenti e di volta in volta ne faccio il centro delle mie proposte, ma non posso né voglio sapere tutto, e per questo mi piace lavorare con esperti di tutti i tipi: li scovo e li invito a dare il loro contributo ai miei progetti. Lo scambio di esperienze arricchisce i reciproci punti di vista. Ogni mese avevamo lezioni, conferenze o visite a musei e giardini storici di Parigi. Siamo arrivati a stabilire la nostra versione fonetica della lista di cibi di Rabelais, dopo che l’avevo verificata con un’esperta di pronuncia francese antica. Alla fine di maggio 2008 avevo registrato la colonna sonora e girato il mio video Gargantua e il suo making-of. Ho passato i mesi successivi a montare video e documentari e a scrivere l’esperienza, in francese e in italiano: sono sempre io, ma cambiare lingua vuol dire vedere le cose da due punti di vista differenti. Gli insegnanti mi avevano invitata a partecipare alla tappa successiva, nel 2008-2009: un progetto sul Gigantismo. Ero totalmente libera di suggerire i temi che volevo, e ho scelto di lavorare sui linguaggi e la relatività: gigante o nano, è solo una questione di scala e di percezione. Per tutto l’anno abbiamo lavorato in Trois ateliers, tre laboratori, ognuno con il suo insegnante che dava profondità e spessore alla ricerca che avevo suggerito. Altri hanno collaborato, ognuno nel suo settore. Un eccellente lavoro di squadra, mi sono goduta ogni lezione.
Se all’inizio volevo soprattutto avere la possibilità di produrre i miei video, nella pratica quotidiana ho scoperto che potevo diventare un agente provocatore di pensiero: e che cosa c’è di più socialmente utile che stimolare i giovani a pensare? Ora il progetto Gargantua/School Works è uno degli esempi di arte relazionale con cui dimostro come lavoro, quando presento un progetto alle università che offrono residenze agli artisti. L’altro esempio, totalmente diverso, è uno recentissimo, realizzato a Vienna: Love Song Exchange
Perchè questi lavori sono tutti realizzati all’estero?
La ragione che mi fa cercare, e a volte ottenere, residenze e altri incarichi all’estero è che sono curiosa. E mi piace entrare in contatto con altre persone, specialmente se ho un progetto sul quale lavorare insieme. Viaggiare, confrontando le culture e i modi di vivere, è sempre stata una mia passione, e ha cambiato radicalmente la mia arte. Così, quando ho visto il bando di Culburb per “trattamenti di agopuntura culturale“, mi sono innamorata del concetto, ho preparato un progetto, e sono stata selezionata. Love Song Exchange era pensato per un quartiere di Vienna ed è stato un successo. Insieme agli organizzatori, sono convinta che farà bene, proprio come l’agopuntura, al corpo della collettività.
Girovagando per l’Europa fai contaminazione culturale…
Mentre preparavo l’evento ho avuto l’opportunità di apprezzare alcune differenze fra Vienna, Milano e altre città dove ho vissuto e lavorato. Vienna è divisa in 23 settori amministrativi, e in ognuno ci sono persone che lavorano per sciogliere le tensioni fra gruppi sociali. Ci sono giovani che studiano sociologia e antropologia come scienze utili da applicare nelle case popolari e nei quartieri “difficili”. Non vanno a cercare tribù primitive ma studiano sul campo dei quartieri cittadini.
L’area di Sandleiten, dove era ambientato il mio progetto, è stata costruita dalla Vienna socialdemocratica negli anni ’20, per farci vivere gli operai di una zona ricca di fabbriche. Ha un bel parco, una biblioteca, una stupenda piscina. E 5000 abitanti. Dopo che molte fabbriche hanno chiuso e gli abitanti originali sono diventati vecchi, sono arrivati lavoratori e famiglie, principalmente dalla Turchia e dalle regioni della ex-Jugoslavia. Generazioni più giovani, abitudini diverse e poca simpatia reciproca. Ho proposto di condividere canzoni perché so che cantare è un piacere e che sedere in circolo ha la semplicità e forza archetipica di un rito intorno al fuoco. Ho scelto di celebrare Love Song Exchange la sera del solstizio d’estate perché nel mio lavoro faccio spesso ricorso ai simboli, così profondi che non serve parlarne: la gente sente inconsciamente il valore di entrare in un cerchio, o di riunirsi la sera del solstizio o quella dell’equinozio, anche se non si dice esplicitamente. In più, ci permettaeva di trovarci in Matteottiplatz dopo cena, e di godere quella lunga luce… Scrivo anche un art-blog, che seguo meno di una volta (colpa di Facebook)… http://art-blog.com
La foto è di una performance in Times Square