di Caterina Della Torre
Stefania Spanò , napoletana, 47 anni, un secolo fa dice lei, una figlia di 28 anni che è al centro della sua vita ed un compagno che ama tantissimo e con cui sta da 18 anni.
Racconta la vita d’oggi giorno con le immagini denunciando l’ingiustizia sociale.
Vive e lavora nella campagna tra Itri e Sperlonga. autrice e illustratrice per l’infanzia, da tempo ha intrapreso da tempo un percorso di denuncia sociale, come dimostrano alcuni suoi lavoroim come “Unchildren”, un progetto editoriale illustrato che racconta le violazioni subite dall’infanzia nel mondo.
Che studi hai fatto?
Un inutile liceo scientifico. Mi fu “interdetta” la scelta di frequentare l’istituto d’arte. Sai, “troppi sbandati…”, “gente strana…”. Gli sbandati, poi, li ho incontrati lo stesso, e spesso la più strana ero io.
Da quando hai cominciato a fare l’illustratrice?
In realtà ho “ricominciato”. Ho sempre disegnato. Da ragazzina lavoravo per una cooperativa che realizzava audiovisivi e libri-gioco per le scuole elementari. Poi un lungo stop. Il lavoro mi ha portato ad occuparmi di comunicazione, grafica. Una lunga esperienza professionale al fianco del mio compagno, art director.
Circa tre anni fa, la svolta. Una serie di (a dirla tutta “sfortunate”) coincidenze mi hanno aiutato a fare una scelta. Di cui avevo voglia e bisogno. Ed eccomi qui, a raccontare il mondo. Per immagini.
Che tipo di illustrazioni ti riescono meglio?
Oggi la mia è arte digitale.
Cos’è cambiato con il digitale?
Per me tutto. Il mouse è stato l’incontro della mia vita! Io uso il mouse come fosse una matita.
Qual è il tuo genere preferito?
Non saprei definire il mio genere. Prima che illustratrice, sono autrice. Con i miei progetti ho intrapreso un percorso di denuncia sociale. Racconto di violenze, abusi, ingiustizie, dolore. Solo che lo faccio per immagini. Come un fotografo.
Fare l’illustratrice per la Puppato è stata una tua libera scelta o te l’hanno richiesto?
Non conoscevo la Puppato. Ma conosco alcune delle persone che hanno sostenuto la sua candidatura, a cui ho scelto di dare una mano affinché Laura potesse partecipare alle primarie. Mi è sembrato importante che in gioco ci potesse essere anche una donna.
Cosa pensi del ruolo delle donne nella società italiana?
Che la strada è ancora lunga. C’è molto da lavorare. Tante le disparità. Sulle donne è ancora forte il peso di pilastro sociale, mal ricompensato.
Vittime o vittimiste? Madri o lavoratrici disoccupate?
Vittime, e lavoratrici disoccupate.
Essere madri è parte della vita, ma per una donna, come per un uomo, il lavoro è fondamento di crescita e realizzazione. Una donna che non lavora avverte una menomazione significativa. Che incide sulla serenità di una intera società.
E del maschilismo imperante? C’è una via d’uscita?
Sono sicura che ci sia una via d’uscita. Non immediata, ma arriverà. L’umanità è destinata a progredire. In questo sono un’inguaribile ottimista.
Soluzione culturale o penale?
La soluzione è culturale, e va accompagnata a quella legislativa. Il maschilismo ha radici profondissime, bisogna parlarne, mai distrarsi, mai dimenticarsene. Questi ultimi anni ne sono un esempio. Io faccio parte di una generazione che dava per acquisite e scontate le conquiste. Ed invece… La sgradevole scoperta di aver fatto un balzo indietro di almeno 20 anni. E’ terribile.
E l’evidenza sta nel cogliere l’inadeguatezza della società nel dare risposte. Una donna che ha bisogno di aiuto, ancora oggi sa di essere sola a fare i conti con il suo disagio. Quasi mai può fare affidamento su un’autonomia economica. Quasi mai trova comprensione in chi la circonda. Quasi mai trova le istituzioni a protezione. Esiste un problema di genere che andrebbe affrontato nella sua specificità. E le risposte legislative dovrebbero essere adeguate. Si discute spesso se bisognerebbe considerarlo un’aggravante, ma qua siamo ancora a considerarlo un’attenuante! Quando si tratta di violenza alle donne sentiamo ancora fare riferimento alla gelosia, al “tanto amore”, alla disperazione di uomini abbandonati… E così si giustifica, viene meno il senso profondo di giustizia che dovrebbe sempre accompagnare l’atteggiamento di chi giudica, racconta, “accoglie” le storie delle vittime.
In che paese andresti a vivere se non abitassi in Italia?
E perchè?
Difficile scegliere… Stati Uniti o Francia.
I primi per riconoscenza. Sono cresciuta con i film di Frank Capra, che mi hanno salvato la vita.
Parigi, per ciò che di fortemente romantico rappresenta.
Ci regali una vignetta?
Volentieri.
1 commento
sono ormai libera da tutto! il mio lavoro ,,mi ha portato oltre la mentalità italiana!spesso all’estero ..in novembre sono stata in egitto ,con cleb vacanze ,per lavoro.mi occupo di capelli moda trucco ,è altro.ho deciso di andare via dall’italia,senza rimorsi .è da tempo che nutro questo desiderio,amo i paesi caldi ,dove ti svegli la mattina con il sole,è il mare,sono un’ottima nuotatrice,anke sub.ch potrebbe darmi appoggio ! per iniziare una nuova vita ,nella republica domenicana?grazie lidia