Cosa succede in un mondo dove si è pari ma diversi ?
Pari o diversi ?
la parità di genere è un principio fortunatamente ormai difficile da negare in pubblico in modo diretto ed esplicito. negarlo significa disconoscere la nostra Costituzione e quindi palesarsi come antidemocratici. è piuttosto raro, sebbene non impossibile, assistere a dichiarazioni di tipo discriminatorio sui mezzi di comunicazione di massa. cosa tutta diversa è, però, la declinazione di questo principio nella pratica. come si dice: il diavolo è nei dettagli. |
Nei dettagli succede che i pregiudizi tendono a prendere il sopravvento e questo è favorito dal fatto che gli uomini e le donne sono effettivamente diversi, molto diversi. un po’ per genetica e un po’ per cultura. quanto per la prima e quanto per la seconda è difficilissimo dire, perchè stabilire cosa sia innato e cosa acquisito per trasmissione culturale è oggetto di studi difficili e molto lunghi. se quindi siamo diversi, cosa significa essere pari ?
Su questo confronto di termini si giocano molte delle incomprensioni e si stabiliscono le basi delle discriminazioni (verso le donne ma anche verso gli uomini, perchè il pregiudizio, purtroppo, non risparmia nessuno).
Le domande che, secondo me, si pongono in modo forte sono tre:
cosa mi aspetto che succeda in un mondo dove si è pari ma diversi ?
Come mi accorgo se la nostra società sta garantendo una effettiva parità nella diversità ?
Se così non è, su cosa e come si può intervenire per riequilibrare le situazioni ?
Sono domande ovviamente più grandi di me ma vorrei dare un contributo di ragionamento per contrastare alcuni luoghi comuni.
prima domanda: cosa succede quando si è pari ma diversi ?
La prima cosa che mi viene in mente è che essere pari vuole dire che a nessuno deve essere impedito di raggiungere un qualsiasi obiettivo di vita a causa dell’appartenenza ad un sesso od un altro.
Questo non vuol dire, però, che tutti possono avere successo allo stesso modo in un certo campo. se siamo diversi vuol dire che per certi compiti sono più adatte caratteristiche maschili (così come sono determinate oggi da geni e cultura) e per altri compiti caratteristiche femminili. è una banale constatazione di fatto. per questo motivo assegnare quote di genere è sbagliato. perchè agisce direttamente sui risultati invece che sulle attitudini e sul processo selettivo per il raggiungimento degli obiettivi (come ho scritto in altra nota). dichiararsi pari ma rivendicare la diversità non può non avere conseguenze sulla distribuzione dei lavori, delle posizioni sociali, di quelle politiche etc.
Il problema semmai è capire dove si annida il pregiudizio e dove no. le donne sono più comunicative e affettive dei maschi ? Se fosse vero dovremmo aspettarci un maggior numero di lavori che hanno a che fare con queste qualità affidati a donne e se così avvenisse non si tratterebbe di discriminazione per i maschi ma una semplice constatazione di maggiore adeguatezza al ruolo.
Il fatto che non esistano piloti di formula uno di sesso femminile è segno di una discriminazione o dipende da attitudini diversamente distribuite nei generi ? e che le insegnanti siano molto più numerose degli insegnanti (nella scuola elementare le femmine sono il 94.6%) è segno di discriminazione maschile ? Allora, come distinguere le posizioni per le quali le attitudini genetiche portano giustamente alla diversa distribuzione nei generi da quelle che sono determinate da incrostazioni culturali nate in contesti dove magari erano appropriate mentre oggi non lo sono più ?
La distribuzione media della forza fisica tra i generi è una differenza che è giusto considerare ? Sono state definite diverse tipologie di intelligenze: quella spaziale è distribuita in modo diverso tra i sessi ? Quella emotiva ? Quella matematica ? Insomma su cosa dobbiamo agire per rimuovere ostacoli posti da culture in cui non crediamo più e su cosa insistere perchè ci crediamo ancora ? In sintesi: esistono dei lavori in cui riescono meglio le donne e altri in cui riescono meglio gli uomini per motivi, come dire, naturali ? Queste domande sono rilevanti per capire cosa misurare, su cosa intervenire per ribilanciare e come intervenire.
Seconda domanda : come facciamo a sapere che una società riesce a garantire eque e distribuite opportunità ai generi ? Per quanto detto prima, non certo dalla distribuzione paritetica di generi in tutte le posizioni lavorative. anzi forse l’assegnazione di quote prefissate ai generi in tutti i campi darebbe proprio la certezza di applicare discriminazioni vista la specificità di genere che rende più probabile lo squilibrio numerico. da cosa ce ne accorgiamo allora ? Spesso si dice che da un tornio difettoso non possono che nascere pezzi difettosi… sarebbe utile quindi poter misurare e capire se e quanti ostacoli si frappongono tra una donna e il raggiungimento dei suoi obiettivi che non si frappongono allo stesso modo per un uomo e viceversa. parlando di lavoro, ad esempio, esistono preferenze di sesso ingiustificate nella raccolta delle candidature per una certa posizione ? Esistono colloqui orientati ad assegnare maggior punteggio ad una candidatura maschile o femminile anche se la posizione offerta non ha alcun orientamento di genere ? Esistono divisioni del carico famigliare che rendono impossibile alle donne performare al pari dei maschi, per lo meno come durata della presenza sul lavoro e flessibilità di orari ?
Terza domanda: su cosa e come si può intervenire per riequilibrare le situazioni ?
Quanto visto finora sposta l’attenzione dal risultato al processo. proprio come si fa nella certificazione di qualità. non sarebbe male iniziare a pensare ad azioni positive che vadano in questa direzione. invece di limitarci a contare le donne in certe posizioni (punto di arrivo non di partenza) perchè non cominciare a stabilire norme anti discriminazione e iniziative di conformità a tali procedure da parte delle aziende e amministrazioni ? Incentivi e sanzioni per chi è o non è compatibile” con tali norme aiuterebbero a spostare le opportunità verso l’agognato pareggio… basterebbe analizzare i processi aziendali, dal reclutamento al pensionamento per scoprire le organizzazioni virtuose e riorientare il mercato. accanto a questo, ovviamente, un grande sforzo comunicativo per l’abolizione dei pregiudizi. ma i pregiudizi si combattono con i numeri, le statistiche e con le storie singole di successo che ancorano l’emotività passando di bocca in bocca…
Oggi esistono aziende che si vantano di essere certificate ISO 9001, no smoking, ecosostenibili, dotate di certificazione etica… perchè non pensare ad aziende che si vogliano fregiare del titolo di essere gender bias free” ?
Vogliamo essere pari E diversi… aiutiamoci a capire come.
Roberto Meli. Sono nato qualche anno fa a Bari (chi lo dice che nascondere gli anni è un vezzo femminile ?). Ho studiato al liceo classico ma ho scelto Fisica all’università per poi laurearmi in Informatica. Ho vissuto a Bari, Firenze ed ora a Roma. Faccio l’imprenditore di una società del terziario avanzato (www.dpo.it) e ho il cruccio di non essere ancora riuscito a spiegare bene a mia madre come mi guadagno da vivere. Felicemente sposato da molti anni (con la stessa donna, pensate un po’), ho due magnifiche figlie che adoro. Sono geneticamente portato a tentare di conciliare gli estremi ed a perseguire un impossibile equilibrio tra questi, trovandomi spesso a vivere in una terra di nessuno che non è ne’ di qua ne’ di la’. Ho una cultura classica di base ma adoro la tecnologia. Mi considero un maturo adolescente, esternamente placido ma internamente in ebollizione. Ho un animo perentoriamente maschile ma con una componente femminile molto accentuata. Amo assumere il ruolo di ”avvocato del diavolo” e di ”cortese provocatore” ma, spero, senza dogmatismi. Credo che questo abbia favorito l’idea di dare un contributo a questo sito.