Una storia di ieri e di oggi. Intervista a Marco Proietti Mancini, manager IBM
Spesso un tempo non si chiedeva ai figli,” cosa vuoi fare da grande”. Erano i genitori che indirizzavano le scelte educative della prole. A volte era un bene, altre no, ma poi la vita raddrizzava il volano. Questa e’ la storia di Marco, che prima programmatore, poi marketing manager IBM di successo, e’ riuscito a coltivare un suo hobby, la scrittura, oltre ad una vita paritaria.
Ci racconti un po’ di te? la tua vita e’ cosi’ anomala…
Sono nato a Roma, nel 1961, quinto ed ultimo figlio di una famiglia molto rumorosa. La formazione giovanile è avvenuta tutta in quartieri popolari, San Paolo, la Garbatella, viale Marconi. Mi sono sposato giovane, almeno rispetto agli standard attuali, nel 1987, quasi incredibilmente lo sono ancora (con la stessa moglie, intendo) ed ho due figli, un maschio che diventerà maggiorenne tra poco ed una ragazza di tredici anni. Mi verrebbe da chiamarla bambina, ma se mai dovesse leggere questa intervista rischierei di essere definitivamente licenziato dal lavoro di padre. Fino alle scuole medie non mi sono spostato molto da casa, ai tempi i primi calzoni lunghi si indossavano solo in prima media, però a scuola ci si andava da soli, a piedi, a partire dalla seconda elementare. Contraddizioni dell’educazione degli anni ‘60, eravamo troppo piccoli per mettere i calzoni lunghi, ma abbastanza grandi per andare da soli.
Per le superiori, ricordo che mio padre andò per iscrivermi a ragioneria; quando tornò a casa disse che aveva preferito iscrivermi ad un istituto tecnico per l’informatica e l’elettronica. Ed anche questo faceva parte degli standard educativi di quegli anni. Per me che odio la matematica e le scienze esatte già era una violenza ragioneria, figurarsi l’elettronica! Ma tant’è, a 18 anni mi sono ritrovato stentatamente promosso all’esame di maturità ed ho ancora buttato da qualche parte un diploma di perito informatico ed elettronico. Però una soddisfazione me la sono cavata, quando tutti si aspettavano che diventassi il terzo maschio laureato di casa Proietti Mancini, io invece mi sono trovato da lavorare appena terminato il servizio militare. Di ingegneri in casa ce n’erano già abbastanza.
Che lavoro fai adesso? Ti piace? Vorresti fare altro?
Dopo qualche esperienza nei ruoli tecnici (quel maledetto diploma dovevo pure sfruttarlo, in qualche modo, no?) la fine era sempre la stessa; cambiavo azienda e poco dopo il capo che mi diceva: “tu sei lento a programmare e veloce a parlare, ti tocca fare il venditore!”. Ho fatto il venditore per 22 anni, fino al 2006, da venditore la carriera me la sono fatta tutta, sono passato attraverso tre multinazionali e più di una piccola azienda padronale. Nel 2000 è arrivata la chiamata di Big Blue IBM ed a certe chiamate non si può dire no. Infine, nel 2006 una carissima amica, manager IBM, mi ha chiesto di cambiare ruolo, passando a collaborare con lei dalle vendite al marketing di territorio, per seguire lo sviluppo delle Piccole e Medie Imprese. Non me lo sono fatto dire due volte. E’ stata la mia prima esperienza di marketing ed insieme la prima con un manager donna.
Perche’ hai scelto studi scientifici?
E chi li ha scelti? Fosse stato per me mi sarei dedicato a studi umanistici, ero il cocco prediletto di tutte le mie professoresse di italiano. Adesso posso confessare anche una debolezza. In realtà io sono stato anche iscritto all’università, nel lontano 1983, appena congedato. Ma mentre tutti si aspettavano che io mi iscrivessi ad una facoltà tecnico scientifica, io arrivai fino a Villa Mirafiori e mi iscrissi a Filosofia! Ed in qualche cassetto, insieme al diploma di perito ci dev’essere anche il libretto universitario rigorosamente intonso. Per dirlo alla Mourinho, Zero Esami!
Non senti che il tuo saper scrivere viene qualche volta nascosto nella tua vita professionali?
Grazie per il complimento implicito nella domanda. Si, è così, io scrivo ed in azienda nessuno lo sapeva fino alla pubblicazione del primo romanzo. Veramente ancora adesso tendo a non farmi troppa pubblicità, temo che se si sapesse troppo qualcuno potrebbe chiedermi di scrivere cose diverse da quelle che mi detta la mia ispirazione. Io scrivo in maniera emozionale, mi risulta molto difficile rimanere legato a schemi rigidi, a strutture di comunicazione codificate. Quindi anche io cerco di mantenere separati i due ambiti.
Cosa fa tua moglie? Chi si occupa della famiglia? Casa etc…
Mia moglie lavora nel settore della scuola pubblica, con un incarico amministrativo. Ha vissuto oltre undici anni di contratti annuali, come precaria, solo a partire da quest’anno finalmente è riuscita a rientrare nel ruolo definitivo, con un contratto a tempo indeterminato. Sono stati dodici anni durissimi, in cui la sua professione si è andata sempre più impoverendo intanto che aumentavano le sue responsabilità, con una contraddizione che è stata fonte di stress e tensioni molto forti. Della famiglia e della casa credo di poter dire che ce ne occupiamo insieme, con ruoli ed impegni che si sono andati definendo progressivamente. A me tocca la spesa, la gestione della cucina, e non mi tiro indietro per tutto quello che c’è da fare in una famiglia di quattro persone, fare il bucato, stendere i panni. Ci sono cose per le quali nutro idiosincrasia, ho provato anche a lavare per terra e spolverare, ma non c’è nulla da fare, non mi viene. In compenso c’è una cosa che odiamo fare entrambi (anche se a me viene meglio), cioè stirare.
Quanto hai concorso alla valorizzazione dell’identità lavorativa di lei? E sociale? O quanto avete influenzato vicendevolmente le vostre carriere?
Non ho partecipato molto alla carriera professionale di mia moglie. Però anche questo è frutto di una scelta sostanzialmente condivisa e reciproca. Quando abbiamo provato a confrontarci a vicenda, a scambiarci esperienze, la differenza di modelli e di ambienti lavorativi ci ha portato a scontrarci, più che ad aiutarci. Ciascuno dei due non riusciva a penetrare nelle logica della realtà professionale dell’altro, e questo è diventato vero anche per i due ambienti sociali. Io non conosco nessuno dei colleghi di mia moglie, per me sono solo dei nomi che le sento fare ogni tanto, e lo stesso è per lei nei miei confronti. Viceversa siamo sempre stati presenti e ci siamo sostenuti nelle inevitabili difficoltà, quando lei ha avuto dei problemi io l’ho incoraggiata a reagire ed a non cedere, lo stesso ha fatto lei con me. Quando ho deciso di lasciare le vendite, rinunciando a prospettive di carriera ed anche a ritorni economici, lei mi ha appoggiato.
In una ricerca fatta dalla Bicocca, anni fa, risultava che sia importante per la progressione sociale di un uomo o di una donna il compagno che le sta a fianco? Tu che ne pensi? O è vero anche l’inverso? Cioè il sistema coppia regge di più in un contesto sociale?
Quel che c’è da chiedersi è se e quanto il concetto e quanto gli obiettivi di “progressione sociale” siano condivisi, nella coppia. Questo non sempre è possibile, o spesso succede che per far raggiungere la progressione sociale di uno, l’altro elemento della coppia debba rinunciare al proprio, ricavarsi un ruolo marginale, a volte solo decorativo o di necessaria convenzione sociale. Io credo che questo comporti inevitabilmente frustrazione per quello dei due che si riduce ad un puro ruolo di facciata, ad essere semplicemente “la moglie di” o più raramente “il marito di”.
Tua moglie è femminista E se sì in che cosa? E tu condividi i suoi femminismi o li trovi superati?
Mia moglie è certamente femminista, ma non ci si definisce, come neanche io la definisco tale. Il suo essere femminista è una condizione naturale di vita, in famiglia, sul lavoro, nel sociale, che io sostengo pienamente, ribellandomi insieme a lei a qualsiasi condizionamento o comportamento di chiunque voglia impedire una condizione di assoluta e totale parità in tutto. Il che non vuol dire che io mi aspetti che lei si carichi delle stesse valige che porto io quando viaggiamo, esattamente come lei non si aspetta che io possa confrontarmi con nostra figlia quando c’è bisogno di raccogliere confidenze e dare sostegno.
E lei condivide i tuoi hobbies maschili o credi che non sia necessario condividere tutto per stimarsi e apprezzarsi?
Scrivere è un Hobby maschile? Io non ho moltissimi hobby, scrivo e questo non è quasi più un Hobby, faccio dei gran giri con lo scooter, sono un utilizzatore esasperato di internet. Cucino. Di tutti questi hobbies l’unico che condividiamo è cucinare. Ma anche lì, lei preferisce preparare dolci, io invece mi dedico al salato. Lei dipinge, fa decoupage, si occupa delle piante del nostro terrazzo. Abbiamo passioni separate, le coltiviamo e pratichiamo separatamente, ciascuno rispettando lo spazio che l’altro riserva al proprio piacere.
Cosa ne pensi delle donne al giorno d’oggi? Pensi che abbiano raggiunto già le pari opportunità o che ci sia ancora molta strada da fare specie in alcuni ambiti di potere?
C’è ancora molta, moltissima strada da fare, per passare dalle pari opportunità imposte per legge a quelle che dovrebbero esserci naturalmente. In Italia le donne non hanno pari opportunità e spessissimo dove sembra che le abbiano è quasi sempre solo per rispettare delle convenzioni e delle regole poste in maniera obbligata. In IBM ad esempio esistono specifici programmi per garantire alle donne una sorta di “protezione che consenta loro di raggiungere le stesse posizioni che sono consentite agli uomini. Ma la stessa cosa si può dire pensando alle “quote rosa” delle liste elettorali. Quando parlo di pari opportunità naturali intendo dire che molto raramente ho visto dei manager uomini proporre delle collaboratrici donne per una promozione, mentre ho visto manager donna proporre per promozioni indifferentemente dei collaboratori sia che fossero uomini sia che fossero donne.
Donne e comunicazione. Dove le donne riescono meglio?
Le donne riescono meglio nella percettività dei messaggi non oggettivi, nel recepire stimoli che non sono necessariamente codificati e strutturati secondo canali comunicativi ortodossi. Le donne sanno apprezzare toni di voce, prima ancora che le parole pronunciate, le donne sanno leggere ed interpretare il linguaggio del corpo. Di conseguenza, pur senza fingere o recitare, le donne sanno trasmettere molto meglio i messaggi, utilizzando le posture del corpo, gli sguardi, le sfumature. In questo devo dire che la maggior libertà di abbigliamento delle donne, rispetto agli uomini, può essere di aiuto; almeno in ambito professionale. L’abito, la camicia e la cravatta, per gli uomini, standardizza ed omologa. Per questo io da anni ho iniziato a adottare un abbigliamento più casual, a non nascondere più i tatuaggi, anche sul posto di lavoro. Vuoi sapere qual’è la cosa che più mi ha stupito? Che da questo punto di vista le uniche critiche che mi sono arrivate mi sono state espresse da parte di colleghe e manager donne.
Infine donne e tecnologie. Quanti passi hanno fatto avanti? Oppure sono rimaste relegate ancora all’aspetto umanistico di redazione?
Le donna sono ancora molto carenti, generalmente, nell’utilizzo delle tecnologie; ma secondo me in questo c’è una gran parte di colpevolezza e pigrizia. Le donne che si sono rese autonome rispetto alla gestione delle tecnologie sono quelle che sono state obbligate a farlo, che hanno perso il supporto “maschile”. Tutte le altre si impigriscono e cedono alla comodità di avere qualcuno che faccia per loro quello che potrebbero benissimo farsi da sole. Per capirci, è come lo stirare o attaccarsi un bottone o rifarsi il letto per un uomo, io devo ringraziare mia madre, che non per femminismo, ma per pura sopravvivenza ha dovuto fare in modo che ognuno dei suoi figli sapesse farsi da solo qualsiasi cosa. Questo mi ha reso autonomo, capace di fare da solo tutto questo, ma soprattuto di capire che posso fare da solo qualsiasi cosa, indipendentemente che siano considerate “da uomo” o “da donna”. Mia figlia fa da sola qualsiasi cosa, usa internet meglio di me e del fratello, usa il cellulare, e spero che lei e la sua generazione non soffrano degli stessi condizionamenti mentali che oggi impediscono di fatto alle donne di essere autonome nel fare qualsiasi cosa, sia “da uomo” o sia “da donna”.