di Cristina Obber
Il documentario di Amnesty International, “Still on the Frontline” racconta delle donne che in Bosnia-Erzegovina sono state vittime di stupri di guerra.
La guerra è finita nel 1995, eppure le donne reclamano ancora il riconoscimento delle violenze subite.
Dice Amnesty International “La violenza di genere non ha inizio quando la guerra ha inizio, non finisce quando la guerra finisce”.
Bisogna sforzarsi di immaginarli questi anni, fatti di mesi e giorni che passano uno dopo l’altro mentre prende forma un nuovo nemico, il silenzio.
Un silenzio che giorno dopo giorno cerca di zittire donne ostinate e disobbedienti.
Le istituzioni vogliono che dimentichino, le loro famiglie vogliono che dimentichino, i loro uomini vogliono dimenticare.
Le donne no.
Le donno vogliono giustizia, le donne vogliono parlare.
Perché nel dolore non detto la violenza si compie nuovamente, ogni giorno.
Come per Veronica, la ragazza che nel libro “Non lo faccio più” racconta lo stupro subito dai suoi amici dell’università.
La scorsa settimana Veronica mi ha chiamato, stavo guidando, di ritorno da un incontro in una scuola. Le ho detto che quando una ragazza aveva letto ad alta voce la sua storia in quella palestra affollata c’era un silenzio assoluto.
Le ho detto che negli occhi delle ragazze e dei ragazzi c’è la possibilità che le cose vadano diversamente.
Poi ho smesso di raccontare, chiedendole scusa se forse le stavo creando turbamento.
E Veronica mi ha risposto “Tutto questo che stai facendo sta dando un senso a quanto è successo.
E’ come se avessi fatto la pace col mondo”.
Ho sentito un brivido percorrermi il corpo, ho respirato il suo sollievo ma anche il suo dolore non detto, il suo silenzio, quel silenzio che per dieci anni ha cercato di soffocare qualcosa di non soffocabile.
Abbiamo parlato un po’, poi ci siamo salutate.
Mentre guidavo continuavo a sentirlo quel suo silenzio, assordante come il silenzio nel documentario, come quello che nelle nostre case sovrasta la rabbia e alimenta la rassegnazione.
E’ un silenzio uguale per tutte, che come una coltre impalpabile si appoggia sulle nostre vite, dentro e fuori le nostre case.
Si appoggia lieve, quasi protettivo, e invece lentamente ci attanaglia, diviene armatura e poi morsa che stringe.
E’’ il silenzio il nostro nemico.
Forse per questo Amnesty internationa ha organizzato un evento a Milano dove quel documentario e il mio libro, apparentemente lontani, hanno parlato insieme di violenza.
Break the chain, spezza le catene.
Danza, sollevati.
Io non sono invisibile, sono semplicemente meravigliosa.
One billion rising è il corpo che balla, è il corpo che dice, che non sta zitto.
Anche a Sanremo hanno ballato, e ho apprezzato.
Peccato che non abbia ballato anche Fabio Fazio, peccato non abbiano ballato anche dei maschi.
La violenza non è solo “cosa di donne”, ma “anche”.
E’ un problema maschile irrisolto, che in quanto irrisolto diventa femminile.
E’ un problema “anche” femminile se le donne continuano a sentirsi sole, se le donne non escono a ballare tutte insieme, se non alzano la testa per sollevarsi.
Ha detto bene Luciana Littizzetto su quel palco: “Non abbiamo sette vite come i gatti, ne abbiao una!”
Dance, rise!
Ballare per risalire, per spezzare un silenzio divenuto insopportabile.
Io ho ballato a Milano, in Piazza Duomo.
Con me ho portato anche mio figlio, che ha 11 anni.
Per insegnarli che contro la violenza mettiamo in gioco il nostro corpo, insieme ad altri corpi, corpi di femmine e corpi di maschi.
Che siamo vivi e vive, che non stiamo zitte e nemmeno zitti, che la vita ci piace e la vogliamo ballare. Tutta.
articolo da www.nonlofacciopiù.net
1 commento
Tanto concordo con quanto espresso in questo articolo che, ancor prima di commentare, l’ho condiviso nel mio diario di Facebook, dove la mia immagine porta il cartello “ci metto la faccia. Stop al femminicidio” e la foto di fondo è del One Billion Rising di Bari (sotto la pioggia). Diffonderò il post nei diversi gruppi di Antiviolenza , di cui faccio parte, e nel mio “Valorizzare i generi nella differenza “. Mai più tacere ! Due anni fa in un incontro con 300 ragazze scatenate di scuole diTerlizzi (Bari) mi sono trovato in difficoltà a parlare in pubblico, forse per la prima volta, perchè sono intervenuto subito dopo la lettura di una lettera di una donna malmenata da suo marito, che raccontava anche l’indifferenza della sua famiglia ! Durante la lettura quelle 300 scalmanate rimasero in silenzio asfissiante (con qualche singhiozzo !) e così rimasi per un po’ all’inizio del mio intervento. Il problema non è delle donne o degli uomini , è di tutta la società. Non è degli altri e l’incitamento che ho portato in tutti i miei incontri sul tema della violenza sulle donne e sul femminicidio è di parlarne , di non pensare sia amore eccessivo, di non pensare che il violentatore, la bestia, il troglodita è padre dei propri figli, di parlarne con una persona di cui si ha fiducia e per chi non ha subito violenza, ma nota atteggiamenti strani, di chiusura, inusuali da parte di amiche, parenti, figlie , esprimo l’invito a far parlare la persona chiusa ed incupita, perchè racconti, si sfoghi, ma poi denunci ! So che le leggi sono ancora farraginose, che le forze dell’ordine non sempre sono preparate a comprendere, ma solo parlandone, solo dimostrando , si arriva a parlarne al Festival , in TV e forse nel nuovo parlamento, con sempre più donne, meno omologate al maschile, per legiferare con chi l’invasione del proprio intimo l’ha subito ! Negli incontri portoi anche diversi corti (il purièremiato con la Mezzogiorno) tra cui alcuni creati da studenti di un liceo di Corato (Bat) stimolati sl tema. Sono bellisssimi e loro hanno elaborato il tutto parlandone anche in assemblea e, ricordo, un ragazzo abbastanza beat o alla moda, ch sbrindellato nel vestiario ha parlato cn il cuore entusiasta di averne parlato finalmente in una assemblea ! Continuiamo, mettiamoci la faccia, parliamone ovunque e con chiunque ! Il problema, perchè tale è l’incomunicabilità e la perdita del possesso patriarcale, non è delle donne !!!