Portiamo alla vostra attenzione questa intervista apparsa sul Corriere della Sera e scritta da Sabina Ambrogi
Intervista a Sasha Shevchenko, una delle cofondatrici delle Femen
Sasha Shevchenko ha 24 anni, è laureata in economia all’università di Kiev e ha tatuato sul décolleté “studia, studia, studia”, una frase di Lenin, per lei il più grande filosofo di riferimento.
Il giorno del conclave era a San Pietro con il seno nudo a gridare “mai più papa”, con un’altra ucraina Oksana Shachko, già apparsa durante il voto a Milano contro Berlusconi.
Assieme ad Anna Hutsol sono loro le cofondatrici dell’organizzazione Femen, nome deciso per caso ma che ha un suo significato reale in latino: “coscia”.
Fondata in Ucraina nel 2008, l’ong femminista ha avuto come prima sede Kiev. Oggi, a distanza di cinque anni, riunisce attiviste ovunque: Germania, Olanda, Italia, Brasile, Stati Uniti, Messico, Tunisia, Canada e Francia dove, all’interno di un atelier di Parigi, si è ormai spostato il quartier generale (eletto anche domicilio della quarta leader del movimento Inna Shevchenko).
Si riuniscono su Facebook e via skype decidono dove portare le azioni di protesta. I loro blitz seguono una liturgia per nulla affidata al caso: nel tempo hanno codificato gesti, azioni, comportamenti.
Grazie all’aiuto delle “sexestremiste” più esperte, tra cui c’è anche Sasha, si allenano a saltare transenne, a scappare, a gridare slogan, e anche ad avere la tenuta psicologica di mostrarsi seminude in strada in occasioni ufficiali e spesso ostili ai loro comportamenti, senza per questo sentirsi vulnerabili.
Ad ogni protesta poi la polizia arriva puntualmente per completare la seconda parte del messaggio urlato e dipinto sul corpo.
Il fundraising per la sopravvivenza dell’organizzazione ha destato più di una perplessità (un’azione l’8 marzo dello scorso anno a Istanbul è stata totalmente sponsorizzata da una marca di intimo femminile), ma le femen hanno sempre negato qualsiasi forma di ingerenza dei loro sostenitori nelle decisioni dell’organizzazione.
Sono ora in Tunisia a sostegno dell‘attivista femen Amina Tyler che, dopo aver pubblicato una foto su Facebook con la scritta “fuck your morals” e “il corpo è di mia proprietà e non è l’onore di nessuno”, non solo è stata scomunicata dalla famiglia come “donna con problemi psichici gravi”, ma per l’imam Adel Almi merita la lapidazione.