Mancata parità di genere o in un’ottica più ottimistica, sulla parità non ancora raggiunta
Si dice e si legge tanto sulla mancata parità di genere o in un’ottica più ottimistica, sulla parità non ancora raggiunta e su come la società, nonostante il grande momento di crisi e il forte bisogno di rinnovamento e cambiamento, si ostini a marciare entro binari oramai obsoleti e maschilisti.
Questo scenario generale che vede le donne, anche quelle valorose e capaci, a fare i conti con ostacoli e impedimenti nel loro percorso professionale e nella loro carriera, ottenere salari inferiori ai colleghi maschi a parità di incarico e con il carico del “double job” ancora sulle loro spalle, è spesso oggetto e motivo di critiche, movimenti e indignazioni contro il mondo maschile e soprattutto contro le istituzioni e la politica, che sembrano essere cieche o sorde (decidete voi) rispetto all’universo femminile.
Per quanto ritenga che tutto ciò sia assolutamente vero e che la nostra politica conservatrice sicuramente lasci poco spazio alle donne e non faccia così bene alla collettività e alla comunità, credo che sia giunto il momento di fare auto-riflessione. Infatti la delega della responsabilità all’esterno (gli inglesi parlano di “locus of control esterno”) non è mai veritiera se presa come posizione rigida e assoluta; inoltre contribuisce solamente ad aumentare il carico di rabbia, frustrazione e impotenza, che contribuiscono solamente a generare malessere, passività e rassegnazione piuttosto che reazione costruttiva e risolutiva.
Siamo così convinte che la situazione in cui verte il genere femminile sia solo causa di una società sessista e maschilista? Oppure anche noi donne contribuiamo a mantenere questa situazione di discriminazione di genere?
Da una parte, i dati statistici confermano una condizione generale per cui le donne, oltre a rappresentare la parte più numerosa della popolazione, riescono meglio negli studi e hanno indiscutibili capacità legate proprio al genere di appartenenza e al cervello femminile per cui si distinguono, anche in termini positivi, rispetto all’universo maschile.
Dall’altra, viviamo in una società (e faccio riferimento a quella italiana, non conoscendo direttamente e in vivo le altre) in cui le donne non trovano riconoscimento e valorizzazione alla stregua degli uomini.
Perché le donne fanno fatica a cambiare questa situazione sociale?
Solo perché si confrontano con un mondo politico e istituzionale ancora maschilista?
Sarà una deformazione professionale, ma da buona psicologa cerco sempre di andare al di là delle apparenze e di vedere altro.
Penso che in realtà le donne abbiano interiorizzato, alla stregua degli uomini, gli stereotipi di genere, perché la generazione dei giovani e adulti di oggi sono stati educati secondo schemi mentali sessisti, per cui la donna deve essere “brava e ubbidiente” e l’uomo “forte e coraggioso”.
Pertanto sulla base di queste credenze popolari, ci siamo abituate a metterci da parte, ad assecondare le richieste esterne ed altrui e ad assumere un atteggiamento accondiscendente. Non per ultimo, siamo state poco educate ad esprimerci e ad affermare i nostri pensieri e bisogni. Infatti, le donne sono educate e formate, in quanto un domani madri, ad ascoltare i bisogni altrui piuttosto che i propri. Non è un caso che la dipendenza affettiva, che trova in questo aspetto esacerbato il nucleo patologico che sottostà ad un legame malsano e auto-distruttivo, sia una problematica tipicamente femminile.
Forse anche per questo motivo, le donne che sono riuscite e che riescono ad affermarsi, e la cronaca riporta vari nomi sia nostrani che europei e mondiali, sono spesso dipinte come “fredde”, “rigide”, “maschili”…ovvero con una serie di appellativi che delineano come questi esempi femminili fuoriescano dal prototipo femminile ancora culturalmente e socialmente dominante, a cui la maggior parte delle donne finisce per aderire e quindi nel quale si riconosce.
Tuttavia qualcosa sta cambiando. Infatti ci sono donne che, in diversi ambiti e contesti, cercano e provano a dare voce al proprio sapere, pensare e al pensiero e al vissuto di altre donne, nell’ottica di creare rete e un sentire di appartenenza. In particolare, faccio riferimento alla bellissima iniziativa di Sabina Ciuffini “Unaqualunque”, a Caterina Della Torre che, oltre che direttore di Dols, è una delle donne pioniere nella creazione della rete femminile, e a tutte le altre donne che, come loro, credono nel valore delle donne e in quello di fare rete fra donne.
Tutto ciò è espressione di una parte di popolazione femminile che è stanca di stare a guardare e che vuole agire per promuovere un cambiamento vero e tangibile, perché, citando il famoso slogan del Presidente Obama in occasione della sua prima campagna elettorale, “if you want, you can”.