Contro i giochi sessisti
Ricordo perfettamente che quando ero piccola, forse influenzata dal fratello maggiore e/o da una compagnia di amici e vicini di casa prevalentemente maschi, ho giocato tanto a calcio, guardato cartoni come Lupin e fra i giochi in scatola, uno dei miei preferiti era Risiko… giochi e attività che sentivo etichettare e classificare “da maschio”. All’epoca non capivo perché venisse detto questo; per me erano solo giochi, attività e cartoni che mi facevano divertire e che condividevo con gli amici.
Per quanto sia discutibile la scelta dei giochi (“de gustibus non disputandum est”, direbbero i latini), ciò non ha mai inficiato sulla mia identità di genere e non mi sono mai considerata maschio per questo.
Ad oggi a distanza di anni, ahimè di decenni, il copione si ripete: i giochi e le attività continuano ad essere sessisti, ovvero classificati in “maschili” e “femminili”.
Avete mai osservato il reparto di giochi nei negozi o nei supermercati? Gli scaffali sono divisi in modo netto ed inequivocabile: da una parte, lo scaffale delle bambole e delle winz, bratz, barbie, con colori che variano dal rosa al lilla, chiaramente destinato alle bambine, e dall’altra, quello delle macchinine, gurmiti e soldatini, neanche a dirlo per maschi.
Le scatole stesse dei giochi non lasciano spazio a grandi interpretazioni: su quelle delle bambole, compaiono solo ed esclusivamente bambine e su quelle di macchinine e trattori, i bambini. E se poi il messaggio non fosse chiaro, ci pensano gli spot pubblicitari a rimarcare il concetto: le bambine giocano con le bambole, i bambini con l’uomo ragno, le ruspe e le costruzioni.
Perché solo le bambine dovrebbero giocare con i bambolotti e i pentolini e i bambini, invece, con le macchinine?
Se ci fermassimo ad osservare i bambini piccoli senza intervenire e/o interferire in ciò che fanno, vedremmo che hanno la spinta spontanea e naturale ad imitare azioni di vita quotidiana che vedono fare e compiere a mamma e papà, fra cui sicuramente anche preparare pappe, accudire e coccolare il bambino/bambolotto, indossare scarpe dell’uno e dell’altro, annaffiare le piante etc… E questo non ha niente a che fare con il genere di appartenenza, in quanto l’imitazione dei gesti e comportamenti, come anche del linguaggio, delle figure di riferimento rappresenta la prima forma di apprendimento.
Inoltre continuare a relegare al ruolo femminile attività come preparare da mangiare, accudire i figli o pulire, significa continuare a mantenere e coltivare stereotipi di genere e trasmetterli ai figli, che poi finiscono per farli propri e interiorizzarli, determinando così una trasmissione generazionale di schemi sociali rigidi e distorti.
Stereotipi di genere che continuano a riguardare non solo i giochi, ma anche le attività che bambini e ragazzi praticano.
Conosco bambine a cui piace giocare con la palla e magari sceglierebbero, se fossero lasciate veramente libere di farlo, calcio o sport simili, mentre alcuni bambini amano fare ginnastica e altri ancora ballare, come il bambino Billy Elliot, protagonista di un famoso film di qualche anno fa.
Tuttavia per quanto qualche piccola apertura mentale rispetto a prima ci sia, “suona ancora strano” che un bambino scelga di fare danza e una bambina calcio e se e quando questo avviene, non è indenne da osservazioni, commenti e derisioni da parte di compagni e adulti.
Perché? Perché il calcio è accettabile se a praticarlo sono i maschi – anzi, spesso sono incoraggiati e stimolati in questa direzione – mentre lo è decisamente meno se ad interessarsi ad esso sono le bambine? E perché bambini che si avvicinano alla danza, devono essere considerati per questo “strani” o addirittura “omosessuali”?
I bambini si orienterebbero verso giochi e attività in base a gusti e interessi personali a prescindere dal genere di appartenenza, se non fossero fin da piccoli condizionati da messaggi sociali fuorvianti e stereotipati.
Secondo una recentericerca americana pubblicata sulla rivista Sex Roles, è la modalità con cui i genitori interagiscono con i figli nei primi anni di vita nei contesti legati al gioco, oltre ai messaggi verbali, a determinare la formazione di idee sui ruoli femminili e maschili.
Pertanto il nostro modo di interagire, i giochi scelti per i nostri figli come anche le nostre reazioni e le nostre osservazioni in merito a comportamenti, attività e giochi che possono avere, condizionano significativamente la costruzione delle dell’idea di “uomo”/ “maschile” e di “donna”/”femminile”.
Qualche segnale di cambiamento inizia ad arrivare dalla Gran Bretagna, dove sta prendendo piede la petizione “Let Toys be toys” (“lasciate che i giocattoli siano giocattoli”). Infatti a Londra i superstores Harrods e Hamleys hanno attivato una campagna contro il “gender apartheid” abolendo la distinzione dei giocattoli per sesso.
Anche oltralpe c’è una mobilitazione in tal senso: dal 2001 ogni anno alcuni gruppi francesi organizzano la “Campagne contre les jouets sexistes” (Campagna contro i giocattoli sessisti).
Sulla scia di queste iniziative, mi auguro che inizi a cambiare qualcosa anche in Italia.
Dovremmo restituire ai giochi il loro significato e valore ludico sganciato da etichette e attribuzioni di genere e lasciare i bambini liberi di scegliere e di esprimere gusti, preferenze e interessi, così che possano crescere con la consapevolezza e la fiducia di poter agire in sintonia e in virtù dei propri interessi e delle proprie convinzioni, indipendentemente dal genere di appartenenza. Se partiamo agendo alla radice, ovvero quando i bambini sono piccoli, ovvero quando creano e strutturano le convinzioni e le idee su di sé, sul mondo e sugli altri, forse possiamo davvero riuscire a contrastare gli stereotipi di genere e quindi la segregazione di genere.
1 commento
certo è giusto che i bambini giochino con ciò che vogliono..che sia “da maschio” o “da femmina” secondo il sentire comune