Con la crisi crolla il mito del bread-winner: in una famiglia su 10 è la donna a lavorare
Tra i molti dati significativi diffusi oggi nel Rapporto annuale dall’Istat, l’esame congiunto dei tassi di disoccupazione e di mancata partecipazione rivela alcune specificità dell’occupazione femminile in Italia. Se nel 2012 infatti il tasso di disoccupazione è stato sostanzialmente in linea con quello medio dei paesi Ue27 (10,7 contro 10,4%), “quello di mancata partecipazione, in continua ascesa negli ultimi anni, si colloca invece – si legge nel rapporto – su livelli alti (20% quello italiano contro il 13,5% della media Ue27), con valori massimi per le donne e per le regioni meridionali dove l’indicatore è quasi tre volte quello del Nord (34,2% contro l’11,8%)”. Sempre più donne insomma vorrebbero lavorare, complice la crisi che sta accentuando un cambiamento culturale già in atto: “l’aumento dell’offerta di lavoro femminile, a cui si sta assistendo – scrive l’Istat – è anche il risultato di nuove strategie familiari per affrontare le ristrettezze economiche indotte dalla crisi”. Infatti i nuclei con figli in cui nella coppia solo la donna lavora sono passati da 224 mila nel 2008 (5%), a 314 mila nel 2011 (7%) fino a 381 mila nel 2012 (8,4%). Crollato il mito dell’uomo bread-winner, in una famiglia su 10 è la donna che si rimbocca le maniche e sfama il nucleo famigliare.
La conferma di queste strategie familiari per far fronte alla crisi è data anche dall’aumento delle madri in coppia in cerca di occupazione (+34,5% rispetto al 2001, +39,4% rispetto al 2008). La ricerca di lavoro è attivata non solo per far fronte alla perdita di un impiego precedente (+56 mila le coppie in cui la donna ha perso il lavoro), “ma è dovuta anche – si legge nel rapporto – ad una decisione di rientrare, o entrare per la prima volta, nel mercato del lavoro”. Cala cioè l’incidenza di chi permane tra le inattive che non cercano e non sono disponibili a lavorare – dal 76,2 al 69,5% – mentre aumenta la quota di quelle che passano verso le forze lavoro potenziali o la disoccupazione (dal 16,5 a circa il 24%). Ma attenzione questo cambiamento tutto sommato positivo ha un caro prezzo: la segregazione lavorativa che “è da imputare principalmente – spiega l’Istat – da un lato al rafforzamento della presenza delle donne nelle professioni già fortemente femminilizzate dedicate al lavoro d’ufficio (l’incidenza delle donne è pari al 71%) e ai servizi sanitari e alle famiglie (63,4%), dall’altro ad una connotazione sempre più al maschile (…) degli imprenditori e dirigenti d’impresa”. Vinto lo stereotipo del bread-winner ce ne sono molti altri ancora radicati nel mercato del lavoro, anche se ormai la maggior parte dei laureati sono donne, che si laureano prima e meglio e vengono poi però utilizzate nelle professioni segretariali e di cura..
Questo il capitolo relativo all’occupazione femminile: Scarica Istat capitolo 3 Rapporto 2013