Disaggregare la paura. Smontarla pezzo per pezzo.
Disaggregare la paura. Smontarla pezzo per pezzo. E mostrare quanto di innaturale ci sia in quelle che ci assediano e paralizzano oggi. Già. Perché un conto è provare terrore per un cancro che può raggiungerti a causa dell’inquinamento da polveri sottili, un altro è essere terrorizzati dalla fine del mondo o dallo scoppio di un conflitto mondiale.
E’ questo l’obiettivo del libro “Dieci in paura”, pubblicato di recente da Epoché. In tutto dieci interventi, scritti da autori vari, di età e provenienza geografica diverse, coordinati da Maria Nadotti, giornalista, saggista, consulente editoriale e traduttrice.
“L’idea- spiega Nadotti – nasce da una proposta del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza di Roma, che voleva capire perché ci fosse discrepanza tra il reale e l’immaginario collettivo, soprattutto in materia di sicurezza. Negli ultimi trenta anni ci si è resi conto che, spesso, nonostante il numero degli episodi di microcriminalità si riducesse, la paura degli italiani di essere aggrediti da rom, e in genere, extracomunitari, tendesse a salire. Di qui, l’idea di scrivere dei racconti che raggiungessero l’inconscio collettivo, la nostra zona d’ombra, più facilmente maneggiabili attraverso informazioni calde. Quindi storie che toccassero i sentimenti più intimi. E, appunto, aiutassero a filtrare, distinguere le paure sane, quelle connaturate all’uomo, legate al senso del limite, che hanno permesso alla nostra specie di riprodursi ed orientarsi, e quelle sintetiche” . Autentici strumenti di controllo nelle mani di chi ci governa.
Oggi, secondo la giornalista, la paura è il principale strumento di propaganda politica e il più sfruttato dei temi mediatici. “Mettere al centro delle questioni- sottolinea- il senso di insicurezza che le si accompagna fa vincere le elezioni, innalza gli indici d’ascolto e, soprattutto, incontra l’approvazione dei cittadini. Non c’è telegiornale, comizio o trasmissione televisiva che non riproponga la scena della tranquillità violata”.
Ma cosa si nasconde dietro la recente ossessione per la sicurezza? Quanto c’è di naturale o spontaneo in questo fenomeno e quanto di fabbricato e accuratamente alimentato? Chi ne sono gli artefici? E, soprattutto, a chi giova? E come aiutare a capire che spesso è la paura che suscita la minaccia, e non il contrario, per dirla con Iury Lotman? I dieci racconti, dunque, guidano il lettore a comprendere i vari meccanismi che fanno montare la paura. E a tentare di darsi delle risposte.
Ma ogni Governo usa la paura per stimolare nei cittadini il forte bisogno di essere protetti e guidati? Per Nadotti, alla paura i governanti ricorrono sempre. In forme diverse. Oggi si usano sistemi virtuali e veloci per far dilagare la paura. Però, a rafforzare tale strumento di controllo, secondo la pensatrice, è la cultura a senso unico, che si è imposta dopo il crollo del Muro di Berlino. “Nel 1989- fa capire- con la fine della Guerra fredda, si passa subito da un mondo diviso in due blocchi, con due sistemi di pensiero, molto polarizzati, ad una monocultura. Ad un grado zero di pensiero. Le parole si inaridiscono, e con loro, la politica”. Niente più scontro-incontro tra modi diversi di pensare, ma solo conflitti tra persone. Con l’età della globalizzazione, poi, e la promessa di privilegi per pochi, diventa più facile minacciare flagelli, eventi impetuosi capaci di sconvolgere equilibri precostituiti. E chi detiene ricchezze, pochi, in verità, diventa destinatario di tali paure. La società si fa più complessa, ma le risposte ai problemi si semplificano. Si crea lo stato di emergenza continuo. L’isteria e l’allarmismo diventano il sottofondo costante della nostra esistenza. “La cura- spiega la scrittrice- invece, di sciogliere i sintomi, li moltiplica e li amplifica in un vortice sempre più governabile di paranoia e isteria. La complessità, che per sua natura è portatrice degli elementi di imprevedibilità che permettono alla storia e alle relazioni sociali di rinnovarsi, è piegata a dualità statiche e non conciliabili”.
Tutto questo avviene perché abbiamo smarrito gli strumenti per fare conoscenza, scandagliare, osservare con attenzione e distinguere la paura della solitudine, del dolore, della delusione, iscritta nel Dna di ciascuna vita, e la paura di epidemie mortali. In questo senso, anche i media non aiutano. Perché spesso sono presi dalla fretta. E più che informare, deformano.
E, allora, cosa fare? Intanto esercitiamoci, propone Nadotti, ad avere paura della paura. E guardiamo con lenti più cristalline i cambiamenti, inevitabili. Bando ad inutili atteggiamenti isterici, agli allarmismi, per esempio, da imminente entropia. I governanti dovrebbero rispettare il patto con i governati e impegnansi a fare luce su problemi reali, concreti. Anche noi, non possiamo più permetterci di abboccare ai copioncini politico-mediatici e confondere il reale con l’immaginario. Certo, non è facile guardare giù, dentro di noi, provare a conoscere le radici delle nostre fobie, vedersela con il proprio inconscio. Ma si deve fare. Prendere atto di come siamo fatti realmente.
“L’ironia- continua- e la migliore informazione ci salveranno. Allora non ci lasceremo più infinocchiare da chi promette salvezza eterna e capiremo che in quanto umani, un po’ soffriremo, moriremo, saremo delusi e ciò nonostante, vivere è bellissimo. Non c’è una soluzione a tutto, come diceva Marx. Per questo, senza retorica, bisogna vivere i piccoli piaceri della vita. E’ questo l’antidoto alla paura.
Cosa dire a chi dice di non avere paura di niente? “Stai attento – dice sorridendo- la paura è in agguato. Sei un pò in pericolo e prima o poi la paura arriva. Con la cognizione del dolore. Goditela finché puoi”.