di Patrizia Menanno
Il turista che giunge a Formia percorrerà, nei giorni di permanenza, certamente il Lungomare della Repubblica, Via Vitruvio, Via Ferdinando Lavanga, via Nenni, Via Saragat, Via Afan de Rivera, Via Bachelet, Via Berlinguer, Via Benedetto Croce, Via Tacito, Via Sthendal, Via Emanuele Filiberto, Via Marziale, Via Nerva, Via Orazio, Via Virgilio, Via Vespucci, Via Togliatti, Via Che Guevara. Girerà per Formia e troverà una decina di strade e piazze intitolate a sante o beate. Imboccherà viottoli e stradine secondarie e periferiche e si imbatterà in Via Tullia: l’unica donna, ad oggi, a godere di una via formiana, tra l’altro, più che per meriti propri, per essere stata figlia del ben più celebre padre Marco Tullio Cicerone.
Le fantasiose commissioni toponomastiche locali succedutesi negli anni hanno, nell’ottica di una visione maschilista ed androcentrica, preferito assegnare a vie e piazze ed edifici pubblici, nomi di fiori e piante, di mari, oppure hanno preso spunto dalle peculiarità orografiche e architettoniche del luogo come pietra erta, pietre composte, tre ponti, gradoni del duomo, o ancora addirittura ispirarsi a città come Sparanise, Ferrara e Ausonia.
Per tradurre in numeri il fenomeno abbiamo che di 331 strade formiane, 108 sono intitolate a uomini, 12 a donne di cui 4 a madonne e 7 a sante o beate. Come dire alle donne che per essere degne di una via l’unico modo è di aspirare al martirio.
Ma è questo uno dei tanti argomenti contro fenomeni sessisti o ritenuti tali, privi però di una rilevanza pratica? Riteniamo di no, perché tale sistema omissivo, subdolamente si insinua nell’immaginario collettivo e concorre a formare le coscienze in maniera acritica e subliminale, trasmettendo alle bambine un modello univoco.
L’assenza delle donne anche nella segnaletica stradale, nei monumenti e negli edifici dedicati, è un marcatore che rivela, al pari di una cartina al tornasole, il ruolo a cui le donne sono state relegate dalla storia: viene in mente, ad esempio, il detto “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna” che non è affatto un’espressione che riabilita o risarcisce le donne, anzi le confina senza possibilità di appello in una posizione di anonimato, all’ombra di un uomo che a volte non è neppure così grande. Gli esempi di questi ultimi trenta anni di storia ci trasmettono immagini di first lady che ben avrebbero figurato nell’olimpo della politica mondiale “davanti” ai loro uomini e che, invece, hanno passivamente accettato un ruolo marginale e secondario.
Occorre allora intervenire in maniera costruttiva e rimuovere anche questi stereotipi che configurando una indubbia discriminazione determinano una disparità tra uomini e donne.
E’ indubbio, infatti, che la simbologia può dare un contributo all’evoluzione culturale di un paese ed essere la vera chiave di volta per una rivoluzione che restituisca dignità alle donne affinché traggano la loro forza e ispirazione dai tanti modelli esemplari che hanno dato lustro, per motivi diversi, al genere femminile. La forza ed il valore dei simboli è universalmente riconosciuta e attraverso essi le donne possono trovare o riscoprire la loro identità per troppo tempo negata.
Il simbolo infatti, in questo caso una targa, il nome di una via o di una struttura, appartiene alla comunicazione, al modo cioè con cui si trasmettono le informazioni ed è sempre evocativo, in quanto il suo significato o meglio il contenuto che esso esprime, diviene “significante”. Orbene fino ad oggi, è stato trasferito ai cittadini e soprattutto alle cittadine il concetto secondo cui nessuna donna ha raggiunto livelli così importanti da renderla meritevole di essere ricordata. Donne che sono emerse nella storia, nell’arte, nella filosofia, nella letteratura, nella politica o nelle professioni, donne che hanno abbattuto pregiudizi e ostacoli, che hanno rischiato la vita anche in operazioni di tipo militare o che anche nell’antichità si sono cimentate nella poesia e nelle scienze sono state dimenticate, o peggio cancellate e ciò soltanto perché la storia dell’umanità viene trasmessa ancora prevalentemente da uomini che ne tracciano il profilo da un loro punto di vista e sono una creazione delle loro menti.
Formia è una città in cui le donne sono invisibili alle altre donne e agli uomini e la mancanza di autostima che si riflette sulle nuove generazioni è di tutta evidenza, anche avendo riferimento ad esempio alle ultime elezioni politiche, in cui dopo la discutibile trovata – alquanto invisa – delle quote rosa, i cittadini e le cittadine hanno avuto la possibilità di eleggere donne grazie allo strumento della doppia preferenza. Ebbene, pur con un numero di candidate donne elevatissimo, il risultato è stato scarso, perché se è vero che nell’attuale Consiglio comunale troviamo ben 4 “consigliere” comunali (con un raddoppio del numero, quindi, rispetto al Consiglio uscente eletto con la precedente normativa), esso non è così significativo come forse lo stesso legislatore si auspicava. I motivi sono tutti da analizzare come lo è lo stesso meccanismo elettorale ma, certamente, un ruolo rilevante può essere attribuito al substrato culturale e ambientale tipico italiano.
E’ il momento, quindi, di riequilibrare, anche per onestà intellettuale, una odonomastica frustrante e che poco risponde a criteri di verità storica.
Credo che nessuno si offenderebbe se a Formia le innumerevoli ma anonime vie “dei fiori e delle piante” fossero sostituite con quelle “della parità” ispirandosi ad esempio a Callas, Evita Peron, Nilde Iotti, Marie Curie, Maria Montessori, Simone Veil, Eleonora Duse, Alda Merini, Anna Frank, Oriana Fallaci, Indira Ghandi, Anna Magnani e oggi, anche Rita Levi Montalcini, Mariangela Melato o Franca Rame.
Le amministrazioni possono fare molto, intercettando le iniziative esistenti e facendole proprie, e nell’esercizio di “buone pratiche” maggiormente inclusive delle donne, possono emanare regolamenti cittadini sulla toponomastica che contengano norme antidiscriminatorie e consentano di rendere paritaria tra donne e uomini l’intitolazione delle strade.
Dallo studio della toponomastica di Formia emerge un dato altrettanto grave: oltre al generale Dalla Chiesa, infatti, non esiste neppure un vicoletto sperduto intitolato a Falcone, Borsellino o Peppino Impastato. E se il valore di un’intitolazione è, come si è detto, fortemente simbolico, allora la negligenza o la colpevole omissione ha un significato tutt’affatto irrilevante. Ma questa è un’altra storia