La grande struttura di “Pane e Pomodoro” di Bari è soprattutto una spiaggia comunale, non si pagano nè l’ entrata, nè i servizi. Il nome deriva dal fatto che da sempre questo luogo è stato meta di incontri…bastava un tavolinetto, un po’ di “pane e pomodoro”, qualche bevanda e se uno non aveva compagnia, la compagnia si poteva trovare anche lì. Oggi che ci sono viali e strutture varie a rendere confortevole il posto, ogni barese DOC la considera ancor di più un salotto per socializzare, anche se ci si va soprattutto per prendere il sole a fare qualche bracciata in sicurezza. Del resto è la spiaggia più accessibile con i mezzi di linea, a piedi, in bici, volendo si può parcheggiare l’auto. Ci sono delle piccole dune di sabbia degradanti verso il mare, lo scoglio a destra, il prato all’inglese e il prato grigliato per quelli che non amano rotolarsi nella rena, un bar con la musica e al di là del viale palme di tutte le dimensioni alternate a chiazze di macchia mediterranea forniscono ombra sufficiente per chi ama vedere il mare da una certa distanza, senza impicciarsi troppo nella confusione della battigia!
Ieri ci sono andata senza amiche, così ho disteso il mio asciugamano poco lontano da un gruppetto di donne, per sentirmi meno sola. Loro erano già ben affiatate ed equipaggiate: lettini, tavolinetto, tutta una serie di cremine e abbronzanti, riviste, pareo e mollettoni per capelli in bella vista.
La donna che “teneva banco” occupava una sdraio dando le spalle alla mia postazione: non la vedevo, ma sentivo ben chiara la sua voce allegra mentre proponeva alle altre ricette estive veloci, raccontava le vacanze dei figli, le invitava alla prossima festa per il compleanno che si sarebbe svolta in una villa. Le amiche commentavano, inserendosi faticosamente qua e là fra le onde dello tsunami biografico che questa primadonna elargiva tutt’intorno con grande entusiasmo. Una famiglia “normale” la sua, un marito ancor giovane, attento alle esigenze della famiglia, un figlio con lavoro part time, una ragazza all’università, già fidanzata, un grande entourage familiare affiatato, che per riunirsi tutto, doveva noleggiare una sala per ricevimenti.
Dato che, essendo dietro di lei, a distanza regolamentare, potevo vedere solo le sue braccia e le sue gambe, nervosette e ben tornite, iniziai ad immaginarmi anche l’aspetto sconosciuto di questa esuberante signora: sicuramente bruna, abbronzata, sui cinquanta, casalinga impegnata a tempo pieno in tutte quelle piccole/grandi cose donnesche della serie: organizzazione di matrimoni, feste e pranzi, spese comunitarie, benessere dei propri cari, anche del cane e del gatto, qualche comitato scolastico o parrocchiale o di quartiere… esercizio faticoso per me, stavo quasi per addormentarmi, quando una del gruppo esclamò: “un altro, UN ALTRO ? Non è possibile.! Senti qui, ancora in famiglia è successo…” Le altre le si affiancarono per leggere l’articolo del giornale; la “mia” donna no, rimase seduta , senza neanche sollevarsi; vidi le sue mani ben curate circondare con forza i braccioli della sdraio, e rimanere immobili.
Mentre tutte le amiche meditavano sul triste caso scuotendo la testa, lei cominciò a parlare: “Povera piccina, che pena! Si riprenderà mai? Che già è un trauma quando si vuole bene, poi, si sa, un giorno non è come un altro… una si credeva chissà che…a sentire quello che si dice prima…lasciamo stare, mò, poi, un po’ l’abitudine. Le altre sussurrarono ognuna qualcosa, così che non riuscii a capire se erano d’accordo o no. Lei continuò, come per associazione di idee: “Mia madre diceva sempre che gli uomini sono tarati in testa con il sesso e dove possono prendere prendono, non pensano… e diceva anche che i bambini bisogna proteggerli, soprattutto dagli altri di famiglia. Mia madre non ci lasciava mai sole”.
Ed io cominciai a pensare: ma perché adesso parla di “abitudine” di “sua madre” ! La descrizione del “trauma” ci può stare nel discorso, ma che c’entrano le altre cose ? Mi girai su un fianco e cercai di non pensarci. Troppo complicato pensare in spiaggia! Ma non ci riuscii, anzi mi sembrò quasi che qualcuno improvvisamente mi chiamasse da lontano e sollevai di scatto la testa. Le mani ben curate della prima donna erano ancora sui braccioli della sdraio, non più aggrappate, ma allungate, inerti, come addormentate. E non so perché mi sentii triste. Non triste per un fatto specifico, ma triste di una tristezza infinita, diffusa, e pur consapevole della propria inutilità. Abbassai il viso fra le braccia, come per proteggerlo dal sole, mi prese un attimo di compassione e alcune lacrime silenziose non riuscii proprio a fermarle.
Oltre il mio asciugamano, fronte al mare, come in un film quando sfuma l’ultima scena, la mia protagonista ripeteva “ mai , mai sole…” e ogni volta il suo “mai” diventava, più esile, quasi la voce lontana di una scolara in punta di piedi, con le sue treccine saltellanti che si allunga sulla lavagna per cancellare bene in alto le ombre di un disegno, ormai di nessuna importanza.