Perché quando parliamo di figli, il pensiero va subito diretto alle madri?
Perché quando si parla di conciliazione famiglia-lavoro, si fa riferimento solo alle donne?
Troppo spesso la questione dei figli è considerata come riguardante esclusivamente le madri, come se i padri non esistessero o fossero periferici. Chiaramente questa concezione popolare ancora vigente risente del vecchio schema familiare, per cui il padre era colui che viveva outside occupandosi di garantire il sostentamento economico della famiglia e della prole (“breadwinner”), mentre la madre era colei che si occupava principalmente, per non dire unicamente, della cura della casa e dell’accudimento dei figli.
Tuttavia i tempi sono cambiati; la famiglia moderna è assai diversa rispetto al modello familiare delle generazioni precedenti. Come è vero e comune, per vari e diversi motivi, che la donna di oggi è molto spesso impegnata anche sul fronte lavorativo, deponendo lo scettro di “regina del focolare”, è altresì vero che la generazione dei “nuovi papà” non è più centrata solo ed esclusivamente sul lavoro. Al contrario, i padri di oggi vogliono svolgere un ruolo più attivo e partecipe in famiglia e soprattutto nella vita dei figli, fin dalla loro nascita. Purtroppo il problema sta nel fatto che a questi mutamenti sociologici in seno al sistema familiare e all’identità paterna delle nuove generazioni adulte non corrisponde, almeno in Italia, un altrettanto progresso delle politiche sociali e lavorative sulle parità di genere.
Come si legge in “Rivoluzione Womenomics”, nei paesi scandinavi il congedo parentale è stato reso neutro, così da lasciare i genitori liberi di scegliere come usufruirne, e quindi offrendo ai padri l’opportunità di poterne godere anche più delle compagne.
Nel 2009 in Norvegia, il congedo parentale riservato ai padri è stato esteso da sei a dieci settimane, con il preciso intento di raggiungere un maggior equilibrio di genere in ambito lavorativo e familiare.
Laddove queste manovre politiche tardano a concretizzarsi, come appunto in Italia, gli uomini dichiarano un’insoddisfazione rispetto alle opportunità loro lasciate al fine di occuparsi in prima linea dei figli. Da vari studi di settore, emerge da parte dei padri il desiderio di orari lavorativi più flessibili al fine di facilitare la conciliazione lavoro e famiglia.
L’istituto bancario britannico TSB, in collaborazione con Fathers Direct (centro nazionale di informazioni sulla paternità), ha avviato uno studio per indagare sulle barriere che impediscono agli uomini di poter esercitare attivamente il proprio ruolo genitoriale nella cura e nell’educazione dei figli.
Quali sono (sarebbero) i vantaggi di una maggiore partecipazione attiva dei padri nella cura dei figli?
Gli effetti positivi sono molteplici. In primo luogo, come abbiamo già detto, questo risponde alle richieste e alle aspettative della generazione dei padri moderni ma anche chiaramente a quelle delle madri, favorevoli ad un maggiore coinvolgimento dei compagni. Ciò andrebbe a beneficio anche della crescita psicoaffettiva dei figli, che non possono che giovare della presenza partecipe di entrambi i genitori alla loro cura e educazione. Non per ultimo, come scrive Sheryl Sandberg nel suo libro “Facciamoci avanti”, un maggiore equilibrio di genere contribuirebbe a maggiori probabilità di sviluppo e mantenimento di un rapporto di coppia e di un equilibrio familiare sereno. Questo è facilmente intuibile, perché, come prima detto, questa situazione andrebbe a rispondere sia alle esigenze dei padri, che così non si sentirebbero esclusi, sia delle madri, che così evitano il rischio di sovraccarico, oltre a offrire maggiori opportunità di condivisione.
Oltre ad una maggiore serenità familiare e dei singoli componenti della famiglia, come scrivono A. Wittenberg-Cox e A. Maitland, il maggior coinvolgimento dei padri nella cura dei figli, “renderebbe più facile alle donne liberare appieno il proprio potenziale nel lavoro” e “si farebbe un grande passo avanti nella riduzione dei danni alle prospettive di carriera delle donne”. Maggiore occupazione femminile implica anche aumento della natalità, come anche migliori prospettive di crescita economica: due aspetti cruciali per la riuscita e il mantenimento di un buon funzionamento per un Paese. A tal proposito l’Unione Europea (2007) si è espressa esplicitamente: “è un dato di fatto che i paesi che promuovono politiche di sostegno alle famiglie in aree come le pari opportunità d’impiego, i congedi parentali per entrambi i genitori e l’equità salariale, generalmente hanno tassi di natalità più alti e più donne occupate. E sono, inoltre, tra quelli con le migliori performance in termini di occupazione e crescita”.