Tendiamo a mettere sul banco degli imputati gli uomini, additandoli quando maschilisti, quando retrogradi e con una mentalità patriarcale
Quando affrontiamo la situazione delle donne e soprattutto la condizione femminile nel mondo lavorativo, tendiamo a mettere sul banco degli imputati gli uomini, additandoli quando maschilisti, quando retrogradi e con una mentalità patriarcale, quando poco inclini a credere e ad investire nel talento femminile.
Per quanto questi aspetti siano indiscutibilmente veri o per lo meno, ancora tangibilmente presenti nella realtà italiana delle imprese medio-piccole come anche dello scenario politico, ritengo che la situazione sia decisamente più articolata e complessa, che i fattori implicati siano anche altri e che riguardino tanto gli uomini quanto le donne.
Cosa non fanno le donne per migliorare la loro condizione generale e lavorativa, in particolare?
Un punto critico in cui le donne inciampano è la mancanza di cameratismo che, invece, appartiene all’universo maschile.
Perché le donne faticano a fare rete fra loro? Perché, a mio avviso, manca un’identità di genere, da intendersi come identità sociale legata al genere di appartenenza in cui riconoscersi e in cui ritrovarsi, pur mantenendo e rispettando le differenze individuali e le caratteristiche personali come anche i cambiamenti storico-sociali che si vengono a sviluppare.
Ho frequentato una scuola superiore ed una classe sostanzialmente di sole femmine (a parte un unico rappresentante maschile) e vi posso garantire che le differenze rispetto ad una classe mista, sono evidenti e tangibili: competitività, rivalità e individualismo.
Tuttora rimango basita quando leggo e osservo polemiche di mamme contro altre mamme, perché magari compiono scelte di vita diverse o hanno approcci differenti nei confronti di figli e maternità (ultimo caso pubblico, quello di Michelle Hunziker). Mi stupisco nel vedere che anziché avere un atteggiamento empatico e di sensibilità verso altre che vivono situazioni simili (perché donne, perché mamme), la prima reazione è giudicante, critica e avversiva.
Tuttora si parla di “mamme casalinghe versus mamme lavoratrici”, come se fosse una battaglia in cui due schieramenti devono dimostrare quale sia il migliore o il più efficiente. Ma stiamo scherzando?!
Per non parlare di quello che avviene nell’ambiente di lavoro. Se pensate che siano solo gli uomini quelli che possono presentare atteggiamenti ostili nei confronti del gentil sesso, vi sbagliate. Non sono poche le testimonianze di donne, più o meno giovani, che mi riferiscono atteggiamenti critici, avversivi, escludenti e vessatori da parte di colleghe… Donne da cui ci si aspetterebbe un atteggiamento più comprensivo ed empatico, e che invece sono le prime a puntare il dito contro.
Una recente ricerca pubblicata sulla rivista HR Magazine, specializzata nelle Risorse Umane, conferma che i peggiori colleghi sono le donne.
Secondo il rapporto di Eurofond (2009), se il capo è donna, i dipendenti, sia maschi che femmine, si dicono più insoddisfatti, in quanto vi sarebbe minor comunicazione interna, maggiori pressioni dall’alto e, dato sorprendente, anche un maggior numero di casi di bullismo.
Infine pensiamo alla passata ma recente campagna elettorale in cui vi è stata la possibilità di scegliere e quindi eleggere un candidato politico donna: le donne – ovvero la maggioranza del Paese – ha preferito optare per la rappresentanza maschile.
Come sostiene Odile Robotti nel suo libro “Il talento delle donne”, se vogliamo uscire da questa situazione di discriminazione, dobbiamo iniziare ad osservare e ad imparare come si comportano e si esprimono gli uomini. E questo non perché dobbiamo diventare un “surrogato maschile”, bensì per individuare e comprendere cosa manca alla donne che possono imparare dall’universo maschile e fare proprio per crescere sia nella società che nel lavoro.
E personalmente ritengo che un ingrediente fondamentale che ancora scarseggia è proprio il cameratismo, ovvero la capacità di fare squadra e alleanza femminile.
Qualcosa sta cambiando, in virtù del largo diffondersi delle reti femminili online, che denunciano il bisogno e il desiderio di confrontarsi, comunicare e “fare squadra”. Voglio vedere tutto ciò come il trampolino di lancio per iniziare veramente ad uscire dall’individualismo, “fare rete” fra donne e sviluppare una sana e necessaria identità di genere.
Questo è ciò che ci ha lasciato in eredità il femminismo: sapersi coalizzare e unire per portare avanti gli interessi di tutte le donne, che, madri o childless, lavoratrici o casalinghe, hanno tutte il desiderio e l’aspettativa di raggiungere finalmente il famigerato gender equality.
2 commenti
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Come ho sostenuto in più parti del mio libro (“Uguaglianza o differenza di genere? Un saggio scritto per le donne ma soprattutto per gli uomini”) la partecipazione delle donne al mondo del lavoro ha comportato una mascolinizzazione dei modelli femminili, con l’adattamento ai tempi, alla mentalità ed alle modalità di lavoro degli uomini, finendo con il mortificare le proprie capacità e peculiarità. Sembra infatti che la maggior parte delle donne viva la propria differenza come un ostacolo da superare, invece di riconoscerne il valore aggiunto. Al contrario noi per prime dobbiamo confidare in noi stesse e cominciare a credere nell’importanza del ruolo che possiamo esercitare sia in famiglia, che fuori, iniziando a liberarci degli stereotipi che ci imprigionano a ruoli definiti a priori ed imparando a non demandare ad altri quello che è un nostro compito precipuo, cioè di batterci per un’autentica parità, nel rispetto delle differenze. Ma è proprio questo il punto della questione: al di là delle poche paladine, la maggior parte delle donne non sembra motivata al cambiamento!