Il 25 novembre è il giorno designato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne
In tutto il mondo manifestazioni ed eventi cercano di sensibilizzare l’opinione pubblica a prendere coscienza della drammatica urgenza con cui questo fenomeno si va diffondendo. Una donna è uccisa ogni due giorni da un uomo per motivi riguardanti la sua identità di genere, e spesso quest’uomo ha con la sua vittima stretti legami, è il marito, il fidanzato, il padre: questo è il tragico bollettino di guerra del femminicidio. Solo in Italia quest’anno sono state uccise finora 128 donne; e tra il 2000 e il 2012 le vittime sono state 2.220.
Perché proprio il 25 novembre? E’ il giorno in cui, nel 1960, furono uccise le tre sorelle Mirabal: mentre si recavano in prigione a far visita ai loro mariti, vennero torturate, strangolate, e gettate in un precipizio, giustiziate perché si opponevano al regime dittatoriale che dominava nel loro paese, la Repubblica Dominicana. In Italia è solo dal 2005 che si è iniziato a celebrare questa data e quest’anno in particolare migliaia sono state le iniziative promosse in tutte le città per dire basta a questa violenza.
A Roma, in zona Acilia, quartiere Dragona, il Municipio X di Roma ha voluto celebrare la giornata con l’intitolazione del parco in via Francesco Donati a tutte le donne vittime di femminicidio, e in particolare a Michela Fioretti e Alessandra Iacullo, due donne, abitanti nel quartiere, uccise dai loro compagni nella scorsa estate.
Michela è stata uccisa il 18 aprile scorso. Il gruppo “Toponomastica Femminile” già il 27 aprile in un articolo pubblicato su Paese Sera online, a firma di Maria Pia Ercolini, fondatrice del gruppo, e Pina Arena, referente per l’area didattica, dal titolo “Ancora frutti da una vita strappata”, nell’ambito della campagna “Un albero da frutta e una panchina per ogni donna vittima di femminicidio” aveva chiesto all’amministrazione che le fosse dedicata una panchina, magari all’ombra di un melograno, nel parco ancora senza nome prossimo all’abitazione di Michela.
L’iniziativa è stata portata avanti poi dal consigliere del X Municipio di Roma, capogruppo di Sinistra ecologia e libertà, Eugenio Bellomo, e il 18 luglio il Consiglio del X Municipio di Roma Capitale ha votato all’unanimità e ha predisposto tutti gli atti amministrativi all’intitolazione del parco alle vittime di femminicidio.
Due panchine dell’area verde, inoltre, saranno dedicate a Michela e Alessandra.
Nella mattinata l’ordine del giorno era passato al vaglio della Commissione delle Elette, presieduta dalla consigliera del Partito democratico Monica Schneider, ed era stato approvato anche in quell’occasione all’unanimità.
Emanuela Droghei, assessora al Welfare e alla salute, ha scoperto la targa, dopo un breve discorso, in cui ha anche annunciato l’adesione del Municipio alla convenzione “No more”.
Ma chi erano Michela Fioretti e Alessandra Iacullo?
Michela, quarantun’anni, era infermiera all’Ospedale Grassi di Ostia e lavorava al reparto dialisi; da mesi era maltrattata e minacciata dall’ex marito, con cui aveva una causa di divorzio in corso. Guglielmo Berettini, anche lui quarantunenne, guardia giurata, non si rassegnava, la perseguitava per strada, in casa e anche sul posto di lavoro. “Tanto ti ammazzerò” così aveva scritto in uno degli sms che Michela aveva mostrato alle colleghe più intime. La sera del 18 aprile scorso, a bordo della sua auto, ha inseguito Michela lungo il viadotto Zelia Nuttal, la strada che collega Dragona ad Acilia sud. L’ha costretta ad accostare, ha estratto una pistola, e le ha sparato sei colpi mortali dal finestrino. Poi ha tentato di uccidersi. Ricoverato d’urgenza in ospedale e sottoposto a intervento chirurgico, è sopravvissuto. Intanto Michela non c’è più, uccisa da una violenza folle e disumana, ed ha lasciato orfane due figlie piccole, di sei e dieci anni. Era una tragedia annunciata: si poteva evitare? Già nel 2011 i due avevano presentato esposti ai carabinieri accusandosi reciprocamente di minacce. Ma i militari avevano inviato il fascicolo alla Procura che aveva archiviato L’anno dopo a occuparsi delle sfuriate del marito è stato il Commissariato di polizia, ma il gip non aveva voluto prendere provvedimenti, perché non c’erano certificati medici allegati. Così il Berettini, incensurato, è rimasto in libertà e con la pistola pronta a sparare contro l’ex moglie, come ha poi fatto.
A pochi giorni di distanza, a pochi passi l’una dall’altra, Alessandra Iacullo, trent’anni, baby-sitter, è stata assassinata con diverse coltellate alla gola, il 2 maggio, nella stessa borgata di Dragona, margine sud-ovest della Capitale, da un uomo di venti anni più vecchio, con cui aveva avuto una relazione, terminata da poco. La giovane è stata trovata agonizzante sotto il suo scooter in via della Riserva di Pantano, una strada isolata. Mario Broccolo voleva tornare con lei, le aveva chiesto un incontro in un bar della zona, poi i due si sono spostati in una zona poco frequentata, dove l’uomo ha accoltellato la ragazza uccidendola al culmine di una lite furibonda. Era un vicino di casa, conosciuto anche dai familiari della vittima, disoccupato con la passione per la pittura, un precedente per omicidio volontario con una condanna a diciotto anni nel 1990, un altro per un delitto colposo, altri ancora per molestie. Un violento.
“Occorre una battaglia culturale per impedire in ogni modo che possano avvenire morti così assurde e inaccettabili e, in questa battaglia non c’è dubbio che occorrano leggi più chiare e più dure per dare sicurezza alle vittime e per combattere la piaga sociale della violenza domestica, caratterizzata dalla prevaricazione degli uomini sulle donne, che rischia di sfociare, purtroppo in molti casi, nel femminicidio” Questa la dichiarazione rilasciata a caldo dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.
Sì, ci vogliono le leggi per reprimere, ma il problema è essenzialmente culturale, bisogna partire da una cultura paritaria nelle scuole e in famiglia, per porre un freno all’interminabile catena. Sono necessarie campagne concrete di responsabilizzazione e prevenzione, corsi specifici sulla violenza, sul rispetto delle donne e delle persone in generale, azioni educative quanto più diversificate e stratificate perché le violenze di genere non sono una questione di donne, ma una questione di civiltà.