Per fare l’headhunter è necessrio aver la passione di scoprire
Si diventa, direbbe Monica Calenti, ma è necessario avere la passione, l’interesse a conoscere e scoprire le persone e le organizzazioni. Nel pieno del suo percorso professionale Monica ha deciso di lasciare la sicurezza di una bella posizione in una multinazionale per fondare la Calenti & Partners. Uno studio, una boutique o come si vuole chiamarla in un edificio d’epoca della bella via Plinio a Milano. Appena entrati si è scaldati da un mobile decorato nelle tonalità di arancione che dà il benvenuto agli ospiti.
Com’è nata la tua società Monica?
Nel1998, lavoravo in agenzia di pubblicità, in Mc Cann Erickson e seguivo lo sviluppo delle campagne pubblicitarie per i grandi clienti dell’agenzia. Avevo anche la responsabilità di ricercare talenti da assumere in un momento di grande ripresa per il mondo della comunicazione, subito prima dello sviluppo del digitale. Tuttavia non c’erano molti head hunter che si occupassero di comunicazione ed ho cosi intravisto un’ opportunità. Le agenzie di pubblicità sono società poco strutturate, ai tempi lo erano probabilmente ancora meno, pochi processi e quei pochi molto flessibili. Spesso sottostaffate del 30% perché in quanto società di servizi possono perdere importanti contratti e dunque fatturato, da un anno all’altro, senza alcun preavviso. Si lavora cosi sempre tanto e sempre sotto stress, chiamati sempre a sviluppare creatività e nuove idee ben presentate in condizioni quasi sempre non adeguate: stress, paura del giudizio, paura di sbagliare. Il buon equilibrio del team e l’esistenza di un contesto di fiducia erano di grande aiuto. Grandi talenti possono essere totalmente rigettati dall’organizzazione o possono non riuscire ad esprimere il loro potenziale se non ci sono le giuste condizioni nel team. Lo stesso vale nella relazione fra il team dell’agenzia ed il team del cliente. Scegliere le persone giuste, che significa con le giuste competenze che si integrano bene nella organizzazione è dunque un fondamentale fattore critico di successo
E tu cosa hai fatto quindi?
Ho cominciato a studiare questi aspetti allenando la capacità a conoscere e valutare persone e organizzazioni. Ho affinato gli strumenti che potessero supportarmi nella valutazione e ricerca della combinazione migliore fra organizzazione e candidati e sono partita.
Qual era l’obiettivo?
Avevo 3 obiettivi fondamentali:
- · posizionare la mia società nella ricerca di talenti per aziende dove il brand è un fattore critico di successo
- · creare relazioni professionali di successo nel tempo. Riconoscere il talento non è sempre facile, ma è il normale lavoro degli head hunter, capire se il matrimonio sarà di soddisfazione per entrambi ed il successo durerà nel tempo è la cosa più difficile. La mia più grande soddisfazione è quando dopo anni le persone (candidati e clienti) sono ancora soddisfatti di essersi scelti.
- · creare un gruppo che lavora in modo tailor made sul cliente e su ogni singolo progetto, che ha passione e rispetto per le persone e che accetta di mettersi in discussione continuamente attraverso il suo lavoro, continuando a crescere e a imparare. Sono molto grata alle persone che negli anni si sono unite a me accettando di condividere questo modo di lavorare e mettendo tutte le loro energie e impegno nella costruzione del team. Clara Vitalini, la mia socia è una di queste persone straordinarie ed è con me dal 2010.
Per allenarti cosa hai fatto o studiato?
Ho fatto certamente vari corsi in ambito risorse umane, all’inizio anche corsi tecnici di selezione, ma soprattutto ho osservato tanto e fatto tante domande ai miei clienti e a tutte le migliaia di persone con cui ho parlato in questi anni. Da loro, dai loro successi e insuccessi, dalle loro riflessioni, dai loro dubbi e da tutti i loro racconti ho imparato tantissimo. Gli studi più interessanti e che più mi hanno fatto crescere sono invece stati quelli per certificarmi Counselor parecchi anni fa e successivamente Coach seguendo splendidi percorsi di studi fra cui quello di coaching ontologico in Colorado, vicino a Denver (Newfield Network). Quella del coach è una professione che aiuta le persone a raggiungere i loro obiettivi, a superare i blocchi, le rigidità, le paure. Allena la flessibilità, insegna a guardare al mondo ed alla propria vita da nuovi punti di vista, a cambiare ottica, a cambiare paradigma. Quando si ha a che fare con le persone, che sia per aiutarle a cambiare o per riconoscere il loro talento e potenziale e valutarle nelle interviste di selezione, la tecnica ed i tools sono fondamentali, ma è fondamentale la capacità di ascoltare davvero, l’interesse, la capacità di osservare e l’umiltà di porsi davanti a tutti con la curiosità di conoscerli. Queste scuole mi hanno insegnato questo ed una grande profondità di osservazione.
E come sei arrivata all’head hunting?
I settori che mi interessavano sin dall’inizio durante il liceo erano la fotografia (soprattutto delle persone ) e come le persone si comportano e reagiscono nelle differenti situazioni (che in termini di studi significa psicologia). Quindi mi piaceva osservare, conoscere le persone. Poi la famiglia, la scuola, gli esperti con cui ci si confronta e le spinte che da questi si ricevono mi hanno portato per altre strade: marketing, pubblicità, la vita in azienda, nelle multinazionali del largo consumo prima e della pubblicità dopo. Ho fatto tante esperienze e mi sono davvero divertita a studiare i consumatori, lanciare prodotti nuovi, costruire l’immagine delle marche! In quegli anni era tutto in sviluppo,facile! Sembrava tutto possibile, bastava avere buone idee ed il successo era quasi garantito! Quando mi hanno affidato in agenzia la responsabilità oltre al resto, di fare selezione ho però visto la possibilità di mettere insieme la competenza sviluppata nel marketing e nella comunicazione e la passione nel capire le persone, mi sono scontrata con tutte le mie paure di lasciare la sicurezza della grande azienda per aprire una attività imprenditoriale, ho guardato vantaggi e svantaggi ed ho preso la decisione.
C’è stato un episodio scatenante?
Si certo, ritornavo da un cliente fuori Milano era tardi ed era un periodo di lavoro molto intenso in cui tornavo a casa sempre molto tardi, i miei bimbi erano piccoli e non li stavo vedendo molto. Di questo non ero affatto contenta ed ogni giorno era una negoziazione con me stessa sull’ora a cui sarei riuscita a tornare a casa. Quella sera, per tornare velocemente, procedevo a velocità elevata, molto elevata e …….mi sono ritrovata non so come fuori strada, non è successo nulla, ma ho capito cosa stavo rischiando, mi stavo ammazzando. Mi sono guardata nello specchietto retrovisore della macchina e mi sono chiesta cosa stessi facendo, se era la vita che volevo.
Era gennaio del 1998. La mattina dopo ho parlato con l’azienda ed ho dato le dimissioni, rifiutando tutto quello che mi offrivano, accettando però la richiesta di essere flessibile sui tempi in cui avrei lasciato
In quei 6 mesi, oltre a cercare la persona che mi avrebbe sostituito e a trasferirle tutto quello che potevo su clienti, progetti e team ho iniziato a pensare più concretamente alla Calenti & Partners che è poi nata pochi mesi dopo.