Oggi Edvige Cuoco ritorna a casa, ha accettato finalmente l’ennesimo invito di Cosimo Lussu suo vecchio professore di italiano a presentare presso la Pro Loco il suo ultimo libro.
Erano anni che faceva rispondere dalla sua segretaria con la solita formuletta: “Dolente declinare per impegni indifferibili”
E’ arrivata a Napoli con una Freccia Rossa, ovviamente in ritardo ed ha fatto appena a tempo a prendere l’ultimo treno regionale della sera, il 2456 che ora si arrampica docilmente lungo la salita di Sferracavallo che corre parallela alla vecchia statale dismessa.
Una volta per superare quel tratto di salita attaccavano una locomotiva in coda, il treno era di quattro carrozze viaggiatori, un bagagliaio ed almeno un paio di carri merci a pianale che si usavano per il trasporto del marmo Baccini-Sforza.
Oggi il treno regionale è formato da un unica carrozza, si chiama Minuetto, sulla fiancata c’è una scritta elegante, treno ad alta frequentazione, una sorta di presa per i fondelli, i passeggeri non arrivano alla doppia cifra.
Edvige guarda distratta dal lercio finestrino: non è che si veda tanto, fuori è buio pesto, i binari corrono in un canalone circondato da pioppi rinsecchiti ed arbusti selvatici che sbattono ogni tanto sui finestrini.
Lungo quel percorso, una volta, c’erano cespugli di more, tanto vicini ai finestrini del treno che si potevano raccogliere quando il treno rallentava.
Edvige ne sente ancora il sapore sulla lingua.
Al culmine della salita il treno passa sotto il viadotto nel nuovo tracciato della statale e, dopo una lunga curva, imbocca la galleria del Pozzo del Sagrestano ed inizia la discesa verso il paese.
Ogni volta che imbocca quella galleria Edvige ha un moto di spavento, ricorda la storia di quel treno rimasto bloccato all’interno e di tutti i duecento passeggeri morti soffocati per i vapori del carbone delle due locomotive.
Il Minuetto attraversa abbastanza in fretta la lunga galleria, ma Edvige per tutto il tempo è rimasta con il fiato sospeso.
All’uscita ha un sorriso sarcastico e tra sé e sé: “Che buffo sarebbe stato morire qui sotto, avrei avuto un articolo in cronaca, con foto ed un box coccodrillo nella letteraria, con l’elenco di tutte le mie opere. E sarebbe stata una buona soluzione, una fine pulita, indolore ed inodore ed avrei fottuto la bestiaccia che mi sta mangiando dentro. E poi si sa che le bestie tornano alla propria tana per morire”
Sta riflettendo persa dietro i suoi pensieri e non si accorge che di fronte si è seduto qualcuno.
Con tutto il treno, proprio li, magari è qualcuno che ha voglia di chiacchierare e Edvige non ha intenzione di farsi attaccare un bottone.
Dalla sua borsa con la carta geografica del Madagascar tira fuori la rivista letteraria dove è apparsa una feroce stroncatura del suo ultimo libro.
Legge e non riesce ad incazzarsi. Tutto sommato quel critico ha ragione: ha scritto una autentica cazzata. E’ da tempo che non è più la regina del noir italiano. Aveva scritto il primo romanzo quasi per gioco e l’aveva mandato in lettura alla più grossa casa editrice senza alcuna speranza, ma se uno deve provare tanto vale farlo con il più importante. Dopo due mesi era arrivata una risposta entusiasta, cosi aveva buttato nel cesso la sua laurea in inglese e finalmente aveva smesso di provare a fare amare Shakespeare a recalcitranti adolescenti.
Il primo libro aveva venduto tantissimo ed aveva continuato. Ma gli altri non erano venuti fuori come lei desiderava. Era arrivato il successo, soldi, viaggi, interviste e tanti amori, troppi, che dopo qualche mese finivano in archivio.
Ora sono anni che scrive sempre la stessa storia con poche variabili, anche se i milioni di affezionati lettore continuano a comprare i suoi libri, malgrado le feroci stroncature.
Una mattina sulla spiaggia di Formentera stava prendendo il sole in topless e si accorse che c’era un piccolo nodulo sotto il capezzolo sinistro. Era il benvenuto nel mondo del cancro.
Ora è stanca, non capisce perché debba continuare a scrivere. Al suo editore non frega nulla delle sue condizioni di salute , a lui interessano solo le copie vendute.
E sicuramente ve ne saranno molte con le ristampe postume.
Il treno scivola lento lungo la discesa ed arriva in stazione.
Unico passeggero scende dal treno.
La stazione è deserta.
Pioviggina.
Si vede che Lussu aspetta all’esterno, al riparo in macchina.
Lussu lampeggia.
Edvige si avvicina e monta in macchina, pochi ed affrettati convenevoli e ripartono.
Dopo alcune faticose manovre il prof Lussu riesce a fare uscire la Lancia Flavia dal fondo dello stretto vicolo cieco dove c’è il palazzotto di famiglia di Edvige. Lei aspetta educatamente che si allontani e richiude il pesante portone in legno di quercia. Sono anni che non ci viene, ma sembra che l’abbia lasciato da pochi giorni. Tutto è come allora. Lussu è un perfetto curatore, paga le bollette della luce, ogni mese due robuste ucraine fanno una completa pulizia di tutte le camere e ogni sei mesi un giardiniere sistema il giardino del retro ed i rampicanti che dalle aiuole nel cortile arrivano fino ai piccoli balconi della mansarda. Ogni tanto le manda una lettera per renderle conto delle spese ed Edvige le manda un assegno. Se non ci pensasse Lussu la casa cadrebbe a pezzi. Sale di corsa gli alti gradini di granito grigio e accende tutte le luci, odia il buio e la prima visita è al santuario dello studiolo del padre, stretto e lungo. Nella parete di fondo il pianoforte di legno scuro, sulla parete di destra la libreria con i vetri verde zigrinati e di fianco la scrivania con la serrandina e tanti cassetti. Edvige tira su la serrandina e preme la leva di legno che libera il cassetto segreto e all’interno le solite vecchie foto del padre nei vari concerti in giro per il mondo, la pergamena del diploma di pianoforte e direzione d’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. Una leggera carezza e richiude il segreto. Passa ora alla seconda parte del rito delle memorie: la libreria, un mobile di ciliegio, con porte di vetro zigrinato e solidi ripiani.
Li ha letti tutti quei libri, ma le piace sfiorarli con le dita.
Da bambina accostava una poltrona alla libreria, si arrampicavo sui braccioli per leggere i titoli : c’era D’annunzio, Gide, Guido da Verona, la raccolta completa di Urania dal 1948 al 1953 (il padre era appassionato di fantascienza), la matematica romanzata di Colerus Egmont, molti romanzi francesi con la copertina verde e poi dei libri dal dorso grigio, anni dopo scoprì che erano dei manuali di infermieristica, (durante la guerra la madre aveva fatto l’infermiera e di questo periodo parlava sempre malvolentieri). Poi tanti spartiti rilegati in tela nera, nel ripiano più basso. Edvige non si era mai appassionata di musica, anche perché il padre non voleva assolutamente che si toccasse il pianoforte.
Dopo arrivarono i suoi libri e quelli del fratello: tutta la collana per l’infanzia da Tom Saywer al Principe e il Povero, da Incompreso a Bertoldo Bertoldino e Cacasenno, i Salgari, Verne e quelli femminili, i romanzi di Alcott.
E sono ancora tutti li, forse un po’ impolverati. Si vede che le ucraine sono intimidite da quei libri.
Ora è stanca del rito della memoria, ha voglia di dormire.
La camera da letto con il pesante letto di ottone è li che aspetta da anni.
Questa notte è sicura che dormirà profondamente in un sonno senza incubi, è tornata nella sua tana.
La chemio del mese scorso è un ricordo lontano, malgrado la parrucca poggiata sulla campana di vetro di San Raffaele Arcangelo.
La mattina dopo Edvige non si risveglia e sulle pagine letterarie di quasi tutti i giornali apparvero i rituali coccodrilli. La voce della sua malattia era stata diffusa dall’ufficio stampa della casa editrice ed erano già pronte le ristampe di tutti i suoi libri.
BIOGRAFIA
L’autore nasce nella prima metà del secolo scorso in una piangente cittadina di provincia (Benevento). Riceve una educazione libera (non giocare a pallone che sudi, non ti toccare che diventi cieco, non guardare quelle signore sul ciglio della strada che prendi le malattie) e compie brillantemente gli studi superiori in Liceo Classico della provincia di Napoli al cui confronto l’orfanotrofio di Davide Copperfield è un asilo Montessori. Frequenta l’università di Napoli a metà degli anni ‘60 e viene vagamente sfiorato dal ‘68. Si laurea e entra nella pubblica amministrazione.
Malgrado “la capa fresca” ha fatto una brillante carriera all’INPS dove ignoravano ovviamente
quest’aspetto della sua personalità (navigatore di internet, chattarolo, blogger, grafomane). Dal mese di maggio del 2003 è tornato libero e si è dedicato alla scrittura. Nel 2004 ha pubblicato con Marotta una raccolta di racconti noir dal titolo I FETENTI.
Nel 2007 è uscito il suo primo romanzo dal titolo LA TANA DEL SALMONE per l’editore Azimut.
E’ uscito con l’editore LA MELAGRANA un nuovo romanzo dal titolo CANAPA, una saga su una famiglia di Canapieri dagli inizi del ‘900 sino ai giorni nostri.
Non mette conto di citare i numerosi articoli e racconti apparsi su webzine ed antologie.