Un articolo sul Fatto quotidiano, articolo ci spiegava come fanno sesso le adolescenti milanesi.
Ieri ho pubblicato un post che dava voce ad una ragazza arrabbiata per l’articolo sul Fatto quotidiano, articolo (misogino e sensazionalistico, a caccia di click) che ci spiegava come fanno sesso le adolescenti milanesi.
“Non è vero che facciamo tutte a gara a chi si fa “sfondare” per prima”, ci aveva scritto Andrea, 17 anni, dicendo che molte ragazze non hanno alcuna fretta di fare sesso o pensano addirittura di farlo con “il ragazzo della vita”, espressione che rimanda ad un’idea diametralmente opposta che può apparire anacronistica.
Sono arrivate, come era prevedibile, le critiche a questo secondo esempio che sembra riportarci a quel concetto di verginità da cui abbiamo fatto tanta fatica a liberarci (ai maschi in genere non viene chiesto quanto sesso fanno né quanto durano le loro relazioni, se dieci minuti o dieci giorni, se dieci mesi o dieci anni).
Andrea si diceva stufa anche degli articoli sulle baby-squillo, e su questo io sono stufa con lei perché vorrei cominciare a leggere articoli che parlano dei maschi tutt’altro che baby e che pagano per fare del sesso con delle ragazzine (siamo uno dei paesi ai primi posti per turismo sessuale, il che significa che molti uomini italiani vanno all’estero per poter fare del sesso anche con bambine di 8, 10 anni).
In molte scuole ho parlato della parola Troia, usata indifferentemente da maschi e femmine.
La distinzione tra sante e puttane, propria della cultura patriarcale che ci portiamo addosso da secoli, è ancora presente.
Ci sono ragazzi che dicono di scopare serialmente per non annoiarsi, e che faranno sesso per amore con quella che sarà la madre dei loro figli.
Ci sono ragazze che dicono che se l’amica passa la sera con le tette in mostra poi non si può lamentare se le succede qualcosa.
Mi capita di discutere di prostituzione, invitando a guardare con rispetto alle persone che non conosciamo e di cui non sappiamo nulla, senza ergerci scioccamente su un piedistallo da cui puntare il dito, come se non avessimo indici puntati a sufficienza con cui fare i conti.
Ho grande rispetto per tutte le donne che non conosco e anche per queste ragazzine milanesi, a cui cerco di guardare con fiducia. In espressioni come “Mi faccio sfondare” o “Mi hanno sturata” faccio fatica a intravedere autonomia, sento attivo il maschio, e sento i loro corpi a disposizione. In quelle espressioni sento un potere maschile che orienta, che suggerisce, che approva o disapprova.
Non intravedo liberazione né in questo linguaggio né in quello di Andrea, che inconsapevolmente giudica ma che se invitata a riflettere è perfettamente in grado di allargare il suo sguardo.
La verità è che viviamo ancora intrappolate, come le nostre nonne e bisnonne, che il patriarcato domina ancora la nostra vita familiare, professionale, economica, domina l’azione dei partiti che anche oggi -bocciando la parità di genere- ci hanno confermato quanto spaventi spartire il potere con il femminile, quanto spaventi la relazione, quella vera.
Il patriarcato domina anche -e ancora- le relazioni tra le donne, il linguaggio tra di noi. Non siamo libere nemmeno nei nostri sogni.
Non è facile per nessuna scegliere ciò che è meglio per te, riconoscere se stai rispondendo ad un tuo desiderio o ad un’immagine di te costruita sulle aspettative sociali, sui modelli che giungono dai media. Decidere se diventare madre oppure no, quando e come vivere la tua eventuale dimensione materna. Scoprirti anche attraverso la tua sessualità, scegliendo come e con chi viverla, etero o lesbica che tu sia. Che percorso scolastico e professionale intraprendere. Come vivere la tua vecchiaia. Scegliere di fare le cose che ti rendono felice, prima di tutto, senza paura dei cambiamenti. Ognuna di noi è tante donne insieme che si sfiorano o si intrecciano continuamente nel corso della propria vita e a quello che siamo in ogni preciso momento dobbiamo rispondere, non ad altro.
E’ faticoso essere leali con noi stesse, far respirare ciò che siamo a dispetto degli ostacoli, dei desideri altrui e dei ruoli prestabiliti da una cultura che non ci rispetta, da cui invece è meraviglioso ribellarsi, a 14 come a 80 anni, ma soprattutto a 14, quando si ha tutta la vita davanti.
Non è facile per chi è adulta mettersi nei panni di una ragazzina, niente è cambiato e tutto è cambiato.
Possiamo provare a dare una mano (ma non è detto che ci venga richiesto) stando di lato.
Come ho scritto ad Andrea, la immagino accanto a quelle adolescenti, sedute insieme in un prato, a parlare delle loro relazioni, del loro piacere, delle loro paure e della loro felicità. Urgente e possibile. A modo loro.