di Francesca Spadaro
“Il passaggio della violenza di genere in genere”
come di un fenomeno socio-antropologico che coinvolge
la società e, in primis, lo Stato, nella sua responsabilità”
Questa volta, una donna non è protagonista di una storia che la vede “vittima” dell’uomo, bensì sua carnefice. La donna in questione è, infatti, una stalker. Questo fatto di cronaca che, da oggi, diventa un caso di giurisprudenza, fa registrare, da un lato, un’inquietante crescita dei reati di stalking, di cui anche la componente femminile ne riveste il ruolo attivo. Dall’altro, però, mette in evidenza come il ruolo della donna-stalker, quando entra nella scena del crimine in veste di protagonista, si distingua da quello
dell’uomo-stalker, poiché in esso lei investe tutta la sua astuzia, la sua capacità intuitiva e mette in atto le tecniche più sofisticate per elaborare strategie di attacco, ma anche e soprattutto, difensive, per sviare indagini da se stessa e per mettere la vittima in totale difficoltà di dimostrare l’identità della/o stalker.
Nella fattispecie, è da notare il singolare disegno criminoso messo a punto dalla stalker che, oltretutto giovanissima, aveva “puntato” la sua vittima, probabilmente per vendetta ed esteso, di conseguenza, le sue “attenzioni” anche all’attuale partner. La domanda che la stalker avrebbe rivolto alla nuova compagna del suo ex (“È solo violenza psicologica, non la sapete reggere?») mi conduce tuttavia ad un’attenta riflessione, sia relativamente al suo contesto ma, anche nell’ambito lavorativo, dove ogni giorno, vengono messe in atto delle vere e proprie violenze psicologiche su persone che non sanno proprio come difendersi.
A questo punto, è necessaria una retrospettiva sul reato di stalking per disegnarne il processo evolutivo nell’epoca moderna, quella del “fenomenismo” a tutti i costi, che ha consentito il passaggio della violenza di genere in genere.
Il reato di stalking affonda le sue radici nella storia dei rapporti tormentati tra donne e uomini, e si manifesta con atti persecutori rivolti contro la parte che ne decide la fine, per svariate ragioni che vanno analizzate in altri contesti, ma che pur qui richiamano e rivendicano la loro importanza, poiché, anche a causa di alcuni meccanismi che si creano all’interno della coppia e ne incrinano il rapporto, può nascere, nel soggetto già predisposto, la “mania persecutoria” nei confronti della sua vittima, spesso inconsapevole di esserne stata l’imput.
Ma cosa vuol dire stalking?
Con tale termine, nell’ambito della previsione normativa, vengono identificate e punite con la reclusione le condotte reiterate mediante le quali si “minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Tale è stata la deleteria diffusione di questo fenomeno che, nel 2009, con il decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11 “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori” convertito dalla legge 23 aprile 2009 n.38, è stata, finalmente, introdotta all’interno del codice penale la previsione del così detto reato di “stalking”.
Per quale motivo, il “fenomeno” sia divenuto una fattispecie di reato, punibile ai sensi del codice penale, trova la sua risposta nell’esigenza di garantire alle vittime di atti persecutori una tutela distinta e maggiore rispetto a prima, perseguendo penalmente il/la responsabile di tali comportamenti, abusivi della libertà personale della vittima e oltraggiosi della relativa dignità.
Ma non è altrettanto chiaro se l’intento del legislatore sia stato recepito nel giusto segno e se, all’interno della cerchia di chi è adibito a garantire la tutela, si sia mai profilato il dubbio che prevedere una fattispecie di reato e le relative sanzioni, non equivalga affatto, o non completamente, ad arginare il fenomeno, né, evidentemente, a reprimere fantasiosi scenari posti in essere dai nuovi soggetti, autori e autrici del delitto. Mi auspico che, nell’immediato futuro, la previsione normativa modifichi la cultura sociale, elevandola verso una maggiore sensibilità e restituendo alla collettività un risultato in termini di minore propagazione del reato in essere.
Quali sono gli ambiti più colpiti da questo fenomeno? L’ambito familiare e quello lavorativo, dove le vittime trascorrono la maggior parte del loro tempo a contatto con i/le loro “carnefici”, pur essendo differenti le modalità e le motivazioni dell’originarsi di un caso di stalking, dove, peraltro, è piuttosto tangibile la labilità dei confini tra i due ambiti.
Il caso di cronaca di cui scrivo, si colloca nell’ambito familiare ma il desiderio di vendetta e la mania di persecuzione per la stalker erano tali da infierire anche sulla sfera professionale della vittima, debordando, quindi, dal limite relazionale fino ad invadere l’ambito lavorativo, forte delle elevate abilità informatiche per distruggerne la reputazione, attraverso sms ed email inviate utilizzando sistemi web che garantiscono l’anonimato, poi falsi profili su Facebook, falsi annunci dal contenuto erotico e denunce di tutti i generi, finanche una lettera con minacce di morte scritta coi ritagli di giornale.
In conclusione, si vuol qui risaltare l’evidenza di un problema che ha assunto contorni socio-antropologici, inserendosi nel contesto in cui tale fenomeno va a svilupparsi, con maggiore difficoltà di essere individuato, riconosciuto e frenato.
L’auspicio migliore è che questi segnali di “giustizia”, che provengono dal potere giudiziario, rivolto a condannare seriamente chi è responsabile di aver commesso il reato di stalking, non cedano alla caritatevole richiesta di riduzione di pena, ma, anzi, rinforzino i sistemi correttivi e prevedano per il periodo durante e post reclusione, un recupero dello stato psicologico del soggetto, affinché non possa più cadere nel medesimo reato. Sarebbe altresì auspicabile che lo Stato, nelle Istituzioni che lo rappresentano, si assumesse la responsabilità di questi reati, poiché il loro diffondersi sul territorio nazionale non ingenera un affidamento da parte di chi esige tutela.
Laddove ogni comportamento posto in essere nei confronti di un’altra persona sia lesivo della sua dignità e ne pregiudichi lo stato di libertà, ciò rappresenta un reato che si perpetra anche alla collettività sociale, unita e solidale, nel rispetto dell’art. 2 della Costituzione.
2 commenti
Secondo voi, fino a che punto una dona può essere ”stalker”?
Io penso che questa legge applicata in Italia sia sbagliata. Mi spiego, se una donna è vittima di stalking non ha praticamente tutela, sia perchè spesso non denuncia, sia perchè laddove denuncia non c’è un meccanismo di arresto preventivo e duraturo, anzi è la stessa denuncia a far scattare nel maschio il progetto omicida ! e veniamo al caso opposto, laddove sono proprio le donne ad essere denunciate per stalking, donne che non ucciderebbero una mosca !ma che manifestano solo il proprio disappunto quando usate e spesse volte ingannate, si ritrovano sedotte ed abbandonate !. Ma c’è oltre, ben oltre, in quanto alcuni maschietti che non hanno nessuna intenzione di impegnarsi ma neanche di perdere l’oggetto del proprio desiderio, dal momento che l’oggetto in questione comincia a manifestare un’autonomia di pensiero o decisionale, chiedendo spiegazioni al telefono (oppure di persona), ebbene questi maschietti arrivano a minacciare di denunciare per stalking, al solo scopo di silenziare la donna e renderla priva della capacità decisionale !. Stando così le cose, io penso che questo reato vada notevolmente revisionato, oppure del tutto abolito, ritornando alle singole figure di molestia fisica e psicologica, e se ci sono, percosse