di Simona Martini
L’oblio come forma di difesa e salvezza del nostro cervello.
L’oblio è una forma di libertà.
Kahlil Gibran
I recenti casi di cronaca mi hanno portato a riflettere sulle fatiche di essere genitori. Il caso dei due papà che lasciano i rispettivi figli in macchina dimenticandosi di loro non può essere, per l’appunto, un caso.
Chiaramente l’ironia e il sarcasmo che sovente mi contraddistinguono questa volta non mi vengono in soccorso. Mi aiuta, in compenso, una naturale empatia conseguenza diretta di una spontanea identificazione.
Neanche per un istante ho pensato che un fatto del genere non possa accadere. Che sia disumano. Crudele. Superficiale.
Ho pianto. Non solo per la tristezza dovuta alla notizia che due bambini ci hanno lasciato, ma per la lucida consapevolezza che possa accadere a ciascuno di noi.
Siamo fagocitati dagli impegni. Madri e padri. Siamo costantemente bombardati da messaggi, immagini, film, pubblicità che ci informano di quanto sia possibile essere ovunque e fare tutto. E bene. E noi non ci sentiamo all’altezza se non corrispondiamo ai modelli proposti. Se non siamo lavoratori infaticabili e di successo. Se non siamo in forma e sorridenti. Se non siamo in grado di insegnare con fermezza e amore ai nostri figli tutto ciò che DEVONO sapere e imparare. Se non cuciniamo biologico. Se non abbiamo la casa in ordine e perfettamente a prova di infante. Se non continuiamo a frequentare gli amici con la stessa frequenza di prima. Se non li iscriviamo al corso di musica, canto, ballo, ginnastica, nuoto, motricità, disegno. Se non siamo presenti ad ogni evento IRRIPETIBILE. Se la notte non vanno a dormire da soli dopo aver salutato e dato un bacio a tutti i presenti. Se non si sono lavati i denti. Se non hanno voglia di lavarsi i denti. Se mangiano troppo. Se mangiano poco. Se fanno i capricci. Se cadono e noi eravamo girati. Se la televisione è accesa su un programma non adatto a loro anche per due secondi. Ci siamo distratti…
E, inevitabilmente, a un certo punto, il cervello si annebbia, va in black out, in risparmio energetico. Avete presente quegli esami universitari per cui si è dovuto studiare all’infinito, ricordarsi minuziosamente nozioni su nozioni, stare svegli notti intere per paura di non farcela, per voi avere un vuoto mentale totale prima se non durante l’interrogazione? Ecco il cervello funziona così… E’ in grado di sostenere ritmi non umani, di contenere quantitativi di informazioni incredibili, di fare pensieri complessi e contorti, di focalizzare l’attenzione su diversi aspetti, ma, come un uccello che vola per chilometri e chilometri apparentemente mantenendo la stessa andatura e ritmo di volo, da un momento all’altro crolla, cade, precipita, si assenta.
Una degli aspetti che più mi aveva spaventato e, a tratti, angosciato, quando è nata mia figlia, è stata la netta, precisa, chiara sensazione di non essere più una persona a sé, mentalmente ed emotivamente libera e indipendente. Quella continua e costante presenza nel cuore e nella mente di un altro individuo, di un essere dipendente da te sotto ogni aspetto mi aveva profondamente turbata. Poi il tempo passa, quell’emozione intensa e travolgente si trasforma in piacevole sensazione di appartenenza, di amore unico e infinito, di gioia materna e paterna nel vedere, sentire, toccare quella meravigliosa creatura che sa di te, che si rispecchia nei tuoi occhi e ti sorride come se tu fossi l’arcobaleno, la luna, il sole, l’infinito. Ma poi un giorno leggi il giornale o guardi qualche trasmissione in cui si ricordano i dolorosi fatti di cronaca di infanticidi, casuali, colposi, volontari, involontari e capisci che, nonostante le sfumature o i grandi particolari che li differenziano, sono tutti accomunati da quella consapevolezza di non avercela fatta, di essere crollati, di aver interrotto il volo proprio quando credevi di essere arrivato… E ti giri, di scatto, per vedere se tuo figlio è ancora lì, dietro di te, accanto a te, perché in fondo all’anima lo sai, e lo sai bene, che ogni distrazione può essere fatale.
Ma sai anche che non puoi, non devi rendere la vita un’ossessione, non puoi controllare tutto, non puoi essere dappertutto. Tiri un profondo respiro e continui sulla tua strada, chiedendoti se non vale la pena sederti un attimo, riposarti, chè tanto il volo è lungo, hai tempo e la meta è la serenità, l’equilibrio e la salvezza.
Simona Martini. Psicologa-Psicoterapeuta. Si è laureata in Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca con una tesi sul cinema. Si è specializzata in Psicoterapia presso l’Istituto di Psicologia clinica Rocca-Stendoro. Ha lavorato per anni nei servizi per minori. Lavora attualmente con bambini, adolescenti e adulti nel campo della mediazione dei conflitti familiari e come Supervisore Progetto Integrazione bambini stranieri c/o sportello Cinisello Balsamo. Ha seguito casi di affido minori come c.t.p. per il Tribunale dei Minori di Milano. E’ docente presso l’Università per Infermieri dell’ Istituto dei Tumori di Milano. Collabora con diversi siti di Psicologia pubblicando articoli divulgativi su diversi temi inerenti la Psicologia.
E’ presidente della neo-nata associazione TerraLuna che riunisce professioniste donne che si occupano del benessere in senso olistico. E’ mamma di una splendida bimba di 2 anni di nome Teresa.
1 commento
Anche io ho provato spesso la sensazione di inadeguatezza e solitudine. Una volta me la sono presa con il bollitore che ho scaraventato per terra…:)