Droga e prostituzione incluse nel Pil allo stesso livello di valore economico. Ma sono davvero uguali? E perchè escludere il lavoro domestico? Ed includerle non significa ”naturalizzarle”?
da Eldiario Il nuovo PIL che misura l’Europa: senza lavoro domestico, ma con prostituzione e droga. L’inclusione del traffico di droga e prostituzione nel Prodotto Interno Lordo (PIL) ha suscitato critiche che mettono in discussione ciò che dovrebbe misurare questo indicatore e per l’esclusione del lavoro domestico svolto dalle capo-famiglie. Che cosa misura questo Pil? Il valore dell’attività economica di un paese, cioè, tutto quello che porta a uno scambio economico. Questo requisito lascia fuori il lavoro di cura: non essendo retribuito è escluso dal PIL. L’indicatore tiene in conto indirettamente l’economia sommersa (perché presume uno scambio economico) poiché per sviluppare l’indicatore, si prendono in considerazione distinte statistiche e, tra queste, la Labour Force Survey (LFS), che comprende anche l’occupazione in nero. In più, il denaro che produce l’economia sommersa continua a fluire nel sistema: una persona che riceve 400 euro al nero, spende questi soldi per pagare fatture o fare acquisti che incidono sul PIL. E’ ciò che accade anche per le attività illegali come il traffico di droga: ” non si contabilizza, però lasciano tracce attraverso il consumo, l’Iva” spiega il coordinatore dell’Istituto Flores de Lemus, José Domingo Rosello. Tuttavia, non c’è una misura esatta del contributo dell’economia sommersa al PIL. Varie stime la collocano intorno al 20% del PIL, cioè, del miliardo di euro rappresentati dal Pil, duecento milioni provengono dal lavoro al nero. La novità è che la prostituzione e il traffico di droga saranno contabilizzati direttamente: i loro flussi monetari saranno inclusi nelle sezioni che descrivono gli stipendi, i salari e i profitti aziendali. Come? Mediante i dati forniti dalla polizia, le Ong o i proprietari dei club. Per la ricercatrice dell’Istituto degli Studi Fiscali María Pazos, includere il traffico di droga e la prostituzione comporta “ naturalizzare” queste attività, poiché una cosa è misurare, perché tutte le misurazioni possono servire ad approfondire questi fenomeni, altra cosa è includerli specificamente nel PIL. La docente Lina Gálvez, vede in questo cambiamento una chiara volontà politica: dare una spinta al Pil in crisi e, al contempo, ridurre la percentuale del debito pubblico. “Se la base del Pil è più grande, il debito sarà più basso. Sono attività che smuovono tantissimo denaro”, afferma. Alcune economiste tra le quali anche Gálvez, reclamano nuovi indicatori capaci di misurare non solamente la crescita, ma anche il benessere e l’impatto di alcune quotidiane attività. La docente così li riassume: “Un indicatore è una convenzione. Manca un indicatore che rigoroso che misuri delle persone. Per esempio, se c’è un incendio e si bruciano migliaia di ettari, il Pil può essere dovuto a tutta l’attività che si genera intorno all’estinzione e recupero dell’area. Vale a dire, lascia fuori l’impatto di alcune attività sull’ambiente o i compiti di cura che si producono nella sfera privata e permettono la sostenibilità della vita”. Un gruppo di ricerca presso l’Università Pablo de Olavide di Siviglia e l’Istituto Andaluso della Donna ha condotto uno studio per misurare l’impatto economico del lavoro domestico e di cura nell’economia. Il lavoro domestico non retribuito sarebbe in Andalusia di 167,500 milioni di euro, una cifra che supera il PIL della comunità, stimato in 140.000 milioni di euro. Il 62,5% di questa ricchezza, quindi, sarebbe prodotta dalle donne: ciascuna donna andalusa realizza ogni anno lavoro gratuito per un valore di 30.237 euro, il doppio di quello generato da un uomo, che è di 18.822 euro. http://www.eldiario.es/economia/PIB-drogas-prostitucion-trabajo-domestico_0_279972668.html