Il singolare nella conciliazione non permetta di dare visibilità e tener conto delle pluralità.
Pares sene occupa dal 2001. Intervista a Daniela Gatti, Anna Omodei, Laura Papetti
Da quanto tempo esiste Pares e di cosa si occupa?
Pares nasce nel 2001 come cooperativa di formazione, ricerca, consulenza, documentazione e scrittura per le organizzazioni.
Le nostre attività, caratterizzate da interventi partecipati, possono essere sintetizzate in sei aree tematiche:
• sviluppo organizzativo (cambiamenti, innovazioni, avvicendamenti, transizioni e continuità d’impresa, …);
• responsabilità sociale d’impresa (rendicontazione sociale, costruzione e aggiornamento modelli 231/2001, strumenti per misurare l’impatto sociale degli interventi,…);
• qualità e valutazione di servizi e progetti (analisi della qualità del lavoro e del clima organizzativo, monitoraggio e valutazione di servizi e/o progetti, indagini di soddisfazione risvolte a lavoratori, utenti, clienti e cittadini, …;
• scrittura, comunicazione organizzativa e web 2.0;
• conciliazione (work-life balance), pari opportunità e politiche di genere (analisi del contesto organizzativo e predisposizione di piani di welfare aziendale e di azioni di conciliazione, bilanci di genere, organizzazione e conduzione di percorsi formativi, …).
• networking, facilitazione dei gruppi di lavoro, accompagnamento di processi partecipati.
In questi anni abbiamo collaborato con enti e aziende pubbliche, consorzi e cooperative sociali, imprese profit, fondazioni e organizzazioni del terzo settore.
In particolare nel campo delle pari opportunità e conciliazione vita-lavoro abbiamo realizzato percorsi di formazione-intervento con organizzazioni pubbliche e del terzo settore.
E voi vi occupate tutti della stessa cosa o i vostri ruoli sono stabiliti?
Ad oggi siamo in sette soci (quattro donne e tre uomini). Per alcuni progetti specifici ci avvaliamo del contributo di altri professionisti.
Operiamo con un certo grado di autonomia ma abbiamo uno stile e un metodo di lavoro comuni, basati sul coinvolgimento, la partecipazione e la co-costruzione degli interventi (formativi, di ricerca e consulenza) e dei processi organizzativi.
La suddivisione dei temi di cui ci occupiamo avviene in base al percorso formativo di ciascuno, alle competenze e alle esperienze professionali maturate. Quando le risorse temporali ed economiche lo permettono, prediligiamo il lavoro d’équipe: capita, infatti, di lavorare anche in due o tre persone allo stesso progetto. Questo per noi è un valore aggiunto, non solo al nostro interno (confronto e scambio di competenze tra colleghi/e) ma soprattutto per il cliente che ha la possibilità di avere contributi e sguardi multi e interdisciplinari.
Perché avete scelto di occuparvi di queste tematiche?
Abbiamo attivato l’area della conciliazione (work-life balance), pari opportunità e politiche di genere nel corso del 2012, dopo avervi dedicato un biennio di studio e ricerca al nostro interno. In particolare quest’area nasce come esito di un lavoro di ricerca, sfociato in una pubblicazione, sugli avvicendamenti apicali e intermedi nelle organizzazioni. Durante questo percorso abbiamo intercettato il tema degli avvicendamenti al femminile… ed è emerso chiaramente che in Italia sono davvero poche le donne che ricoprono ruoli apicali e di responsabilità all’interno delle organizzazioni. Questo non significa che le donne non siano in alcun modo presenti nel mercato del lavoro italiano, nonostante il nostro Paese abbia comunque tassi di occupazione femminile inferiori ad altri paesi europei; tuttavia le donne ricoprono principalmente ruoli di responsabilità intermedia e, all’interno dl processo di avvicendamento, sono figure in ombra: supportano le transizioni, ricoprono ruoli chiave nei processi di cambiamento, ma vengono poco valorizzate e riconosciute. Se pensiamo alle imprese di famiglia, sentiamo parlare quasi esclusivamente di passaggi di testimone da padre a figlio e più raramente da padre a figlia o quasi inesistenti le transizioni da madre a figlia. Questo non significa che gli avvicendamenti apicali al femminile non esistano in senso assoluto, ma sono meno diffusi e sicuramente meno visibili e visibilizzati.
Un’altra evidenza, emersa dall’attività di ricerca, riguarda il fatto che le donne sono protagoniste principalmente di avvicendamenti tutti al femminile, legati a sostituzioni per maternità o per impegni di cura verso i figli o i genitori, che richiedono una temporanea (almeno nell’intento) sospensione delle attività lavorative.
La componente femminile di Pares, forse perché direttamente coinvolta sul tema, ha scelto di approfondirlo, provando da un lato a capire le ragioni che portano le donne italiane a vivere questa condizione e dall’altro a provare a ragionare con singoli e organizzazioni sulle possibili vie d’uscita. Con questo obiettivo nascono i nostri percorsi di formazione e consulenza sul tema.
Perché le donne sono poco presenti nei luoghi decisionali? Perché la maternità rappresenta ancora un punto d’uscita spesso senza ritorno nel mercato del lavoro? Perché i carichi di cura rimangono ancora ad appannaggio femminile? Perché le politiche di conciliazione vengono lette come politiche di pari opportunità e non come politiche di promozione della famiglia e dell’inclusione lavorativa?
Si parla tanto di PO ma le PO sono ancora lontane. Cosa sarebbe necessario davvero fare?
Che la strada per le pari opportunità sia ancora in divenire ce lo dicono i dati e il fatto che la parità fa ancora notizia! Se pensiamo all’anno in corso fa ancora notizia il fatto che venga nominata una rettrice donna (e da qui il problema della definizione al femminile della carica); la nomina di una ministra all’ottavo mese di gravidanza (qualcuno si è forse chiesto se tra i ministri uomini nominati ce n’era uno in procinto di diventare padre?) e di donne ai vertici di importanti società pubbliche.
Qualcuno, per fortuna, inizia anche a notare le gravi assenze: la mancanza della componente femminile nei dieci saggi nominati da Napolitano, nessuna donna in Italia è stata Presidente del Consiglio ne della Repubblica; per arrivare ad innalzare la bassissima percentuale di donne presenti nei board delle società quotate è stato necessario l’intervento di una legge nazionale portata avanti, guarda caso, da due donne.
Molti sono i fronti su cui agire e le relative azioni da intraprendere. Per non dilungarci troppo elenchiamo quelle per noi più significative, rinviando a un’occasione futura l’approfondimento di altri punti:
– Prendere consapevolezza di questa situazione, prima di tutto da parte delle donne; le quote di genere non piacciono nemmeno a noi, ma diventano inevitabili se si vuole arrivare ad un cambiamento culturale.
– Per un reale cambiamento culturale è necessario educare alla parità: fin dall’infanzia è importante non condizionare bambini e bambine con stereotipi di genere e ruoli predefiniti. Provate a regalare una bambola a un bambino o una cassetta degli attrezzi a una bambina… Potrebbe essere divertente osservare la reazione di molti genitori ;-). Su questo punto sarebbe utile avviare percorsi formativi rivolti a genitori, educatori e insegnanti.
– Politiche che promuovano la partecipazione maschile all’attività di cura. Ad esempio un congedo di paternità obbligatorio che non si limiti ad un solo giorno e prendere spunto da altri paesi europei per incentivare l’utilizzo di quello parentale da parte degli uomini.
– Politiche e interventi che agiscano sul cambiamento della cultura organizzativa: forse riunioni che iniziano alle 18:00 sono poco sostenibili per tutti e non solo per le donne con figli, ma anche per i padri e per i single. Andrebbe cambiata l’idea, forse tutta italiana, di un lavoro totalizzante, basato sul presentismo, che investe la vita delle persone a 360 gradi. Cambiando questa visione le azioni di conciliazione vita-lavoro potrebbero essere viste come una risorsa per tutti, a prescindere dal genere e dalle responsabilità di cura.
Il cambio generazionale porterà anche ad un cambio culturale?
Sicuramente il cambiamento culturale potrà avvenire se le nuove generazioni saranno supportate nel disinnescare alcuni stereotipi di genere ancora troppo diffusi: in quanti pensano che i ragazzi siano più portati per le materie scientifiche e le ragazze per quelle umanistico-sociali? Questa è una propensione ‘naturale’ o un condizionamento culturale? I dati delle iscrizioni alle facoltà universitarie rispecchiano queste convinzioni anche se, ad esempio, possiamo intravvedere un lieve cambiamento, seppur di pochi punti, percentuali, nell’innalzamento della presenza delle donne alla facoltà di ingegneria.
Le PO ora sono un problema delle donne ma non dovrebbero essere invece anche un problema maschile? Come fare a coinvolgere gli uomini senza che le donne siano solo un fiore all’occhiello?
Lavorando con le organizzazioni ci rendiamo conto che sono ancora in molti a pensare che le azioni di pari opportunità e conciliazione sono destinate ad un pubblico femminile. In questi anni di lavoro ci è capitato di sentire frasi come: “abbiamo avviato un asilo nido aziendale per supportare le nostre lavoratrici”, come se questo servizio non fosse utile anche per i padri lavoratori; o di organizzazioni a prevalenza maschile che non partecipano a bandi sulla conciliazione vita-lavoro dicendo: “tanto abbiamo solo lavoratori uomini o tutti hanno figli grandi”, come se la cura fosse solo un’attività femminile rivolta ai bambini dimenticandosi che anche gli uomini sono padri, figli, fratelli, nipoti, ecc. e che potrebbero avere necessità e desideri di cura.
La nostra idea, invece, è che le pari opportunità non debbano essere ‘roba da donne’. Per quanto ci riguarda, nei nostri percorsi di formazione e consulenza traduciamo questa idea sottolineando l’importanza di una presenza eterogenea: sarebbero poco significative formazioni aperte a sole donne o a soli uomini; fondamentale diventa lo scambio, il confronto e la co-costruzione di possibili soluzioni.
Per quanto riguarda invece il tema della conciliazione ci piace utilizzare l’aggettivo plurale per descrivere la complessità del fenomeno, standoci stretti alcuni singolari che accompagnano termini come: donna, famiglia, lavoro.
Nella nostra prospettiva la conciliazione:
– riguarda uomini e donne, giovani e meno giovani;
– richiama responsabilità di cura non solo verso i minori ma anche verso i familiari anziani e/o malati;
– si parla di famiglie perché si curano le relazioni, non solo all’interno del nucleo famigliare che si è costituito, ma anche all’esterno, con le famiglie d’origine e con le persone ad esse collegate. Contemporaneamente, si moltiplicano i modelli famigliari: famiglie allargate, monogenitoriali, ricostruite, ecc.
– prevede la necessità di creare sinergie tra lavori diversi, retribuiti e non. Basta pensare che è entrato in crisi il modello di un unico lavoro per tutta la vita: un numero sempre crescente di persone infatti svolge una pluralità di lavori anche molto diversi tra loro.
È evidente come il singolare non permetta di dare visibilità e tener conto di questa pluralità, oggi sempre più diffusa.
È da queste nostre riflessioni che è nato Conciliazione plurale, il blog che curiamo.