Stavolta Maria Cristina Paselli (collaboratrice di dol’s da molti anni), la intervistiamo noi come autrice del libro Learca di cui lei è l’autrice, con lo scopo di indagare il rapporto tra la nostra eroina e colei che ne parla.
Quando ti hanno proposto di scriver “Learca,” cosa hai pensato?
L’idea è nata con uno dei due figli di Learca che ha frequentato per diversi anni i Corsi di Alta Formazione tenuti da me. Quando ho iniziato la Consulenza al Management nelle sue Aziende, sapendo che avevo già scritto libri, mi ha chiesto se ero disponibile e mi poteva interessare scrivere della vita di sua madre.
Il personaggio Learca, signora ottantenne, forte, tutta nervi, simpatica, vivacissima e assolutamente presente a se stessa, con connotazioni adolescenziali spiccate e tanta voglia di programmare ancora una vita futura, mi ha conquistato al punto che ho accettato la lunga fatica di confrontarmi con il suo dialetto poco comprensibile ed ascoltarla raccontare per tante ore e lunghi mesi.
I suoi erano racconti molto ben presenti e lucidi nella memoria, con particolari di attenzione al dettaglio e con pianti sui ricordi e risate fino alle lacrime, come fanno i bambini che non riescono facilmente a smettere. Mi ha narrato storie tragiche di un passato faticoso, doloroso, tragico con momenti anche ridicoli, ironici, combattendo vivacemente tra i suoi “ questo non lo scrivere” e miei” “dai, raccontiamo tutto”
Non hai avuto paura d’intrufolarti troppo nella vita di una donna?
Questo problema me lo sono posto all’inizio dell’avventura del libro proprio perché non avevo alcuna intenzione di assumere una mia posizione nel raccontare la sua vita, ma intendevo rispettare, con l’ umiltà e la fascinazione di chi ascolta, tutta la cronologia del suo racconto e le posizioni assunte dalla signora durante tutta la mia scrittura.
La vita di Learca inoltre somiglia davvero alla trama di un film, così piena di colpi di scena, balzi della sorte, ricca di sequenze visive, colorate, ritornate a vivere dopo anni di silenzio. Dar loro una nuova possibilità di ascolto, mi è apparso un tentativo di pareggiare i conti col destino non sempre a lei favorevole, troppo spesso crudele.
Per il tuo lavoro spesso sondi aree nascoste delle persone. Credi ti dicano la verità o quello che vorrebbero che gli altri vedano? Riesci ad essere obiettiva?
L’obiettività mi appare concetto metafisico e poco raggiungibile anche dai più volenterosi. Chi pensa di essere veramente obiettivo ignora le distorsioni e i disturbi sulla linea che le esperienze personali nell’ambiente, le caratteristiche individuali, i tratti ereditari possono portare nel distorcere l’ ascolto e l’ elaborazione delle parole e dei pensieri degli altri.
Anche la verità la vedo come posizione filosofica molto difficile da accertare, soprattutto in un contesto virtuale come quello in cui viviamo oggi. Ciascuno di noi desidera essere capito e accettato o meglio amato, per cui molto di quello che facciamo o diciamo concorre a raggiungere questo equilibrio, questa certezza d’amore e di consenso di cui tutti abbiamo bisogno. Nel caso di Learca la spontaneità e l’irruenza del ricordo non mi hanno fatto mai dubitare della vicinanza alla verità del racconto, a volte crudo anche nei suoi stessi riguardi.
La storia di Learca per te è stata un insegnamento dei tempi passati? O erano esperienze che già conoscevi perché presenti in molte donne?
Credo che chi ha avuto la fortuna di sedersi, bambino, accanto ai nonni abbia sentito racconti simili a quelli della prima parte del libro.
La storia di Learca è sovrapponibile a quella di tante nonne o mamme che hanno lottato contro la povertà, le avversità della guerra e ne sono uscite fortificate e al contempo doloranti, ferite, ma molto più forti, non piegate su se stesse, ma decise e pronte a schivare ogni colpo basso della sorte…
Ho ritrovato nelle parole della signora le narrazioni della mia nonna, con la quale ho trascorso l’infanzia, quando mi parlava dei tempi passati, dei ritmi e delle storie delle donne della campagna emiliano-romagnola dove, da bambina, veniva portata l’estate, lontano dal caldo della città.
Le donne si sa sono e sono sempre state veramente forti, nessun risparmio per la famiglia, per i figli, per il lavoro anche faticoso, decise nell’inseguire una passione o un’idea.
La storia di Learca lo dimostra: ha lottato senza sosta per vincere, incurante della fatica, dello sforzo, del sacrificio anche degli affetti, per ribaltare il suo povero e infelice destino.
C’è riuscita e oggi ottantenne è una donna serena, felice di piccole cose, pur nella sofferenza quotidiana nel vedere la figlia Susanna così duramente colpita da una malattia inguaribile e totalmente invalidante.
Non ha paura della malattia né di morire domani, pronta com’è ad accettare ogni evento per combatterlo forte e guerriera come sempre.
Raccogliere esperienze altrui è difficile?
Direi molto difficile, a volte sembra di identificarmi solo nella mano che scrive e nella mente che posta in modo corretto ciò che sente dire, mentre la vita altrui mi passa davanti come un film.
In realtà il racconto delle vite degli altri è sempre grande maestro di vita, non per niente Plutarco nelle “Vite parallele” ci fa capire che non è il “Grande Fratello” del Privato altrui che ci deve interessare, ma l’esplorazione dei caratteri e della loro influenza positiva o negativa sugli avvenimenti e sui destini a coinvolgerci e a farci crescere nel positivo utile per l’ esistenza.
Nel caso di questo libro, penso che la lettura possa giovare a chi attraversa momenti di poco autostima o di depressione. L’esempio di questa donna semplice anche umile è la prova che dentro ciascuno di noi esistono doti di forza e coraggio da tirar fuori quando sembra che tutto sia perduto.
Tutti abbiamo queste risorse energetiche, si tratta solo di individuarle e farle uscire a nostro sostegno quando ne abbiamo bisogno, lottando e combattendo come guerrieri contro le avversità che democraticamente ogni giorno ci attaccano.
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“Learca”
Edizioni Baraldi Formato 15 x 21 272 pag.
Luglio 2014 € 15:00