Quando un Paese può definirsi a misura di donna?
di Milly Tucci da Wister
L’Italia ha davanti a sé una lunga strada da percorrere in termini di uguaglianza tra uomini e donne. Nel Global gender gap report 2013 stilato dal World economic forum il nostro Paese è al 71esimo posto per quanto riguarda la parità di genere, addirittura sotto la Cina che si piazza al 69 posto della classifica.
Ad avvicinarsi alla perfezione per quanto riguarda la parità di genere è l’Islanda, che da 5 anni occupa incontrastata il primo gradino della classifica con l’87% dei punti. L’Islanda è seguita da altri Paesi nordici come Finlandia, Norvegia e Svezia. Si tratta di Stati che continuano a piazzarsi in testa della classifica – istituita nel 2006 – perché portatori di una lunga tradizione di investimenti nelle persone. Lo ha spiegato alla Bbc la fondatrice del rating Saadia Zahidi: “Sono economie piccole che riconoscono l’importanza del talento, sia che appartenga agli uomini che alle donne”.
Da quando esiste il rapporto del World economic forum, l’80% dei Paesi ha migliorato la situazione sul fronte dell’uguaglianza tra uomini e donne. Mentre il 20% non ha fatto progressi o ha addirittura peggiorato la propria posizione. Quest’anno non hanno registrato alcun avanzamento i Paesi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord, con lo Yemen, notoriamente conosciuto per le spose bambine, che si è piazzato ultimo, al 136esimo, posto del rating.
La condizione delle donne in Turchia mi preme particolarmente, alla luce di una recente visita del Paese.
Se l’Italia è ancora molto indietro la Turchia presenta luci e ombre preoccupanti.
Appena uscito dalle elezioni che hanno visto la riconferma di Erdogan la Turchia è piena di contraddizioni profonde. Ataturk, il padre della Turchia laica e moderna, aveva dato grande impulso all’emancipazione della popolazione femminile. Se da un lato nella parte occidentale del paese la donna turca è molto emancipata e aveva dato l’esempio ad altri paesi europei come l’Italia o la Francia accordando il diritto di voto alle donne nel 1934. Negli anni ’90 la Turchia aveva un primo ministro donna, mentre in Italia ciò non è mai accaduto nell’intera storia del paese. Secondo Eurostat la presenza femminile negli organi di direzione delle grandi imprese è superiore in Turchia rispetto all’Italia.
Eppure oggi tira un’aria pesante per le donne turche:
attualmente quelle impegnate in politica sono molte di meno rispetto ad alcuni decenni fa. E fino a oggi la legge ha sempre vietato che le donne in Parlamento indossassero i pantaloni.
Nel global gender report la Turchia è 120 esima.
Di recente ha fatto molto discutere l’appello del premier Recep Tayyip Erdogan alle donne turche a fare almeno tre figli – lui e sua moglie ne hanno quattro – per dare nuovo impulso alla nazione turca. Ma, aldilà dei proclami del premier – accusato di avere dato un’impostazione autoritaria e conservatrice al suo Governo e di voler confinare la donna tra le pareti domestiche limitandola al ruolo di moglie e madre –, la “questione femminile” in Turchia è radicata e longeva.
Nel novembre 2001 la riforma del codice civile proclamava l’uguaglianza tra i due consorti all’interno della famiglia. Inoltre oggi i matrimoni in Turchia sono ormai stabiliti secondo il regime della comunione dei beni e la donna è riconosciuta in quanto individuo: può lavorare senza l’autorizzazione di suo marito e chiedere di mantenere da sposata il suo cognome da nubile.
Lo scorso 23 Maggio 2013 una inchiesta di Panorama titolava “La Turchia non è un posto per donne”
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http://www3.weforum.org/docs/WEF_GenderGap_Report_2013.pdf