La Manifattura Tabacchi e il quartiere di San Gaetano
La tabachina non porta il cappello senza che abbia un bel nastro. Il nastro è una cosa fine, c’è la tabacchina da accontentare Oh me pover’uomo! Come posso fare? C’è la tabacchina da accontentare. La tabachina non porta le calze senza che abbiano un bel pisèt. Il pisèt è una cosa fine, c’è la tabacchina da accontentare Oh me pover’uomo! Come posso fare? C’è la tabacchina da accontentare. La tabachina Coro Valtanaro sezione Alessandria http://www.youtube.com/watch?v=YR14VyM_0uQ
La terza passeggiata torinese di genere proposta dal gruppo di Toponomastica femminile, in occasione del III Convegno nazionale, avrà luogo nei locali dell’antica Manifattura Tabacchi e nel vicino quartiere di San Gaetano – poche case tra la fabbrica, la chiesa di San Gaetano, la scuola elementare e l’asilo – in cui vivevano le tabacchine.
A guidarla sarà Angelo Castrovilli, appassionato ricercatore sulle periferie urbane e coautore di diverse pubblicazioni sulla città, tra le quali uno specifico studio su La Manifattura Tabacchi e il suo Borgo; Direttori, tecnici e impiegati nella Regia Manifattura Tabacchi di Torino. Dall’Unità d’Italia al periodo giolittiano (in Impresa e lavoro in un’industria di stato: la Manifattura Tabacchi tra Ottocento e Novecento).
Pubblichiamo di seguito la sua scheda che verrà distribuita tra le/i partecipanti alla visita e la testimonianza di un’operaia-scrivana. All’inizio del Novecento la Regia Manifattura Tabacchi era tra le più importanti unità produttive di Torino, con circa 2.000 addetti, in prevalenza donne: nel 1913, ad esempio, vi lavoravano 1728 operaie di cui 372 “fanciulle” di età compresa tra i 14 e i 15 anni, 189 operai e 25 impiegati.
I periodi di maggior sviluppo produttivo e occupazionale, in cui furono superate le 3000 unità produttive, si registrano però in altri due momenti ben distinti: negli anni Settanta dell’Ottocento e negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale.
La preponderanza del personale femminile è sempre stata una caratteristica delle Manifatture Tabacchi italiane, in particolare in relazione alla lavorazione manuale dei sigari: le cosiddette sigaraie furono una delle figure dominanti che con la loro sapiente manualità, pagata a cottimo, garantivano un’alta produzione tale da raggiungere i 1000 sigari al giorno. Il loro ruolo nell’ambito industriale italiano godette sempre di una certa importanza grazie all’incidenza numerica e allo status di dipendenti del Ministero delle Finanze. E così fu anche a Torino. La Regia Manifattura Tabacchi, una tra le più importanti unità produttive della città, vantava una manodopera a maggioranza femminile.
Lavorare in grandi opifici concentrati nell’ambiente urbano, portò a una crescita di sensibilità politica e sindacale che si concretizzò per molte lavoratrici nell’adesione a movimenti anarchici e socialisti. Un’ondata di scioperi e lotte operaie caratterizzò il periodo tra il 1898 e il 1921: le sigaraie protestavano contro le innovazioni introdotte nei cicli di lavorazione e rivendicavano il miglioramento delle condizioni ambientali di lavoro, del trattamento retributivo e pensionistico.
Altre importanti proteste riguardavano i soprusi e le molestie perpetrate dai Capi Laboratorio e dai Capi Operai e i provvedimenti disciplinari che colpivano soprattutto le operaie giovanissime. Si trattava di scioperi molto lunghi, che duravano anche mesi. La forte coesione e solidarietà che esistevano nel mondo operaio, al suo interno e anche all’esterno, con il Borgo Regio Parco, permisero di ottenere concessioni in anticipo rispetto ad altre categorie.
Le sigaraie, o meglio tabacchine, come venivano chiamate a Torino, sono state una testimonianza unica di un mondo produttivo manifatturiero che ha coinvolto migliaia di donne in città e in provincia, e che ha contribuito a formare un tassello fondamentale nella storia del movimento operaio torinese [Angelo Castrovilli].
Racconta Giulia Marengo, scrivana. “Sono entrata alla Manifattura Tabacchi nel 1936, con la qualifica di operaia scrittuarale[…], questa strana qualifica significava che con la retribuzione da operaia svolgevo mansioni da impiegata, questo però non deve stupire più di tanto in quanto a quel tempo tutte le impiegate della Manifattura Tabacchi inizialmente venivano assunte con tale qualifica. […]. Le operaie comuni, erano le uniche a svolgere mansioni di effettiva produzione. Ad un gradino più alto delle operaie comuni si trovavano le operaie di controllo e sorveglianza, le cosiddette maestre; le quali venivano scelte fra le operaie più esperte e con maggiore anzianità di produzione, dopo aver sostenuto un piccolo esame. Le maestre avevano il compito di riferire al capo laboratorio le esigenze delle operaie, assicurare un continuo e costante approvvigionamento di materie prime, fare cioè da tramite fra lavoratrici e direzione.
La Manifattura Tabacchi era suddivisa in reparti, ogni reparto produceva un articolo. A sua volta ogni reparto era costituito da laboratori che eseguivano, ognuno, una particolare fase di lavorazione. Alla direzione di ogni laboratorio vi era un impiegato tecnico, denominato capo laboratorio. Nessuna donna era capo laboratorio […]. Il livello massimo al quale una donna poteva aspirare era quello di impiegata amministrativa. Negli anni seguenti al 1945 si raggiunse una maggiore parità fra uomini e donne; infatti, a parità di lavoro svolto e di qualifica, uomini e donne giunsero a percepire la massima retribuzione[…]. Fra uomini e donne non vi era assolutamente rivalità per quanto concerneva la carriera lavorativa, in quanto questa seguiva percorsi diversi per gli uni e per le altre. Gli uomini potevano entrare in Manifattura come operai comuni e poi, in base alle capacità ma sempre per concorso, passare impiegati tecnici. Le donne entravano come operaie comuni e potevano diventare o maestre o impiegate amministrative […].
All’interno della Manifattura vi era un asilo nido, che veniva denominato, e ancora adesso non so per quale motivo, l’incunabolo presso il quale trovavano sistemazione i bambini fino all’età di tre anni. Per ammettere i bambini al nido le famiglie pagavano una retta mensile molto bassa. Coloro che accudivano i bambini erano operaie dello stabilimento che per motivi diversi (anzianità, motivi di salute, capacità individuali), venivano destinate a queste mansioni […]”. Tratto da http://www.arpnet.it/offmem/libromanifattura/cap5_18_testimonianze.html