«Non si tratta di essere differenti, ma di fare la differenza».
Questo afferma Anna Simone nel suo libro ”I talenti delle donne” ed. Einaudi.
Anna Simone, quarantatreenne pugliese di Altamura, vive a Rome dove lavora come ricercatrice nel campo della sociologia giuridica della devianza e del mutamento sociale presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Roma 3.
Di recente ha scritto un libro, ”I talenti delle donne” nel quale guarda a questi da un altro punto di vista: valorizzare i talenti ripensando una società basata sul desiderio e non sulla prestazione o sulla frustrazione.
Di libri che parlano di Talenti delle donne se ne sono scritti molti. In cosa diverge il tuo?
Finora si è parlato di talenti femminili solo in un’ottica di valorizzazione senza mai mettere in discussione le modalità attraverso cui vengono valorizzati. Io da sociologa ho provato a mettere in discussione questi processi per dimostrare che il discorso pubblico sulle donne tende sempre o a trasformarci in vittime o a considerarci “donne utili alla crescita del paese”, una specie di merce utile al PIL. Attraverso queste narrazioni si nasconde il discorso sulla condizione materiale e reale di moltissime donne costrette a trovare un equilibrio continuo tra vita e lavoro nella drammatica crisi del Welfare e si confonde il talento, nel senso di desiderio e passione, di possibilità di fare quel che si desidera davvero con la meritocrazia. Una logica fredda e quantitativa, fatta di numeri e titoli, dunque anche priva di passione, talvolta. Valorizzare i talenti femminili per me significa ripensare una società basata sul desiderio e non sulla prestazione o sulla frustrazione.
Cosa cerchi nel tuo libro di scoprire? Se le donne hanno davvero talento, se è nascosto o altro?
Cerco di far capire, attraverso le voci delle donne di talento che ho intervistato, che le donne non sono una merce, un’attitudine da sfruttare. Le donne di talento sono ovunque, bisogna solo fare in modo che la nostra società abbia la capacità di ricontare sulle passioni e non solo su forme di “inclusione” di facciata. Le donne che non sanno fare la differenza e che alla fine si rivelano mere esecutrici del potere maschile non mettono in gioco un loro talento autonomo, non fanno la differenza, ma semplicemente svolgono dei compiti decisi da altri.
Cos’è questo talento è naturale o acquisito?
Il talento è il desiderio e la passione per quello che facciamo. O ce l’abbiamo o non ce l’abbiamo. Questa è una società che lo castra continuamente, pensiamo alla precarietà delle donne giovani o meno giovani, al problema della disoccupazione e a molto altro. Il talento non è misurabile, è ciò che sentiamo.
Serve alla società o la società può farne a meno?
Noi donne possiamo fare a meno o rovesciare una società che ci usa solo quando gli fa comodo.
La donna deve essere sempre ancillare all’uomo oppure ha delle carte nascoste?
Saper fare la differenza significa mettere in gioco la bellezza dell’essere donne in un mondo maschile, il cui potere è assolutamente maschile. Per poterlo fare occorre essere autonome.
Donne talentuose. Ci fai qualche esempio?
Tutte le donne che ho intervistato nel libro. Ma ce ne sono mille altre, note e sconosciute, ovunque. Basta solo saperle riconoscere per quello che sono e fanno, non perchè utili alla crescita del paese.