Ampliare il coinvolgimento di donne con e senza prole nel mondo del lavoro sarà fondamentale per lo sviluppo dell’Italia
Noi donne abbiamo sbagliato qualcosa?
Forse abbiamo sbagliato a prendere atto delle nostre potenzialità? Abbiamo sbagliato nel cercare di partecipare alla vita politica e economica del paese? Abbiamo sbagliato a volere l’indipendenza lavorativa, che a volte ci porta anche a desiderare di far carriera come gli uomini? Abbiamo sbagliato a cercare l’indipendenza economica che ci rende quindi meno dipendenti dai mariti? Credo di no. Non abbiamo sbagliato a desiderare tutto ciò, forse (come spiega Sheryl Sandberg nel libro “Facciamoci Avanti” abbiamo sbagliato le modalità di richiesta, dovevano essere più collaborative, più improntate al dialogo, alla fiducia, al sorriso…gli uomini spesso di fronte a una donna indipendente, che prende iniziativa, sono spiazzati, forse ci vedono come una minaccia…bisogna ricominciare a parlare con loro.
Intanto incominciamo a mettere sui tavoli di chi in questo Paese fa le strategie questi dati:
Lo scorso 18 Novembre 2013 al Forum internazionale della comunicazione sociale è intervenuto Istituto Piepoli presentando alcune elaborazioni frutto di precedenti studi statistici condotti mediante 1503 interviste CAWI su un campione di donne di età compresa tra i 20 ed i 50 anni, Donne di classe socio culturale superiore, rappresentative della popolazione oggetto di analisi per area geografica e ampiezza centro.
Dal report emerge che rispetto alle generazioni delle nostre mamme e nonne, il 52% delle donne intervistate trova che la sua vita di donna sia più difficile (tra coloro che ritengono che sia più facile e coloro che ritengono che sia più difficile quindi il saldo è negativo pari a -24%) , la conciliazione tra lavoro e famiglia è ancora ardua. A ritenere la vita di donna oggi “più difficile” rispetto al passato sono soprattutto le donne dai 31 ai 40 anni (saldo tra “più facile” e “più difficile” -30%) sposate (-saldo28%) con figli (-29%). All’aumentare del numero di figli aumenta la % di donne che ritengono la vita di donna più difficile oggi.
Secondo lo studio di Istituto Piepoli, queste le cause principali che rendono quasi impossibile essere sia madre che manager:
il 59% attribuisce alle difficoltà di organizzazione legate alla cura dei figli la causa principale
il 37% alla mancanza di sostegno da parte del datore di lavoro
il 35% alle difficoltà economiche legate alla cura dei figli
il 32% alla discriminazione professionale a causa della maternità
il 28% l’assenza di una reale condivisione nella coppia
Le 5 cause del problema emerse dallo studio quindi sono soprattutto legate all’organizzazione della cura dei figli, ma anche tutte le altre cause assumono per gli italiani un peso non trascurabile. Chi sono i responsabili? Il coniuge, che spesso non condivide le responsabilità familiari; il datore di lavoro; il denaro; i colleghi e superiori che operano discriminazioni verso le donne a causa della maternità, ma anche le donne stesse che limitano le proprie possibilità in ragione dell’attesa di un figlio, anche quando non è stato ancora concepito.
In Italia il tasso di donne lavorativamente attive è del 51% per madri con figli al di sotto i tre anni e quando i figli crescono risale al 54%, negli Usa passa dal 54% al 75% (Oecd 2009) questo significa che in Italia non si rientra a lavoro dopo la maternità.
Le donne che con più probabilità lasceranno il lavoro in concomitanza con la maternità sono concentrate agli estremi della scala salariale. Come magistralmente con “Facciamoci avanti” ha spiegato Sheryl Sandberg.
Sheryl ha chiesto a molte donne:- cosa faresti se avessi il coraggio?
molte volte le donne si limitano a priori perche non credono nelle loro capacità oppure perche si sentono in qualche modo condannate, per aver desiderato la carriera, o peggio inferiori agli uomini, o ancora inadeguate a curare la famiglia e i figli e contemporaneamente seguire le proprie ambizioni professionali, anche quando ancora non hanno figli
Graf. : donne che rispondono alla domanda: “cosa faresti se avessi coraggio?” dal sito Facebook Lean Inn
Esiste una profonda differenza tra famiglie a basso reddito e famiglie ad alto reddito, ma rispetto al lavoro femminile in entrambi i casi se una donna rimane incinta abbandona il lavoro.
Nelle famiglie a bassissimo reddito le donne abbandonano non potendosi permettere i costi di accudimento, nelle famiglie ad alto reddito in cui il marito lavora 50 o più ore la settimana per fare carriera, la donna ha il 44% di probabilità di lasciare il lavoro
Nella coppia è l’amore che unisce, ma le differenze culturali, di educazione, di trattamento in famiglia e a lavoro e di possibilità di crescita e di espressione sono ancora troppo grandi, così grandi da dividere due persone che si amano.. insomma le disparità di condizione tra uomo e donna possono generare tensioni, ansia per la donna, stress, allontanamento, ma anche pericolosi contrasti che possono sfociare nella violenza.
Apro così una finestra anche sulle difficoltà delle donne e le azioni di contrasto alla violenza sulle donne: l’inchiesta de La Stampa fa capire che le cause della violenza sulle donne sono prevalentemente legate a conflitti familiari, la difficoltà di accettare una separazione, oppure la scelta della donna di interrompere un fidanzamento tra le cause principali degli atti di violenza. La mappa cartografica non può che farci riflettere, indignare e reagire.
http://www.lastampa.it/societa/donna/speciali/femminicidio/2013
Graf. 21: immagine tratta dalla pagina https://www.facebook.com/1522NoAllaViolenzaSullaDonne?fref=ts
L’immagine che vedete è quella di una iniziativa a cura del programma 1522, che è un numero verde contro la violenza, ma è anche uno spettacolo teatrale di Pina Debbi e Tiziana Sensi itinerante, che ha coinvolto le scuole italiane, uno spettacolo contro la violenza sulle donne che è stato portato a Montecitorio nelle scorse settimane con una installazione per strada -MIUR, Camera dei Deputati e Presidenza del Consiglio- dipartimento pari opportunità insieme. In quella occasione le maestre accompagnavano gli allievi delle scuole ad assistere allo spettacolo indossando le magliette “io rispetto”, per gli uomini e “io valgo” per le donne.
Nella revolution di cui il Paese ha bisogno un ruolo centrale lo avrà il riequilibrio dei generi in famiglia a lavoro e nella interazione: la gender revolution.
Il tema verrà presto sviscerato in occasione del ventesimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione di Pechino, la Presidenza ospiterà a Roma una conferenza sulla Piattaforma d’Azione di Pechino (23-24 ottobre 2014) che includerà una valutazione degli obiettivi della Piattaforma. La Presidenza italiana promuoverà altresì la piena attuazione del principio di non discriminazione, organizzando tra l’altro una conferenza ad alto livello con l’obiettivo di realizzare un ampio consenso sul completamento del quadro giuridico esistente che vieti la discriminazione per qualunque motivo.
Ma riavvolgiamo un attimo il nastro sulla situazione del nostro Paese:….
Ricordiamo che fino a pochi anni fa si attribuiva solo alla“donna lavoratrice”- sosteneva la democristiana Maria Federici- “ una grande funzione da svolgere: quella di formare, di allevare, di educare la famiglia”. Nel 1948 all’art 37 della Costituzione si stabiliva che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro le stesse retribuzioni del lavoratore, ma le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. Oggi l’Italia nonostante numerose iniziative di innovazione e coinvolgimento dell’uomo nella cura della famiglia è ancora molto indietro sulla conciliazione tra gestione della famiglia (allargata anche a figli, coniuge e ai genitori anziani).
I dati infatti ci mostrano che è sempre la donna a essere più penalizzata dalla crisi, a colmare con le sue rinunce il vuoto nell’offerta di servizi di supporto alla conciliazione, a dover prendere il part time per occuparsi della famiglia e sempre sulla donna pesa maggiormente la disoccupazione. In Italia, nel 2013, l’occupazione è diminuita di 984 mila unità rispetto al 2008, (-973 mila uomini e -11 mila donne), facendo registrare una flessione pari al 4,2 per cento. Il calo è stato maggiore nell’ultimo anno (-478 mila occupati), accelerando la dinamica negativa osservata dopo il leggero incremento di occupazione registrato nel 2011 (Eurostat, Labour force survey).
Oggi che è stato ben compreso che se non c’è una collaborazione del partner, automaticamente si compromette la possibilità di carriera della donna proprio per la difficoltà di conciliare da sola il tempo di lavoro con le responsabilità domestiche (che non sono retribuite non ci sono più scuse.
Ampliare il coinvolgimento di donne con e senza prole nel mondo del lavoro sarà fondamentale per lo sviluppo dell’Italia, Jeffrey A. Joerres, Chairman, CEO e Presidente di ManpowerGroup sottolinea l’urgenza di valorizzare il potenziale umano e liberare quei giacimenti di energia, “sacche di talento” non espressi, che si perdono se non hanno modo di esprimersi.
Le donne come dice Sheryl Sandberg direttore operativo di Facebook devono accedere alle stanze dei bottoni, alzare la mano, non avere paura.
Ma l’Italia è davvero pronta? Come documenta Marta Boneschi nel libro “Santa Pazienza” uno dei punti focali della Costituzione italiana del 1948 fu la richiesta delle donne di un nuovo contratto sociale, che prevedesse equa condivisione di poteri e responsabilità, anche minori. Ma tra il dire e il fare…il progresso nel percorso di emancipazione femminile è stato molto più lento; farà sorridere oggi a molte wister pensare che in Italia fino al 1975 vigeva l’istituto dell’autorizzazione maritale, per cui si acquisivano i diritti civili solo su autorizzazione del marito, molto dopo le donne turche. Eppure è cosi, solo nel ‘75 viene annullato l’istituto dell’autorizzazione maritale e solo nel ‘77 la legge riconosce alle donne che lavorano una piena parità di accesso, remunerazione e carriera.
Quanti anni sono passati da allora…quante battaglie, eppure quante ancora sentono il velato peso dell’influenza del coniuge nelle decisioni fondamentali della propria carriera, quante sentono pesare unicamente sulle proprie spalle le responsabilità della cura della casa e dei familiari, quante infine percepiscono profonde differenze rispetto ai colleghi di carriera, di retribuzione e di opportunità nel loro contesto…
2 commenti
Molto interessante…un’analisi culturale e sociologica critica e veritiera. Concordo nel ritenere che i fattori implicati nella critica e delicata realtà delle donne italiane siano vari e diversi, ma che un vero e reale cambiamento ci può essere laddove sono le donne in primis ad avere coraggio di affermarsi e di emergere, acquisendo maggiore coscienza delle proprie capacità e dei propri punti di forza intrinseci anche nel genere di appartenenza e quando vi è, anche nella maternità…che sicuramente deve cessare di essere vista come una penalità, ma diventare semmai un valore aggiunto, come le ricerche scientifiche testimoniano.
I dati continuano ad evidenziare soffitto e pareti di cristallo. Continuiamo a rilevare potenzialità, differenze, carichi, immobilità o scarsi motivi di avanzamento.
Viviamo in un paese nel quale alle innovazioni normative intelligenti contrapponiamo blocchi nell’applicazione delle stesse. Siam sempre figlie di Guelfi e Ghibellini, per cui se le donne diventano troppo pericolose (perchè organizzate lo sono) il sistema allora si inventerà nuove divisioni (giovani/meno giovani; madri/senza prole; ecc.).
Il tema è: facciamoci avanti! Più che associazioni dovremmo fare società.
Forse solo in questo modo riusciremmo a rompere quella barriera dei “distinguo”, caratteristica costante del mondo delle associazioni, delle esperte, delle operatrici, delle interessate, .. ai temi della parità e delle pari opportunità.