A Milano Valentina Diouf e le sue compagne non vincono il campionato, ma l’affetto di tutti e di tutte. Un esempio per le donne?
di Loredana Metta da http://www.z3xmi.it/
Le ragazze della pallavolo meritano un riconoscimento straordinario per un motivo che forse non è immediatamente evidente. È raro vedere un insieme di donne forti e belle che si prestino a incarnare il vecchio adagio: l’unione fa la forza. Una volta sola ho visto un’immagine pubblicitaria – era della Banca di Credito Cooperativo, onore al merito – in cui si è utilizzato un gruppo di donne per comunicare un’idea di sostegno e solidarietà reciproca. Insomma non solo profumi e detersivi. Ma solidarietà e forza nell’unità d’intenti fra simili. Già, perché di solito sono gli uomini a far squadra e, diciamo la verità, le donne non godono della fama di saper fare altrettanto.
Un articolo apparso su La Stampa nel febbraio 2013 ci ha ispirato tempo fa qualche riflessione. Una ricerca della University of British Columbia Sauder School of Business in Canada dimostrerebbe l’esistenza di un pregiudizio negativo sulle donne.
Ad alcuni volontari ambosessi è stato chiesto di valutare tre scenari di conflitto sul posto di lavoro. Il tipo di conflitto era identico per tutti e tre gli scenari, ma cambiavano i nomi dei protagonisti. I volontari hanno giudicato più facilmente gestibile e recuperabile una incrinatura tra uomini o fra un uomo e una donna di quello tra due donne. Non solo quindi il conflitto è stato giudicato diversamente a seconda del genere sessuale di appartenenza dei protagonisti, ma c’è la percezione che due donne siano più propense a rompere, persino a discapito del proprio benessere nel luogo di lavoro. I pregiudizi contro le donne sono numerosi e spesso vige quello che le sociologhe chiamano doppio standard. Esempio: se una donna tiene in disordine la scrivania è disorganizzata, se lo fa un uomo è un creativo con senso dell’ordine tutto suo. Una donna che perde le staffe è isterica, l’uomo ha carattere. Questa storia delle donne litigiose e poco inclini alla solidarietà, quindi, potrebbe benissimo essere il frutto della solita pre-comprensione della realtà sfavorevole alle donne.
Ma il sospetto ci sia qualche cos’altro è insistente e strisciante. La citata ricerca canadese ha messo in evidenza come fossero le stesse partecipanti di sesso femminile a giudicare più complicato e difficile un litigio tra donne. Odile Robotti, autrice del bel testo Il talento delle donne, veramente un grande aiuto per le donne che lavorano, nella sua esperienza di formatrice aziendale, testimonia la difficoltà per le donne nel costituire e nell’essere inserite in reti informali di relazioni, quei circoli in cui, nel mondo professionale, s’intessono relazioni di cooperazione e mutuo appoggio, utili per avanzare nella carriera o ottenere miglioramenti di status.
Il reciproco appoggio fra donne, lo insegna per esempio la professora Bianca Beccalli dell’Università statale, non può scattare se il numero di donne presenti in contesti organizzativi non raggiunge almeno una soglia minima di presenze. Uno dei motivi a sostegno della proposta di quote di genere, non certo rosa (se no Becalli si arrabbia proprio) che sarebbe auspicabile applicare in quei sessantacinque comuni calabresi, su un totale di 149, che non vedono neppure una sola donna in giunta (Fonte Donnainaffari.it, a firma Dominella Trunfio).
Che concludiamo? Le donne stesse confermano di avere maggiori difficoltà nella gestione delle relazioni con altre donne. Le studiose di questi argomenti indicano che nell’immagine della principessa delle fiabe si riverbera l’idea di una competizione femminile aspra e irriducibile, perché il principe è uno solo. La psicologa sociale Elisabetta Camussi dell’Università Bicocca, specialista in questioni di genere, in un incontro con le studenti sottolineava come la rivalità femminile si manifesti sovente come gioco distruttivo e all’ultimo sangue, non regolamentata e non predisposta a un sano, naturale avvicendamento del vincitore. Come accade appunto nello sport: questa volta vinci tu, alla prossima toccherà a me.
Il role modelling offerto dallo sport, dal cinema, dalla letteratura e dalla televisione è fondamentale per plasmare la vita sociale. Da ciò deriva la necessità di mostrare diversi comportamenti sui cui misurare e plasmare i nostri, per modularli opportunamente e, se necessario, cambiarli.
Ecco uno spunto per le lettrici e i lettori. È il test Bechdel – Wallace sull’immagine femminile nei film. L’ho trovato sull’Huffington Post in un articolo del giugno 2013. Consiste in questo: ogni volta che vedete un film o guardate una fiction televisiva fatevi tre semplici domande: ci sono più di due donne? S’intende naturalmente due protagoniste femminili importanti, non semplici comparse. Le due donne parlano tra loro? E parlano di qualcosa che non sia un uomo? Provare per credere, non sono poi tanti.
Eppure ci saranno film o commedie teatrali o fiction, in cui si mostra un gruppo di donne, colleghe o amiche che collaborano fra loro al raggiungimento di un obiettivo. A me viene in mente We Want Sex di Nigel Cole. A voi?
Comunque c’è un grande bisogno di aumentare gli esempi di collaborazione fra donne. Ecco il motivo in più perché le azzurre della pallavolo si meritano una medaglia del cuore.
P.S. Sempre a proposito di film, bellissimo Donne del 1939 di John Cukor con un remake nel 2008 della regista Diane English. Cast solo femminile.