La Consigliera di Parità, nominata direttamente dal Ministero del Lavoro, sia a livello Nazionale che Regionale, nell’ esercizio delle sue funzioni è un Pubblico Ufficiale. Ma cosa può fare e cosa guadagna?
La figura della Consigliera di Parità trova una legittimazione normativa all’interno del Codice delle Pari Opportunità. Che ha recepito la Direttiva Europea 2008/54/CE.
La Consigliera di Parità, nominata direttamente dal Ministero del Lavoro, sia a livello Nazionale che Regionale, nell’esercizio delle sue funzioni è un Pubblico Ufficiale, è soggetto terzo e non di parte, opera per promuovere e monitorare parità e pari opportunità in ambito lavorativo e per il contrasto delle discriminazioni di genere in ambito lavorativo, ha l’obbligo di segnalare all’autorità giudiziaria i reati in tal ambito di cui viene a conoscenza. Svolge anche un ruolo importante per la promozione dell’occupazione femminile ed ogni due anni deve raccogliere ed elaborare i rapporti sulla situazione del personale delle imprese con più di 100 addetti.
In tale veste promuove azioni in giudizio innanzi al TAR o al Giudice del Lavoro; infatti la presenza di discriminazioni rappresenta condizioni invalidanti il licenziamento di una lavoratrice.
Riveste anche un ruolo primario per il contrasto alla violenza di genere in abito lavorativo. Le molestie, fisiche o psicologiche, ledono il diritto al lavoro ad alla salute, creano discriminazione ed offendono la dignità umana minando l’autostima e la capacità di integrazione nel mondo del lavoro.
A tutto ciò si è aggiunto quanto sedimentato negli anni dalla giurisprudenza, attribuendo la legittimità alla Consigliera di Parità ad agire dinanzi al TAR nei confronti delle Giunte costituite con la sola presenza maschile (ed ora con la Legge Del Rio, una presenza minore al 40% di ogni genere), ma anche la possibilità di costituirsi parte civile nelle molestie sessuali.
Tutto ciò è vincolante per la Consigliera di Parità in quanto è un “Pubblico ufficiale” nello svolgimento delle funzioni.
Però, in questi ultimi anni vi è stata una forte riduzione del finanziamento del Fondo Nazionale relativo, che potrebbe comportare l’annullamento di un’esperienza che ha reso possibile un’azione antidiscriminatoria, implementando la giurisprudenza in tal ambito.
La proposta di riparto dei fondi riduce drasticamente le possibilità di azioni e del ruolo delle Consigliere di Parità.
Infatti, oltre a rendere irrisorio il compenso mensile per le Consigliere regionali a € 16 lori mensili, tende a creare disparità con le regioni a Statuto Speciale, che drenerebbero l’87% delle intere risorse, riducendo a pochissimo quelle per le Regioni ordinarie, creando, in alcuni casi, l’impossibilità a procedere nei giudizi, per le spese legali, e di fatto ad una scarsa applicazione della normativa europea, ma ancor peggio un grave rischio a livello individuale per le Consigliere di Parità, obbligate a rispondere in quanto Pubblici Ufficiali, ma con scarse risorse, di essere imputate per omissione di pubblico servizio, passando da accusatrici ad accusate.
Eppure tante sono le conquiste che le Consigliere possono annoverare.
Infatti , recentemente, oltre alle azioni vincenti nei riguardi delle Giunte tutte maschili, ricordiamo altre ottenute dall’Ufficio della Consigliera di Parità della Regione Puglia (Serenella Molendini, effettiva, e Teresa Zaccaria, supplente) e Le consigliere di Parità Provinciali:
– vittoria dell’Ufficio della Consigliera Regionale di Parità, costituitasi in giudizio, con la Sentenza della Corte di Appello Lavoro di Bari del 13 ottobre scorso che ha confermato la disapplicazione del D.M. 88/99 Ministero dei Trasporti, confermando la sentenza di 1° grado, e la conseguente riammissione nel ruolo di Capo Treno (retroattiva,non riconosciuta in 1° grado) di una lavoratrice, vincitrice di concorso, discriminata indirettamente per genere a causa dell’altezza. Il Decreto Ministeriale, impugnabile in toto, in una eventuale prossima causa discriminatoria, per la Corte non tiene presente la fisiologica differenza di altezza fra donne e uomini della medesima età, di fatto annullando la figura femminile e paragonandola a quella maschile.
– altra battaglia sostenuta è il non rispetto della normativa Europea e la incostituzionalità dell’art. 54 del T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, viste le ripetute negazioni della proroga degli incarichi a tempo determinato perché in maternità,creando disparità fra uomo e donna.
– altra conquista della Consigliera di Parità della Provincia di Lecce che ha difeso,vincendo la causa, presso il TAR, il diritto a congedo di paternità, anche se la moglie è casalinga, riconoscendo così la casalinga come lavoratrice autonoma e che le discriminazioni in materia possono danneggiare anche gli uomini.
1 commento
Vorrei aggiungere qualche altra informazione. La consigliera di parità partecipa alle Commissioni di Concertazione tripartite regionali e provinciali, ai Comitati di Concertazione Inter-istituzionali, al Comitato di Sorveglianza le Consigliere contribuiscono alla costruzione delle politiche del lavoro locali.
Il ruolo della Consigliera di Parità si differenzia da ogni altro organismo o soggetto che si occupi del tema di parità e pari opportunità (commissioni di elette, commissioni regionali e provinciali, assessorati, sportelli, progetti associazionismo, ecc) avendo come RUOLO ESCLUSIVO – in qualità di pubblico ufficiale – quello di contrasto e rimozione delle discriminazioni di genere in ambito lavorativo, attraverso la ricerca di una conciliazione tra le parti in via stragiudiziale o anche attraverso l’azione in giudizio così come previsto dagli articoli 36-37 del Codice delle Pari Opportunità. Ricordando che la rilevazione di discriminazione rappresenta condizione invalidante il licenziamento, occorre sottolineare come la forte riduzione del finanziamento del fondo nazionale destinato alle attività delle Consigliere di Parità possa di fatto bloccare completamente la loro attività.
Infatti, secondo quanto previsto nella proposta di decreto per il riparto del Fondo per il 2013 (a tutt’oggi non ancora firmato), l’87% andrà a favore delle 4 regioni a statuto speciale (Val d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna), mentre alle altre 15 regioni spetteranno fondi da 100 a 1500 euro annui per le attività di ciascun ufficio. Ovviamente non saranno esigibili i permessi retribuiti per le Consigliere dipendenti per il distacco per l’esercizio della funzione previsti dalla legge e, a fronte di solo lavoro volontario, nessuna azione in giudizio sarà possibile dal momento che i costi non potranno essere che pagati in denaro.
Di fronte a questa iniqua realtà, è doveroso richiedere una diversa ripartizione del fondo che non penalizzi le regioni a statuto ordinario, un incremento del fondo a fronte di un significativo incremento delle presunte discriminazioni denunciate anche a causa delle crisi, ed una valorizzazione del ruolo oggi offeso dalla valorizzazione in 16 e 12 euro mensili dell’indennità destinata alle Consigliere di Parità regionali e provinciali.
Anche in presenza di un incremento di affidamenti introdotti con nuove norme, come il mancato finanziamento porti a:
– Una mancata applicazione di quanto previsto dalla direttiva europea n. 54 del 2006, che prevede che gli Stati membri debbano stabilire i mezzi di tutela per i lavoratori che subiscono discriminazione, come ad esempio le procedure di conciliazione e le procedure giurisdizionali. In particolare per quanto riguarda l’art. 17 (tutela dei diritti) e l’art. 20 (organismi di parità)
– Disattendere quanto previsto dalla normativa nazionale (D. Lgs. 198/2006 e s.m. che definisce ruolo e funzioni delle Consigliere negli artt. Dal 12 al 20, 36, 37, 43, 46)
– Un grave rischio individuale sul capo delle Consigliere, obbligate a rispondere in quanto pubblici ufficiali ma prive di risorse, di interruzione di pubblico servizio.