Si soffre di meno se la persona defunta non la si conosce di persona? Anche un lutto virtuale fa soffrire.
La signora Stone è morta.
Avevo preparato per lei un vaso di marmellata di lamponi; lamponi che coltivo in un grande campo che scende la collina verso Sud. Il panorama è ampio: al di là del torrente in basso, l’onda delle colline riprende, accompagna e contiene.
Con la signora Stone c’eravamo sentiti al telefono solo un paio di volte; la nostra relazione è stata mediata da Facebook; così questo è il mio primo lutto virtuale. Mi sorprende la quantità di dettagli, di aneddoti, di stati d’animo che aveva narrato con arguzia, impazienza e talvolta con rabbia al trivio, dove la facce (non i visi) s’incontrano.
E’ ora assente una conosciuta che non avevo mai incontrato, mai toccato, mai sentito respirare, mai visto scuotere la testa e agitare le mani parlando. Un incontro senza corpo.
Il suo vaso di marmellata mi interroga: cos’è quest’assenza ?
Non so, mi guardo intorno… chiedo alla terra di parlarmi così come io parlo ad ogni pianta quando ne stacco i frutti. La terra è grossa della pioggia che batte da due giorni, il vento di scirocco ha alzato la temperatura: si sta in maniche di camicia in mezzo al fango che gorgoglia sotto lo stivale.
Cosa manca ? Beh, manca il dolore, l’offesa del cuore.
La signora Stone è morta e, per me, la sua morte senza corpo, la sua morte pura chiama immediatamente alla riflessione “secca”, senza emozione, sulla propria mortalità. Una forma del fare, questa riflessione, che porta ognuno di noi nella decisione intorno al proprio essere se stesso, al proprio autentico esistere.
Si consulta il mistero perché l’incertezza segreta è il fremito della vita.