Le azioni di propaganda e le chiacchiere in Italia sulle startup sono, ad oggi, purtroppo, tante, ma i soldi realmente investiti per il loro sviluppo veramente pochi. Ne parliamo con Danila Autuori reduce da up startupbusiness tour internazionale.
Circa un mese fa, tra fiumi di news sul web che leggo ogni giorno, una con un titolo avvincente ed immagini colorate attira la mia attenzione: “Sei pronto per la più intensa competizione di startup del mondo? 72 ore su un autobus – 8 nazioni- 200 buspreneurs – 1 SOGNO …STARTUPBUS”
Mi chiamo Danila A., laureata in Economia, appassionata di informatica, da 6 anni disoccupata, dopo aver rinunciato ad un impiego a tempo indeterminato in una nota multinazionale del settore automotive per colpa del lavoro troppo frenetico e che, oramai mi assorbiva anche la notte per la mole di documenti da produrre e per le continue call con Giappone ed Australia con relativi fusi orari non molto comodi. Avevo conquistato il mio VI liv. metalmeccanico e, grazie al riconoscimento del mio apporto da parte del Presidente, la mia carriera lavorativa era avanzata rapidamente di tre progressivi scatti in quattro anni. Non male in una grande azienda che, come altre dello stesso settore, ha un livello medio di competenze molto elevato. In aggiunta sono invalida civile, neolaureata all’epoca dell’assunzione e … donna. Mi trovavo in una azienda con maggioranza di dipendenti uomini ed ingegneri, un ambiente fortemente competitivo in cui ‘uscire dai giochi’ era sempre dietro l’angolo ed, infatti, ne sono uscita … ma questa è un’altra storia e magari, se interessa, ve la racconterò ma, per ora è solo un importante bagaglio che porto con me nelle scelte che si susseguono nella mia vita e che ancora influisce su molte delle mie rotte.
Ritornando ai buspreneurs, da curiosa ed amante delle lingue cerco da subito una traduzione, poi, in rete, leggo di un autobus che, percorrendo l’Europa, vuole esaltare l’ambizione e lo spirito d’iniziativa quale fattore critico di successo per lanciare la propria idea imprenditoriale. Presa da altro, non leggo tutto e m’iscrivo per candidarmi, pensando: sarà una delle tante competition cui quotidianamente partecipo per promuovere Skillme, la startup che ora seguo, e, magari, riesco a racimolare qualche fondo per il suo sviluppo. Anche se, lo status di disoccupazione, come recita wikipedia è: “la condizione di mancanza di un lavoro per una persona in età da lavoro che lo cerchi attivamente …” , aggiungerei che, in realtà, si parla di disoccupazione soprattutto nell’accezione lavorativa e nel caso in cui ci sia “mancanza di un contratto di lavoro”. Nel mio caso, infatti, le attività lavorative che svolgo sono proprio tante, per altri, per futuristiche equiry o per favori, ma di stipendio nessuna traccia.
Negli ultimi anni ho dovuto scegliere di inserirmi nell’ecosistema delle startup perché, come dicevo, ad una donna, 40enne … ah, già, dimenticavo, invalida (sono affetta da Sclerosi Multipla da 21 anni) qui al sud di offerte di lavoro proprio non ce ne sono. Ho seguito il motto insegnatomi dal mio precedente datore di lavoro e mentore, “never give up!” (non mollare mai) e, volendo sopperire ai risultati molto insoddisfacenti di ricerca di lavoro, ho fatto su me stessa, come si dice in ambito gestionale-economio, un reengineering, ho cercato, cioè, un campo in cui sembravano esserci sbocchi e, messo da parte il mio profilo professionale di controller (addetto alla contabilità analitica), sto provando a crearmi io il lavoro, ridisegnandomi, mio malgrado, con un ruolo da imprenditrice. Le azioni di propaganda e le chiacchiere in Italia sulle startup sono, ad oggi, purtroppo, tante, ma i soldi realmente investiti per il loro sviluppo veramente pochi. Ho iniziato un percorso unendomi ad altri professionisti e fondato con loro una web company innovativa, Skillme. Oggi siamo 6 soci: 2 donne, 3 uomini ed 1 incubatore; ma, al momento, per l’implementazione del progetto, solo io lavoro full-time da circa 3 anni e, come dicevo, on-equity, affiancando uno degli altri soci che, sempre on-equity, ma part-time, si occupa sia della Business Idea che dello sviluppo del SoftWare. La mia è una corsa contro il tempo per produrre quanto possibile con risorse molto limitate, sia economiche che di team, che, purtroppo, rischia di far scadere il cosiddetto ‘time to market’ e rendere ogni mio sforzo vano.
Lo StartUpBus mi si è presentato come un’opportunità da non perdere, una palestra per il mio nuovo percorso lavorativo e l’occasione di trovare idee e partner per Skillme. Ero consapevole delle sicure difficoltà che la mia malattia mi avrebbe posto, ma, come dice sempre un mio amico caro d’infanzia, forza ed #avantitutta!
Il 6 ottobre in una call-conference su Skype con la responsabile dello StartUpBus vengo selezionata ed inizia l’avventura. Concludo in fretta alcune attività per Skillme, partecipo ad un concorso per un dottorato di ricerca in Marketing&Management all’Università degli Studi di Salerno, che perdo per 3 punti ma, via, nuovo capitolo, piano B e subito pronta a fare la valigia. La partenza del bus è alle 5,30 del mattino da Napoli e la cosa non sembra di buon auspicio…odio le sveglie da militari, ma, fortunatamente, mio marito fa con me la levatccia accompagnandomi in macchina da Salerno a Napoli, con sveglia alle 04.00.
2600 km di strada e di lavoro, 25 sconosciuti ambiziosi in rotta verso Vienna per dimostrare ai media ed agli investitori il proprio valore, sviluppando un’idea di business in 72 ore… sembra una follia, ma lo abbiamo fatto!
Si parte e da subito iniziano le presentazioni in autobus, si lanciano e si scelgono le idee per alzata di mano; programmatori, designer e manager valutano le affinità creando i team. I minuti sono preziosi e le scelte fatte in base all’intuito e la vision, avere la maggiore copertura di competenze è fondamentale per sviluppare quante più parti dell’executive summary e guadagnare il maggior numero di punti possibile per la semifinale. Le capacità organizzative e, soprattutto, quelle collaborative di ciascun membro del team si rivelano subito la reale arma vincente.
La prima tappa all’Aquila, la città che risorge dalle macerie accende le prime scintille che avviano la nascita di Uhelp, l’idea di business del mio gruppo: l’innovativa soluzione che aiuta i soccorritori in caso di calamità.
Il mio team si mostra a primo acchito ‘slegato’ ed iniziano conflitti sui ruoli ma, focalizzando l’attenzione sull’obiettivo, ovvero vincere, guadagniamo subito i primi due premi italiani quello Ford Italia, main sponsor 2014 di una settimana di incubazione in Silicon Valley ospiti della StartupHouse per aver rispecchiato e ricoperto i principi dell’azienda e quello della Tie Break Pitch Competition per la migliore presentazione in lingua inglese di una settimana a Lontra per incontrare investitori locali.
Carichi di adrenalina, si passa subito a sviluppare quante più milestones possibile perchè a ciascuna di queste saranno assegnati i punti: creare una Landing page, un blog, un app, il logo, un video, qualche wireframe, una bozza del proof of concept, of market e la TAM (proof of technology), il business model Canvas, un executive summary, qualche analisi di mercato su internet e non, questionari da somministrare tra noi e via internet, un pitch e, credetemi, tanto tanto altro.
Un paio di tappe nei colossi italiani H-farm e NanaBianca per qualche pillola di BestPrectices ma, appena sull’autobus, anche se la connessione fa i capricci, riprende incessante e continuo il brainstorming per la costruzione e modifica della Javelling board.
Arriviamo Vienna distrutti, ma pronti al rush finale.
Si dorme poche ore ed a turno, e fino a mattina presto si lavora per raccogliere i dati necessari per validare le proposte da presentare. Il tutto, però, senza mai perdere lo spirito italiano di saper vivere intensamente le esperienze, concedendoci anche piccole pause.
Si arriva al giorno delle finali e, anche se il fisico è stato messo a dura prova i 25 buspreneurs italiani sono pronti per affrontare l’Europa.
Oramai i ‘giochi sono fatti’ ed lo spirito giovane del gruppo scaccia in fretta tutto lo stress accumulato.
Ultime prove degli elevator pitch, tassativamente in lingua inglese, e delle strategie di public speaking e pronti alla gara finale!
Occorre dire che alcune evidenti difformità hanno visto presentarsi team di altre nazioni avversarie formati anche da 7-8 persone, cosa che ha reso la sfida sicuramente impari, ma tutti i 5 progetti italiani si sono distinti per significatività, innovazione e concretezza ed uno di questi, C-all, è addirittura arrivato in finale ed il suo team, anche se non ha vinto, ha ricevuto diverse proposte da parte di incubatori.
Il mio risultato? Oltre i due premi materiali, quello Ford e quello della Tie Break Pitch Competition, che spero potranno aiutarmi anche e soprattutto per far decollare anche Skillme, una forte palestra di vita su come contribuire a gestire gli equilibri dei gruppi in situazioni di stress, ma, soprattutto, il non aver rinunciato ad una gara per paure infondate e sottostima, con la conferma di avere la forza di portare a termine percorsi difficili, soprattutto se accompagnata da tanta determinazione e dalla serenità di arrivare fin dove si può senza che con questo caschi il mondo.
2 commenti
Bella storia quella della buspreneurs! In bocca al lupo Autuori!!
Grazie Filomena e …crepi il lupo! ;O)