Freelance italiani di guerra. Ne parliamo con Barbara Schiavulli
Barbara Schiavulli, 37 anni, è una giornalista di guerra. Si occupa soprattutto di Medio Oriente. Ha seguito la seconda Intifada, i conflitti in Kashmir, Afghanistan, Haiti e Iraq. Nei suoi reportage combina la cronaca con la denuncia dei crimini contro l’umanità. Scrive per «L’Espresso», «l’Eco di Bergamo», «Il Messaggero», «La Stampa» e collabora con radio e televisioni.
Ho sempre amato e stimato i reporter specie se di guerra. Non parliamo se il reporter è una donna.. Ma non sempre questa professione è ben retribuita, sebbene spesso molto rischiosa.
Abbiamo parlato con Barbara Schiavulli, freelance italiana di giornalismo di guerra in Italia, una professione da lei amata e sempre ambita nel suo percorso di vita e di carriera. Ma rischio da lei preso è stato doppio: la pelle e le tasche. Infatti non essendo sostenuta economicamente da nessuna grande testata, rischia di suo, nonostante la riconosciuta bravura ed esperienza, doti che in Italia non sono premianti.
Hai scritto anche dei libri?
Sì, due libri, ed un terzo ”Guerra e guerra’ da poco uscito, e ho ricevuto alcuni premi.. Il mio lavoro è quello di indagare, scoprire e scrivere. Penso di essere molto fortunata perché fin da piccola sapevo quale fosse la mia strada ed ho potuto perseguirla.
Cosa vuol dire essere freelance oggi in Italia?
Il giornalismo è una professione, ma dobbiamo fare i conti con il paese in cui ci troviamo dove la qualità e la professionalità, ha smesso da lungo tempo ad essere la priorità dei giornali e forse di qualsiasi altra cosa. Il giornale deve vendere e fare utili ed in un paese dove si legge poco non è un obiettivo facile da raggiungere.
Tu lavori soprattutto sull’estero. Ma in Italia gli esteri sono trascurati…
Gli Esteri contano sempre meno perchè non fanno vendere. Nessuno comprerà un giornale perché io ho scritto un pezzo su qualche crisi nel mondo.
Se mi occupassi di politica o gossip, avrei la vita più semplice, ma quegli argomenti non interessano me, ci sono persone molto più brave di me che lo fanno già.
L’informazione internazionale non dovrebbe essere tra le pagine dei giornali perché vende, ma perché dovrebbe essere il fiore all’occhiello di un giornale, perché tengono informato il lettore e lo rendono partecipe di quello che accade anche nel mondo e non solo sotto casa sua. Questo è il cuore del significato del giornalismo. Invece molti si accontentano dei report di twitter, o delle agenzie giornalistiche che fanno un lavoro importante, ma non sufficiente a spiegare quello che accade.
Ma e gli inviati? Freelance anche loro?
I giornali ora, non hanno quasi più inviati, e quelli che sono rimasti sono frustrati quasi quanto i freelance perché non vengono mandati quasi più in giro.
Il freelance all’estero funziona come qualsiasi consulenza, si viene ingaggiati per una storia, si viene pagati, si viene assicurati e quando si finisce, tutti amici come prima. In genere, all’estero, i freelance sono grandi giornalisti, è gente è in grado di offrire qualcosa che il reporter normale non fa o non può fare. In Italia è l’esatto contrario. I freelance non hanno uno contratto, non hanno una lettera di accredito, non hanno un’assicurazione. E non hanno un tariffario, sono i giornali che decidono quanto ti pagano.
All’inizio della mia attività di freelance I giornali mi hanno pagato bene. E io scrivevo molto, visto che la guerra costa. Poi le cose sono cambiate.
Quando finivo i miei soldi, ci sono stati colleghi e colleghe che mi hanno aiutata. Quando andavo da sola, lavoravo come una matta per scrivere il più possibile calcolando che se scrivevo cinque pezzi al giorno per i quotidiani, aggiungendo qualche radio e settimanale, potevo farcela. Di giorno lavoravo e la sera scrivevo fino alla nausea. Ma ci riuscivo. I conti tornavano. Facevo la vita di cinque giornalisti, ma la facevo. Ero fiera di me.
I quotidiani, fino a qualche anno fa, pagavano tra i 150 e i 200 euro, con un picco di 450 per La Stampa che mi ha fatto scrivere delle paginate bellissime. La mia competizione era con i colleghi assunti.
E adesso le cose c0me vanno?
Le cose hanno cominciato a cambiare. Una crisi finanziaria e anche mentale dentro i giornali e nel paese. Ora i giornali pagano poco, e se non accetti non scrivi. Questo è un fatto. Non ci sono vie d’uscita. Nessuno è indispensabile. Via uno, sotto un altro. Il giornalista è l’unico mestiere che può fare chiunque, se non si chiede un alto livello.
E’ un lavoro rischioso fare il reporter in aree calde…
Dopo il sequestro di Giuliana Sgrena venne chiesto ai giornalisti di non tornare in Iraq. Io non accettai, per me era un dovere professionale essere in Iraq e raccontarlo insieme ai colleghi del resto del mondo. Sapevo che era rischioso, sapevo che ero sola più che mai, ma sapevo che non mi sarei mai perdonata di aver abbandonato una storia.
Sono andata in Iraq frequentemente, fino a quando non sono tornati, anni dopo, anche gli altri colleghi.
Sono andata avanti, collaborando con chi mi voleva, soprattutto per l’Espresso, credendo per una volta di aver trovato il giornale che sognavo
E poi?
Poi è iniziata la crisi, i giornali hanno cambiato direttori, redattori, molti sono andati in prepensionamento e qualcosa di tremendo è successo: è mancato chi il mestiere lo avesse macinato oltre la scrivania. All’improvviso si doveva pagar meno, non importava chi e come scrivesse.
Hai c0llaborato anche con altri?
Sì e ora vengo alla peggiore collaborazione di sempre, quella col Fatto Quotidiano. Ho cominciato a scrivere dal numero zero, strappando un compenso da 150 euro a pezzo, mi sono lanciata, loro credevano in un nuovo giornale e volevo crederci anche io. Dopo nove mesi e tante storie tra Afghanistan, Yemen, e vari altri posti, non mi avevano ancora pagata. Non riesco a pagare le mie spese e tanto meno a partire, a quarant’anni mi sento come chi ha perso un lavoro senza mai averlo avuto, senza alcuna agevolazione perché non ho mai avuto un contratto. I freelance sono peggio degli immigrati clandestini. Nessuno ci vede.
Adesso che fai?
A 37 anni sei nel fiore della tua maturità professionale, scrivere non ha età. Ma io non posso competere con uno che viene pagato per scrivere e ha pure la pensione..
E Internet ha tolto spazio ai giornalisti?
La vastità di Internet fa credere di avere un sacco di informazioni, di cui però nessuno è sicuro, perché manca la professionalità di chi poteva garantire una notizia. Si perde la voglia di approfondire, di godersi un articolo scritto bene che ti trasporta lì dove le cose accadono, ci si nutre di politica e di pettegolezzi, ci si abitua a non pensare e a non chiedere.
Molti tuoi colleghi si riciclano..
Si. mi i dicono che mi devo riciclare, che bisogna essere aperti ai cambiamenti, che bisogna trovare altri modi, perché alla fine quello che conta è potersi sostenere. Ma io sono al bivio: continuare a credere che fare cultura sia importante anche quando nessuno la vuole, o mollare.
Dovrei pensare a me. Ma sull’ orlo di un paese in crisi, invece di trovarmi un lavoro concreto, vorrei fondare un giornale. Per adesso ho appena aperto il 22 novembre , Radio Bullets, con un notiziario radioofnico (a cura di Barbara Schiavulli, reporter di guerra, e Alessia Cerantola, giornalista in Asia), che sarà messo online ogni giorno. Anche su Facebook
E inizia la mia nuova avventura.
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