La depenalizzazione prevista dalla legge delega 28 aprile 2014 n. 67 (inerente “pene detentive non carcerarie) riguarda anche i reati legati a percosse, lesioni personali non gravi, stalking.
La recente attuazione della legge delega 28 aprile 2014 n. 67 (inerente “pene detentive non carcerarie“e “riforma del sistema sanzionatorio”) da parte dell’attuale esecutivo lascia a dir poco perplessi. Anzi, è profondamente offensiva. Per l’intera società.
Non solo in quanto i crimini di lieve entità (cioè passibili di pene inferiori ai cinque anni) non verranno più puniti, ma soprattutto perché la decisione del governo rappresenta uno schiaffo morale intollerabile soprattutto per le donne.
La depenalizzazione prevista riguarda infatti anche i reati legati a percosse, lesioni personali non gravi, stalking. E poco importa se da quest’ultimo al femminicidio vero e proprio il passo è talvolta molto breve, come l’esperienza collettiva insegna.
Le tragiche vicende di cronaca di cui siamo stati tutti testimoni impotenti nel corso degli ultimi anni avrebbero dovuto far scattare un allarme sociale. Invece da oggi in poi i molestatori potranno continuare ad agire indisturbati, con la certezza che i loro gesti non verranno ritenuti penalmente rilevabili.
A cosa è servito allora esortare le donne maltrattate, picchiate, perseguitate da stalkers (e quindi vittime potenziali di omicidio) a vincere remore e paure accettando di denunciare i propri persecutori?
Che senso ha, oggi, segnalare gli abusi alle autorità sapendo a priori che quanto esposto non avrà seguito e verrà archiviato?
Nessuno nega che in alcuni casi le pene inflitte ai colpevoli si sono effettivamente rivelate sproporzionate rispetto alla vera entità dei fatti contestati e che in altri invece i reati sono rimasti impuniti (per errore o prescrizione).
Sbagliare è umano, si sa: ma la depenalizzazione appena stabilita nelle aule del potere varca ogni limite di comprensibilità e non è certamente indice di un semplice errore di valutazione.
La legge non può considerare “inoffensivo” chi si ostina a pedinare, controllare, perseguitare, minacciare qualcuno per ragioni impensabili, ammesso che ce ne siano.
Non è plausibile che le donne si ritrovino ancora una volta imprigionate in un maglio di crudeltà costituito ora di decreti legge e buonismo di facciata che appellandosi a una sorta di clemenza generalizzata è pronto a sacrificare le libertà individuali per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario.
Il silenzio con cui il mondo femminile stesso, le associazioni antiviolenza, i gruppi femministi hanno accompagnato la notizia è semplicemente inammissibile. Nessuna reazione, nessuna protesta, nessun segno di indignazione. Nemmeno tra le parlamentari.
In un modo o nell’altro pare che la violenza di genere debba continuare a restare confinata nell’ambito del privato: una faccenda circoscritta ai singoli insomma, quindi non meritevole di attenzione generale nè tantomeno di monitoraggio costante da parte di istituzioni preposte a compiti di ben altra entità.
Solo qualche decennio fa le reazioni popolari non si sarebbero fatte attendere troppo. Adesso domina l’indifferenza dettata dall’imperativo individualista.
Si tratta di un’ennesima retrocessione nel contesto del rispetto umano ma soprattutto nel cammino verso l’uguaglianza degli individui. Tutti indistintamente. Donne comprese.