Almeno una volta tutti noi dovremmo andare ad Auschwitz, una volta almeno si dovrebbe andare, e rimanere muti.
di Giulia Basile
Una poesia scritta 16 anni fa
Almeno una volta tutti noi dovremmo andare ad Auschwitz, una volta almeno si dovrebbe andare, e rimanere muti.
Perché l’orrore, anche solo immaginato, non trova parole, è come una tempesta che ti tappa la bocca e anche il respiro fa fatica ad uscir fuori. Ma quando la tempesta passa, siamo portati a dimenticare. Per il nostro equilibrio emotivo è un bene, ma è un male se guardando i danni di quella tempesta, non ci sentissimo spinti a guardare al futuro, perché la vita che è in noi deve essere e più forte e spingere avanti. Una cosa perciò è importante: non dimenticare che il nuovo che si costruisce poggia le fondamenta sul dolore e sul sacrificio di tanti e di tante cose prima di noi. Dimenticarlo e commettere gli stessi errori, quello sì sarebbe un oltraggio alla vita e un riaccenderne la morte.
Detto questo, il mio pensiero di oggi (e di sempre) contro la violenza e in modo specifico, la violenza sulle donne mi spinge a ricordare Elisa Springer, sopravvissuta ai lager, viennese di nascita ma pugliese d’adozione per aver sposato un pugliese ed essere rimasta a Manduria per 50 anni come sepolta dal “Silenzio dei vivi”. Questo il titolo di un suo libro scritto dopo anni di riflessioni sulle paure dell’uomo, sul senso della vita e sull’orrore degli internati nei vari campi di concentramento, noti e non (come quello ricordato recentemente di Ravensbrùck non lontano da Berlino, riservato alle sole donne e per esperimenti crudeli).
Un libro scritto, come lei dice, per “testimoniare a noi stessi il miracolo della vita, nata dalle macerie della morte”. Per questo il mio pensiero oggi sul Giorno della Memoria non vuole essere triste ma positivo. Sono felice di pensare ad Elisa. Ebbi l’onore di esserle amica e di ospitarla per tre volte a Noci * e a cui ho dedicato nel 1999 questi versi, quando era ancora in vita, versi che portò in giro nei suoi incontri pubblici. A lei era piaciuto questo mio accostamento dei testi sacri, l’odio tra ebrei e samaritani, superato grazie a una donna samaritana che incontra un ebreo e si salva. Ma accade nella storia anche che , così come nel nazismo, in tempi e luoghi diversi, accade che le donne diventino ancora vittime di violenza (e oggi sappiamo quante vittime miete il femminicidio) e anche se vanno al pozzo (il pozzo della città di Sicàr simbolo di luogo di pace, redenzione, condivisione) non trovano nessuno ad accoglierle. Il pozzo è vuoto, non genera più relazioni, gioia, non ci dà più quell’acqua che rende “umani” capaci di donare a nostra volta, non ci offre più quell’acqua capace di dare senso alla nostra vita, di farci scoprire ciò che può soddisfare nel profondo. Il pozzo ha perso la sua funzione di incontro e amicizia, è secco, è pieno di fango, è cimitero di armi puntate contro, di lenzuoli funebri, di genocidi vecchi e nuovi.
Ma anche lì io spero che non muoia la speranza. Perché là dove il vento sussurra MORTE, le donne possono e vogliono gridare PACE, vogliono seppellire odi e pregiudizi per intrecciare ghirlande in nuove albe di concordia e amore.
Sui sentieri del deserto che sta crescendo intorno a noi credo ancora molto nella forza della parola e nelle nuove generazioni di costruire punti d’incontro, nuovi pozzi nei deserti dell’anima, capaci di rete di relazioni sane nel mondo, e di una società più giusta.
* Come una delle referenti pugliesi di Toponomastica e come Darf, insieme alla classe III A e alla docente Angela Durante della Scuola Media Pascoli di Noci ho già inoltrato per due volte richiesta al sindaco per l’intitolazione di una strada o un luogo ameno per Elisa. Finora non erano passati 10 anni dalla sua morte, ma ora sì, e spero ci sia concessa per il prossimo 8 Marzo.
A ELISA SPRINGHER
A tutte le donne vittime della violenza fisica e morale, straordinaria e quotidiana; alle vittime dei delitti storici contro la dignità delle donne.
Le donne andarono tutte
al pozzo di Sicàr
e non trovarono nessuno.
Le brocche vuote
limaccioso il fondo
tutt’intorno i segni viscidi
della violenza.
Armi e parole roventi.
Un grande lenzuolo funebre
copriva le unioni
ricamate nel sogno.
Orme fresche di baccanali
e fosse di nuovi genocidi,
clonati da un odio antico.
Il sangue sacrificale
colava caldo sulle pietre,
ma non osava venir fuori
una sola goccia dai cuori violati.
Il vento urlava ”Morte!”
Le donne sussurrarono “Pace”.
Nessuna si spaventò:
con le braccia e le mani intrecciate
fecero vela coi loro corpi.
Volando alto
incontrarono il favore del vento.
Domani porteranno ghirlande leggere
e il sorriso buono dell’alba.(1999)
(da “Il giardino dei fiori nascosti”‒di Giulia Basile‒ Fusibilia Ed.)