Milano, 20 anni dopo Pechino – Da quella conferenza uscì la Piattaforma d’Azione, il testo politico più ricco e visionario su cui le donne si siano mai confrontate a livello internazionale.
Sala Alessi, a Palazzo Marino, 20 anni dopo. Globalizzazione, conflitti sociali, politiche neoliberiste hanno contribuito ad una radicale trasformazione del movimento Internazionale delle donne. Un confronto complesso nelle diverse realtà per ritrovare un filo conduttore e punti di sviluppo comuni in un’ottica femminista ad ampio respiro.
da http://www.z3xmi.it/
Sono trascorsi 20 anni dalla Conferenza mondiale sulle donne di Pechino, indetta dall’Onu, alla quale parteciparono oltre trentamila donne di tutto il mondo. Da quella conferenza uscì la Piattaforma d’Azione, il testo politico più ricco e visionario su cui le donne si siano mai confrontate a livello internazionale e che resta tuttora una fondamentale pietra miliare per i diritti delle donne.
Ci ritroviamo in Sala Alessi, Milano, anno 2015. Un incontro costruito e voluto fortemente dal gruppo internazionale della Casa delle donne di Milano. Buona partecipazione, età media abbastanza elevata.
Indubbiamente una buona occasione per tracciare un bilancio, disegnare lo stato dell’arte della condizione delle donne nel mondo, ascoltare le testimonianze di attiviste provenienti da vari Paesi, tra fondamentalismi religiosi, neoliberismo, espressioni diverse di patriarcato, crisi globale, insomma tra sfide vecchie e nuove.
Dopo i saluti iniziali di Francesca Zajczyk, delegata di Pisapia per le Pari opportunità al Comune, introduce Anita Sonego, Presidente commissione Pari Opportunità, ricordando cosa avesse rappresentato allora la conferenza di Pechino: uno spartiacque che segnava il riconoscimento ufficiale del ruolo delle donne nelle politiche mondiali, un punto fermo, dal quale partire per costruire un assetto mondiale diverso. Un evento che aveva sprigionato una forza e un’energia enormi, una rinnovata certezza di far parte di un movimento politico, quello delle donne, fondamentale e duraturo.
Oggi da più parti si cerca di tornare indietro, attuando una sorta di restaurazione del modello di società di stampo patriarcale, con ruoli e ordini che si pensava ormai archiviati per sempre. Invece, complici la crisi dell’ordine mondiale e la globalizzazione, c’è un pericoloso effetto backlash, con una sfida per il movimento delle donne: come agire e incidere in questo contesto difficile. La questione non ruota più solo attorno all’accesso al potere da parte delle donne. Ma si pongono due strade alternative: accedere al potere e cambiarlo, oppure cercare di scoprire ed evidenziare cosa è alla base e dietro il potere stesso. Quale crimine fonda il potere? La cancellazione delle donne, un potere che si fonda su questa esclusione. Come ci rapportiamo con questa “negazione”, annullamento delle donne? Secondo Anita Sonego occorre mantenere lo sguardo lucido di Medea di Christa Wolf, le donne prima e dopo Pechino ci siano da guida con la loro lucidità.
L’europarlamentare Eleonora Forenza interviene con un messaggio video: richiama la mercificazione dei temi di cura e e relazioni, il gender gap, la disuguaglianza strutturale, i contenuti della recente Risoluzione Tarabella. Tante le strategie che noi donne mettiamo in atto per resistere alle varie forme attraverso le quali il patriarcato cerca di affermare se stesso e le sue regole.
Cecè Damiani presenta il percorso di nascita della Casa delle donne di Milano. Traccia il percorso delle cinque conferenze mondiali sulle donne http://it.wikipedia.org/wiki/Conferenza_mondiale_sulle_donne, da quella di Città del Messico del 1972 all’ultima nel 2000 a New York.
Viene evidenziato un ruolo marginale dell’Italia nelle varie esperienze internazionali del movimento delle donne, con partecipazioni che sono rimaste individuali e non hanno creato un percorso condiviso. Manca ancora una strategia comune e sostanzialmente la capacità di affrontare e risolvere il dissenso con il risultato finale di incidere meno, di non raggiungere gli obiettivi, di subire la leadership maschile, che tende inevitabilmente a lasciarci nell’invisibilità.
Pechino suggeriva un metodo ben preciso: pensare globalmente, agire localmente. Ci si chiede quanto le reti internazionali tra donne abbiano funzionato e spinto verso soluzioni concrete.
Gli spazi di azione aperti da Pechino, sembrano essersi chiusi.
Oggi il movimento ha cambiato forma, metodi di intervento e leadership, agisce attraverso mille rivoli disseminati sui territori, concentrato su singole tematiche, interessi e aspetti sviluppatesi più su realtà locali piuttosto che da forti movimenti unitari femminili.
L’economista e attivista per i diritti delle donne Peggy Antrobus interviene in un video, in cui traccia l’importanza delle conferenze degli anni ’90 per aver portato nelle agende politiche il tema dei diritti delle donne come diritti umani. https://youtu.be/WIKCDws4KoE
Marina Sangalli sottolinea l’importanza di riaffermare gli impegni tracciati a Pechino, per evitare un pericoloso rollback, una retromarcia verso nuove forme di patriarcato.
Al tasso attuale dei cambiamenti culturali, quanto detto a Pechino potrebbe diventare realtà non prima di 80 anni. Non proprio pochi. Il cambiamento è demandato alle organizzazioni della società civile, chiedendo ai governi di creare il contesto favorevole e finanziamenti per consentire che ciò accada. http://casadonnemilano.it/marina-sangalli-20-anni-dopo-pechino/
Justa Montero, ha fatto un intervento energico, tosto, denso di temi. La libertà femminile è sotto attacco da più versanti: patriarcato, liberismo, fondamentalismo. La crisi sociale ambientale, economica e democratica ha effetti devastanti sulla vita delle donne. È un fattore che moltiplica le disuguaglianze, precarizza la condizione delle donne. Basti pensare alle percentuali di disoccupazione giovanile, le problematiche delle lavoratrici immigrate che mantengono a distanza le proprie famiglie, alla violenza sessuale e domestica, al processo di rientro nella famiglia per sopperire alla mancanza di servizi di cura. Tutti fattori che segnano un emergente ritorno alla responsabilità prevalentemente in capo alla donna della gestione della vita domestica, un lavoro invisibile e gratuito. La precarizzazione della condizione delle donne non solo nel mondo del lavoro, pienamente in linea con quella che Montero chiama la economia del rebusque (temporanea, precaria). Così le percentuali di persone che lasciano il lavoro retribuito per accudire un familiare sono maggiormente femminili. In questo quadro, diritti e sentimenti che spingono le donne alla cura si contrappongono. Si produce un tipo di lavoro “naturalmente” assegnato alle donne. Questo sistema porta a una invisibilizzazione delle donne, della loro condizione economica e generale. C’è tutto un bagaglio culturale che permette di considerare “naturale” questo assetto.
Un altro tema centrale è l’aumento della violenza tra persone giovani, con un ritorno a una pericolosa idea di amore romantico, che apre le porte anche a forme morbose di rapporti, che vedono al centro un’idea di possesso della donna, che nulla hanno a che fare con l’amore.
Le femministe spagnole hanno dimostrato di essere in grado di creare un fronte compatto per opporsi ai disegni del governo in tema di autodeterminazione, per affermare i propri differenti modi di vivere, identità sessuali, scelte sulla maternità. La mobilitazione #YoDecido ha vinto la sua battaglia per dire no a un tentativo di tornare a controllare le donne e i loro corpi. Il femminismo è in prima linea anche per trovare soluzioni per superare l’attuale crisi. Le piazze spagnole hanno dimostrato che ci sono persone piene di speranza, disposte a impegnarsi in prima persona per ottenere un cambiamento.
Un quadro nuovo, composto dalle donne immigrate, nuovi attori politici, nuove istanze, liste elettorali in ordine alternato di genere, fanno sperare in un superamento della crisi democratica, che è crisi di rappresentanza politica.
L’intervento di Montero si chiude con un meraviglioso augurio: “La revolución será feminista o no será”, oggi è il nostro tempo, e che il cambiamento sia effettivo per le donne!
Mona El Tahawy, giornalista e attivista egiziana, ha raccontato la situazione egiziana a partire dalle proteste di piazza Tahrir, con i diritti umani fortemente limitati, le violenze sulle donne (pubbliche, anche durante le proteste, sui mezzi, per le strade, e domestiche), le coperture di questi crimini e le connivenze con chi li commette da parte delle forze dell’ordine, la difficoltà di essere attivista in un contesto illiberale, in uno stato fortemente militarizzato, una magistratura che non applica le leggi. Le proteste chiedevano maggiore libertà, anche per le donne.
Ricordiamo tutti l’uso della violenza sessuale come strumento politico contro le donne nel corso di manifestazioni e proteste, che risale al 25 maggio 2005, una giornata ricordata come “mercoledì nero”. Così come non possiamo dimenticare la prassi dei test di verginità sulle donne che protestavano.
Le condizioni delle donne sono pessime e permangono forti disuguaglianze tra uomini e donne.
Altra questione è la pratica delle mutilazioni genitali che continua ad essere diffusa.
Ahlem Belhadj, ex presidente dell’associazione tunisina donne democratiche (ATFD) ha parlato del ruolo delle donne negli anni della lotta per l’indipendenza (1956), fino ad oggi, contro i fondamentalisti. Si è soffermata sulle forme di resistenza messe in atto dalle femministe: richiesta di parità nelle liste elettorali, diritto al lavoro, lotta alla corruzione, maggiore giustizia sociale. Oggi la lotta si rivolge contro ogni forma di violenza, terrorismo, contro il patriarcato, lo sfruttamento messo in atto dal capitalismo e dal neoliberismo.
Jasmina Tešanović, scrittrice, regista e femminista serba, ci ha portato l’esperienza delle Donne in Nero di Belgrado, movimento pacifista, contro ogni forma di militarizzazione e violenze, che si batte per un recupero delle storie delle donne, che durante gli anni della guerra (quest’anno cade il 20° anniversario del genocidio di Srebrenica) furono vittime di stupri, violenze e rese profughe. La Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja nel 2007 ha riconosciuto il crimine di genocidio perché “l’azione commessa a Srebrenica venne condotta con l’intento di distruggere in parte la comunità bosniaco musulmana della Bosnia-Erzegovina”. Le donne sono state il vero motore di pace.
Ha chiuso gli interventi del mattino Berit As, norvegese, fondatrice dell’Università delle donne nordiche ed ex parlamentare.
Uno spaccato di una mattina proficua da completare con la visione dei lavori del convegno sul sito della Casa delle donne di Milano, sarà pubblicato a breve. Sarà fondamentale leggere i risultati di questo convegno internazionale, per comprendere cosa è nato dal confronto delle diverse esperienze. Per tradurre in pratiche concrete di cambiamento quanto espresso in sala Alessi. Questo è il primo, personale, auspicio.
Unico rammarico: pochissime presenze di una generazione, la mia, che all’epoca di Pechino era in piena adolescenza o giù di lì. Così per le successive. Si pone il problema, fondamentale, di come passare il testimone tra la generazione di Pechino e le nuove.
Così come permane la sensazione che “i femminismi del 2000” fossero fuori, da altra parte. A testimonianza e a conferma di come ci siano dei luoghi diversi di azione e delle modalità differenti. Auspichiamo quindi la capacità di sapere interpretare e creare vasi comunicanti.
Parola d’ordine: apertura!