Il 24 aprile scorso si è svolto a Padova presso la sede dell’università il seminario didattico-partecipativo “Siamo le parole che usiamo. Quale genere di linguaggio per un linguaggio di genere?”.
di Julia Di Campo e Nadia Cario
L’evento è stato voluto fortemente dall’Associazione Nazionale Toponomastica Femminile che ha fatto parte del comitato organizzatore assieme al CIRSG (Centro Interdipartimentale di Ricerca e Studi di Genere – Università di Padova), il CUG (Comitato Unico di Garanzia – Università di Padova), la Commissione per le pari opportunità e la parità di genere e infine l’Osservatorio di Ateneo per le pari Opportunità (Università di Padova).
Una sinergia di intenti che ha visto la collaborazione operativa di diverse realtà che da tempo lavorano per promuovere le pari opportunità e le questioni di genere riunite, in questo caso, per raggiungere degli obiettivi comuni. Finalità della giornata era quella di coinvolgere insegnanti delle scuole di qualsiasi ordine e grado, studentesse e studenti, docenti universitari e personale tecnico amministrativo dell’Ateneo, componenti degli ordini professionali, giornaliste e giornalisti, lavoratori e lavoratrici della pubblica amministrazione per stimolare un dibattito intorno ad un argomento che sempre più richiede una riflessione pratica: l’uso della lingua italiana spesso considerata a torto come strumento neutro.
Partendo dall’ipotesi che le parole costruiscano la nostra realtà e quindi, se usate in modo appropriato, possano essere uno strumento contro le diseguaglianze, tenendo conto del percorso storico in merito, il cui testo di riferimento è senza dubbio Il sessismo della lingua italiana di Alma Sabatini e le Raccomandazioni pubblicate nel 1987 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, scopo della giornata era quello di incentivare l’uso a tutti i livelli di un linguaggio di genere al fine di produrre un cambiamento.
A portare il loro contributo in merito studiose e insegnanti, ricercatrici e persone provenienti dal mondo politico, studentesse e studenti. Tutte persone che hanno accettato l’invito a partecipare con entusiasmo condividendo le loro diverse competenze ed esperienze e provenienti da diverse parti d’Italia. In effetti il seminario ha avuto un riconoscimento a livello nazionale anche da parte del MIUR che ha rilasciato l’esonero dal lavoro per le/gli insegnanti. Le relatrici, tutte donne, che hanno animato il dibattito meritano una menzione in questa sede: Giuliana Giusti Professoressa Associata di linguistica presso l’Università Cà Foscari di Venezia ha aperto il dibattito affermando che la lingua aiuta a costruire la propria identità, (..) in realtà utilizzare un linguaggio di genere è urgente perché il linguaggio forma degli stereotipi inconsci. La lingua è uno strumento inconscio e quindi è molto difficile riflettere e mettere in discussione i propri comportamenti linguistici e quello degli altri. Alcuni pensano che cambiare potrebbe essere costoso, ma rispondo subito che il cambiamento del linguaggio è a costo zero perché non si tratta di riscrivere ciò che è stato scritto finora.
Si tratta di porre le basi affinché da oggi in poi qualunque istituzione e organo scrivano facendo emergere le presenze femminili (…) modificando i modelli e i testi che verranno da ora in poi utilizzati. Franca Bimbi Sociologa fa parte del Consiglio di amministrazione dell’Università di Padova è stata presso la Camera dei Deputati presidente della 14° Commissione permanente sulle politiche dell’Unione Europea, ha richiamato alla responsabilità che deriva dalla presa di parola e dal fatto che siamo noi responsabili della lingua. Maria Pia Ercolini , fondatrice a livello nazionale del gruppo Toponomastica Femminile, insegnante nelle scuole superiori di Roma, cura la didattica scolastica in una prospettiva di genere, attraverso splendidi richiami a Italo Calvino delle “Città invisibili”, ha portato l’attenzione sull’invisibilità delle donne nella toponomastica delle città, nella genealogia e nella segnaletica stradale, affermando che la memoria femminile è quasi inesistente. Un segno evidente di ciò è che per esempio i luoghi di tutte le città italiane richiamano ed evocano prevalentemente nomi maschili. Secondo la sua opinione non bastano le norme che permettano un maggior inserimento delle donne nei luoghi decisionali ma, è indispensabile cambiare l’immaginario. Angelica Mucchi Faina, psicologa Professoressa Ordinaria presso diversi atenei italiani si occupa nei suoi studi di forme dirette e indirette di pregiudizio nei confronti di gruppi minoritari, ha riflettuto con l’aiuto di alcuni esiti sperimentali di ricerca dimostrando come non sempre l’uso di un vocabolo declinato al femminile conferisca la stessa autorevolezza del maschile. Questo è l’esempio di alcuni termini che indicano professioni per i quali si ricorre spesso ai suffissi in –essa .Secondo la ricerca presentata lo status percepito utilizzando per esempio il termine professoressa rispetto a professore non è lo stesso. Dello stesso avviso Elisa Merkel psicologa e ricercatrice nel suo dottorato ha approfondito le questioni relative al linguaggio di genere secondo le sue ricerche un termine come “avvocata” riscuote maggior prestigio rispetto ad “avvocatessa” o ancora “sindaca” invece di “sindachessa”. Proprio Silvia Conte, Sindaca del Comune di Quarto d’Altino (Venezia), nota per avere siglato un decreto che promuove l’uso della lingua italiana attento al rispetto delle differenze di genere tale da rendere visibile la presenza delle donne nelle pubbliche amministrazioni, ha portato la sua esperienza diretta dimostrando come una pubblica amministrazione possa adottare a costo zero e con grande beneficio della comunità un uso più equo della lingua. Da quando si fa chiamare Sindaca le bambine di Quarto d’Altino hanno cominciato a giocare ad un nuovo gioco: fare la Sindaca!
Gli interventi sono proseguiti con il contributo di Monia Azzalini, ricercatrice presso l’osservatorio di Pavia responsabile della sezione comunicazione e genere, secondo la quale i media continuano a veicolare stereotipi “sottili”, le donne vengono ridotte a “stereo-tipe” nonostante, oggi, la loro presenza come newsmaker sia salita al 32% in Italia. Irene Giacobbe, socia fondatrice di numerose associazioni italiane tra cui “differenza donna” e “pari e dispare”, giornalista appartenente all’Associazione GiULiA, ha dimostrato come le istituzioni quali Senato, Camera dei Deputati, Ministeri non adottino esse stesse un linguaggio di genere seppure caldeggiato in numerosi provvedimenti. Nadia Cario, referente regionale dell’Associazione Nazionale Toponomastica Femminile da sempre impegnata e attenta alle questioni di genere e legate alla promozione dell’uguaglianza e tra le promotrici del seminario, nella sua analisi è partita invece dall’urgenza che i diversi Ordini professionali, Giornalisti, Psicologi, Avvocati per esempio, prevedano di adottare un linguaggio paritario che disveli anche la componente femminile. Nella sua analisi ha offerto una panoramica di come spesso nei quotidiani le cariche declinate al femminile vengano utilizzate in maniera denigratoria. In alcuni casi le informazioni vengono distorte anche attraverso un uso scorretto della lingua italiana che influenza il pensiero di chi legge. Cecilia Robustelli, docente presso l’Università di Modena e Reggio Emilia è componente esperta nominata nella Commissione sul linguaggio di genere presso il Consiglio dei Ministri, ha ricordato come l’impronta negativa di alcuni termini professionali declinati al femminile abbia una lunga storia risalendo già ai primo del Novecento con le prime critiche rivolte da alcuni giornalisti nei confronti di alcune donne che avevano tentato un’ascesa in politica.
Il dibattito è stato coordinato nel mattino da Alisa Del Re studiosa senior presso il Dipartimento di Scienze Politiche Giuridiche e Studi Internazionali e il CIRSG e nel pomeriggio da Claudia Padovani ricercatrice universitaria confermata presso lo stesso Dipartimento e direttora del CIRSG- Università di Padova.
Il seminario ha ottenuto inoltre i patrocini del Comune di Padova, della Provincia e della Regione Veneto e della Commissione pari opportunità regionale. La partecipazione diretta delle istituzioni e il consenso ottenuto hanno permesso di avviare i lavori partendo da una riflessione comune: l’uso quotidiano della lingua italiana può agire in due sensi opposti o di rafforzamento o di messa in discussione di pregiudizi e stereotipi.
Il seminario non è stato ideato per essere un evento singolo, la giornata è stata pensata per aprire nuove strade all’introduzione concreta di azioni positive attraverso la successiva produzione di linee guida da utilizzare, per esempio, nell’Ateneo patavino e incoraggiare ad un uso del linguaggio in ambito amministrativo che tenga conto della declinazione di genere nel rispetto delle diversità e dell’uguaglianza.
L’evento è un esempio di incontro tra Accademia italiana e territorio, un incontro intergenerazionale che ha permesso lo scambio di esperienze, competenze, idee per tracciare insieme nuove strade possibili per la realizzazione di una migliore democrazia diretta e paritaria. Una nuova strada possibile è anche quella indicata attraverso questo seminario: l’attenzione e la cura nell’uso della nostra lingua italiana per contribuire a decostruire stereotipi sottili che persistono.