L’isolamento è l’unico modo per sfuggire al giogo della società. Nidaa per sfuggire alla guerra vive reclusa.
Nidaa Badwan (classe 1987) era solo una bimbetta di 11 anni quando i suoi genitori, di origine palestinese, decisero di lasciare Abu Dhabi e di partire alla volta di Gaza.
Nel 2000 nell’enclave scoppia la seconda Intifada: Nidaa ha uno spirito artistico, non riesce a capire la violenza jihadista e cerca di salvaguardare in qualche modo la sua libertà interiore.
Dopo gli studi alla facoltà di Belle Arti dell’Università al-Aqsa, si dedica totalmente alla pittura (il suo stile richiama i dipinti fiamminghi del XV e XVI secolo) e alla fotografia. Organizza mostre ed esposizioni ovunque e attraverso il suo lavoro sembra esorcizzare lo spettro della guerra senza fine che la circonda.
Il 18 dicembre 2013 però, nel corso di un happening pubblico, viene fermata dai custodi della moralità di Hamas. Picchiata, umiliata e delusa, Nidaa decide di isolarsi dal mondo circostante per dare spazio soltanto alla propria interiorità.
Da allora vive rinchiusa in una stanza di nove metri per due.
I primi mesi di reclusione si rivelano difficili, certo; lei però si abitua presto alla nuova situazione. “L’isolamento è l’unico modo per sfuggire al giogo della società“, sostiene. “È ciò che mi consente uno spiraglio di espressione e di libertà. La camera in cui vivo è la mia fonte di ossigeno”.
Nidaa osserva il mondo dal computer.
Da oltre un anno non esce da quelle quattro mura. “Da piccola sognavo una città tutta mia. Ideavo progetti, disegnavo strade ed edifici. Sceglievo gli abitanti con cura. Ora la mia stanza si è trasformata nella città dei sogni. Ne uscirò quando quest’ultima sarà diventata splendida come la mia camera”.
Virginia Woolf non aveva forse sottolineato l’importanza di avere “una stanza tutta per sè”?