I CEROTTI SUI PIEDI D’ESTATE. IL MIO ESERCIZIO DI AUTOSTIMA E FIEREZZA
Le effimere e la fortezza
Divento un’opera d’arte, un quadro di Picasso, tutta storta tra bolle e cerotti di ogni foggia e colore sulle ferite sparse dei miei piedi nudi d’estate. Non so con fierezza procedere tutta sghemba mentre cammino e tutte le smorfie di quel barcollare sul mio volto stampano facce comiche sebbene straziate.
Perchè sulle riviste di moda non ne parla nessuno? Perchè non esiste la giornata mondiale dei piedi incerottati? E soprattutto: perchè mi sembra di essere la sola in questo zoppicare della mia dignità? Attorno a me piedi nudi bellissimi, senza stimmate, godono la nudità e non nutrono l’industria cerottificia che invece io da anni contribuisco a sostenere, soffrendo nella carne e nello spirito pene che squarciano la pelle e la mia autostima.
Dove sei femminilità in questo piegarti? Dove sei portamento in questo trasformarmi in un misto tra Bridget Jones e Betty la fea? Umiliazione e vergogna delle bolle scoppiate, dolore potente eppure senza rispettabilità. Poiché, non si puo’ negarlo, è un mistero ma così è: nessuno dà credito a quella ferita, non è rispettata come le altre: c’è più onore in un taglio quando è altrove. Ai dolori dei piedi nessuno concede riguardo.
Le ferite ai piedi d’estate sono allora… prove di fierezza.
Nessuno racconta di come si staccano in fretta e di come sia potente l’umiliazione di quando ti accorgi che stai camminando con metà che ti spunta e resta a sventolare nel vuoto, vessillo di femminilità perduta che attiri l’universo per dirgli che non c’è scarpa, neanche la più blasonata, che non ti trasformerà in…un’opera d’arte. Una creatura di Picasso.
I cerotti sui piedi, signore: li abbiamo solo noi, agli uomini sono sconosciuti. Chi di noi li porterà con onore vincerà corona e scettro.
Sì, teniamoceli con fierezza. Perché sono il segno di tutto l’investimento, non solo economico, che ognuna di noi dedica alla sua relazione amorosa con le scarpe: no, non per vanità. E’ che a noi non basta che le scarpe ci portino, vorremmo che ci rappresentassero. A loro affidiamo questioni filosofiche e psicologiche: desiderio di adeguatezza, creatività, amor proprio. Perché sì: che siano ballerine o vertiginosi tacchi, tutte dicono del nostro tentativo di… piacerci.
Allora: viva le principesse incerottate, viva le camminate sghembe.
Camminiamo dritte anche se di traverso.
Il portamento resta questione interiore.
Siamo divine… solo quando restiamo umane.