Una vita sempre in corsa quella di Luisa Rizzitelli, da atleta a telecronista a portavoce di un ministro, sempre nel settore sportivo. Ma anche attivista per i diritti civili di genere e sportivi.
Luisa classe ’69, pugliese, professionista esperta di comunicazione, marketing, eventi e relazioni istituzionali le è stato riconosciuto, nel 2003, il prestigioso Premio Marisa Bellisario. Giornalista, iscritta all’albo Giornalisti è amministratrice e proprietaria della Communis srl con la quale cura la comunicazione, media relations e social marketing per diversi clienti, tra cui la storica associazione nazionale antiviolenza Telefono Rosa. Nel corso della sua vita, ha ricoperto per 5 anni il ruolo di responsabile comunicazione dei Progetti di Italia lavoro, agenzia tecnica del Ministero del lavoro. Con Communis ha curato l’ufficio stampa per i noti rotocalchi TV7 e Speciale Tg1. Con l’emittente La 7 ha effettuato per tre anni consecutivi, le telecronache dei Campionati del Mondo di pallavolo femminile.
Appassionata di diritti civili, in particolare dei diritti di genere e dei diritti delle atlete agoniste, ha sempre fatto del volontariato un importante impegno della sua vita. E’ presidente e fondatrice di Assist, unica associazione in Europa che opera per la tuteli dei diritti delle donne nello sport, in tutte le discipline sportive. Ha ricoperto il ruolo di Portavoce della Ministra Josefa Idem, nel suo breve mandato.
Spera di sposarsi, ma sta aspettando che questo diritto le venga riconosciuto…
Che studi hai fatto? E che lavori?
Sono una che si è formata a suon di esperienze e ore di lavoro, ma anche con studi non accademici e letture di ogni tipo. La teoria è fondamentale, non si può diventare brave manager solo con l’esperienza. Nei 14 anni da pallavolista, “professionista di fatto”, ho potuto imparare a fare il mestiere di giornalista e telecronista sportiva. Poi mi sono appassionata al marketing, alla comunicazione e gli eventi: ma ho continuato sempre a studiare e lavorare.
Hai dedicato parte della tua vita allo sport. Cosa ti ha portato questo nella tua vita?
La gioia di stare insieme, di rispettarsi pur nelle differenze, di riconoscere, nella pratica sortiva, il più divertente ed emozionante strumento di educazione e crescita. Individuale e collettiva. Ma, soprattutto, mi ha insegnato a dare tutta me stessa per un risultato senza perdere nemmeno un milligrammo della mia autostima, se non lo raggiungo. Se ci pensi, è una cosa meravigliosa..
Adesso ti manca?
Si, mi manca giocare soprattutto a tennis (il mio secondo sport), ma sono stata fermata due anni fa per un serio infortunio al braccio e ora ho un cammino in salita per recuperare. Ma ci riuscirò.
Oltre lo sport si può costruire una professione. Tu cosa hai fatto?
Il tema della “dual career” degli atleti è un tema su cui in Europa si dibatte molto, in Italia quasi per niente. In Italia moltissimi atleti di buon livello non riescono a formarsi durante l’attività e, una volta finito l’agonismo di alto livello, sono in enorme difficoltà. Io ho avuto la fortuna di aver iniziato a coltivare la professione che faccio oggi, mentre ero atleta. Ma sono stata un’eccezione, non la regola.
Le donne sono tutt’oggi poco sportive? E se sì, perché?
Le donne praticano meno sport degli uomini perché le acrobazie della vita non consentono loro di dedicarsi a questo “privilegio”. Lo sbilanciamento assurdo del lavoro di cura sulle donne, il welfare inesistente, il lavoro con i ritmi degli uomini (e se non li sostieni, comunque le tue otto ore le devi fare..), spesso sono il vero deterrente alla pratica sportiva. Ed è un guaio, perché Sport vuol dire prima di tutto salute. Non a caso, le donne in Italia si ammalano più degli uomini di patologie che si potrebbero evitare, se non vi fosse una sedentarietà così diffusa.
Una donna che fa sport agonistico deve rinunciare ad essere madre?
Una donna che fa sport agonistico come attività prevalente e continuativa, è una lavoratrice, ma in Italia leggi antiche e discriminatorie impediscono che le atlete possano vedersi riconosciuto il professionismo sportivo. Tutte, dalla prima all’ultima. In pratica, una legge dello Stato, la Legge 91 del 1981, è negata alle donne e concessa invece a sei discipline sportive maschili. Una stortura inaccettabile che provoca la giungla delle “scritture private” tra atlete e club. Scritture private nelle quali troppo spesso abbiamo visto le clausole anti maternità ossia se sei incinta sei “licenziata”.
Essere sportivi ed essere tifosi. Che differenza c’è?
La parola tifo a me piace, ma solo se concepita senza travalicare i confini del rispetto dell’avversario. Lo sportivo può essere anche solo chi ama lo sport come strumento di benessere personale, ma non per questo segue, da tifoso, qualche squadra o qualche atleta. Lo pratica per sé stesso, punto.
Cosa credi debba essere fatto per avvicinare allo sport maggiormente le donne?Quello che serve per avvicinarle alla cultura, al cinema, all’arte, ma anche all’ozio: far sì che abbiano lo stesso tempo libero che gli uomini sanno pretendere per sé stessi. Per come siamo messi oggi, quindi…un miracolo o una rivoluzione. Io vivo preparando la seconda. 🙂