I bambini di oggi sono spesso figli di genitori, consapevolmente o inconsciamente, proiettano su di loro aspettative e bisogni personali.
Bambini angosciati dinanzi al rischio di non avere 10 in pagella, ansiosi dinanzi alla gara in cui necessariamente devono primeggiare, neanche a dirlo primi in tutto e a livelli agonistici, con un programma della giornata e della settimana assimilabile a quello del manager…
Questi sono i bambini di oggi. Sovraccaricati di impegni, incastrati fra scuole sempre più impegnative, fin da quella che ai miei tempi si chiamava “scuola elementare” e oggi ribattezzata “primaria”, discipline sportive (meglio se più di una), inglese, musica e chi più ne ha, più ne metta. E con un aumento crescente di ansia prestazionale fin da quando sono molto piccoli, perché troppo spesso il piacere e il gioco sono sovrastati dall’esigenza di primeggiare e di emergere.
Questi sono i bambini di oggi.
Figli di genitori che spesso, consapevolmente o inconsciamente, proiettano su di loro aspettative e bisogni personali, per cui diventa difficile definire il confine fra ciò che appartiene al genitore e ciò che riguarda il figlio, che si trova a vivere con ritmi di vita spesso troppo poco calibrati su tempi ed esigenze personali, quanto piuttosto su richieste e tempistiche adulte, per cui più si fa e si riempie, meglio è.
Purtroppo la quantità delle attività che i bambini fanno non sempre corrisponde alla qualità degli apprendimenti e della vita.
I bambini hanno anche bisogno di spazi di decompressione che possano favorire l’interiorizzazione e, quindi, l’apprendimento di ciò che hanno sperimentato e/o vissuto, oltre al fatto che è proprio il dolce far niente che stimola la creatività… Non per ultimo, i bambini hanno anche bisogno di giocare e di conoscere la vita con lo sguardo curioso, interessato e giocoso che non deve sempre essere riconducibile alla prestazione e al risultato.
Gli anglosassoni parlano di “overparenting”: atteggiamento genitoriale teso a pretendere e aspettarsi troppo da parte dei figli. “Troppe” attenzioni, troppe attività, troppe pretese…troppo in tutto e per tutto.
Atteggiamento genitoriale figlio di una società che spinge al consumismo e al fare piuttosto che a valorizzare l’essere e a coltivare lo spazio della riflessione e del pensare.
Il risultato? Partendo dal presupposto che i figli necessitano di stimoli, i genitori di oggi rischiano di cadere nell’errore di dare un eccesso di stimoli sovraccaricando i bambini, anticipando anche i loro reali bisogni e senza lasciare lo spazio per coltivare la creatività, l’attesa, la consapevolezza del bisogno e la ricerca attiva.
Allora nasce spontaneo chiedersi: l’eccesso di attività, come anche l’eccesso di giochi e la ricerca ansiosa di prestazioni elevatissime se non perfette, risponde alle esigenze degli adulti o dei figli?
Questo tipo di atteggiamento procede nella direzione esattamente opposta di ciò che dovrebbe caratterizzare il compito e il difficile mestiere dell’educatore: se è vero che “educare”, dal latino “educare”, significa “guidare”, e, quindi, definire i binari entro cui muoversi, al fine di distinguere il bene dal male, ciò che è lecito e possibile da ciò che non lo è, è altresì vero che dal latino “educere”, significa anche “tirar fuori”, cioè far emergere l’individualità intrinseca in ogni bambino.
Ciò implica vari aspetti: in primo luogo, significa accettare e accogliere la persona che è in ciascun figlio e che, in quanto altro da sé, non potrà che necessariamente essere diverso rispetto sia a noi stessi (infatti non è un nostro prolungamento) sia alla rappresentazione mentale ideale che ci siamo inevitabilmente costruiti fin dal momento del concepimento, se non prima. Inoltre implica aiutare nostro figlio ad emergere con le sue specificità e individualità, accogliendo i suoi “no” di auto-affermazione, le sue bizze e i suoi tentativi di autonomia in contrapposizione a noi, come anche atteggiamenti, comportamenti, gusti, interessi, ambizioni e percorsi di vita diversi rispetto a quelli che avremmo desiderato e ci saremmo aspettati.
Solo in questo modo possiamo educare i figli ad essere ciò che sono, a venir fuori per ciò che sono e a sentirsi amati per quello che sono.
Nella vita quotidiana, ciò significa non pretendere dai bambini che siano dei piccoli uomini, capaci di reggere ritmi propri degli adulti, sovraccaricarli di attività, seppur interessanti, senza possibilità di giocare e di annoiarsi, intimandoli di non sbagliare e di far assolutamente bene ad ogni costo…
I bambini hanno bisogno di giocare, di non avere spazi sempre e comunque programmati, di annoiarsi per ingegnarsi, di avere tempi più morbidi e calibrati su di loro, di sbagliare e di imparare dagli errori…
Perché tutto ciò sia possibile, i bambini hanno bisogno che lo schema mentale del figlio ideale lasci spazio a quello reale, a cui dare lo spazio per emergere e crescere, con la curiosità e la bellezza di veder crescere una nuova persona e una nuova individualità, rispettandone i ritmi, le esigenze e i bisogni.