La famiglia allargata è la risposta antitetica alla condanna di una convivenza infelice.
“Chi vuol muovere il mondo prima muova se stesso” scriveva secoli fa Seneca, filosofo e politico romano inconsapevole che nel 1900 il movimento delle donne avrebbe utilizzato in parte questa affermazione per motivare il rovesciamento degli assetti tra i generi.
Partire da sé ha significato mettere in moto il meccanismo del cambiamento; ovvio che sia stata la famiglia, la coppia, il nucleo del due a farne le spese per primo. Lacerazioni, divisioni, conflitti anche aspri che hanno investito tutte le persone coinvolte: donne, uomini e figlie e figli. Si è trattato di mettere in discussione ruoli pietrificati, pregiudizi ancestrali, in una parola obiettare sul potere costituito del patriarcato. Però non ci sono state solo macerie: il cambiamento ha arieggiato le pareti delle case, quelle case nelle quali, Gaber cantava, “non c’è niente di buono, quando la porta si chiude”. Da singolare, mono direzionale, eterosessuale, la famiglia è diventata plurale: famiglie, appunto.
Persino il Censis se n’è accorto, e con l’ultimo censimento le tipologie familiari censite sono state molteplici. In molte parti del paese ci si può registrare come conviventi, e in questa categoria cominciano, timidamente, a venire fuori anche le famiglie di fatto omosessuali, un dato questo che va in controtendenza rispetto alle forti pressioni integraliste, cattoliche e islamiche, che un po’ dovunque emergono con livore per tentare di limitare le libertà acquisite e i diritti civili e laici dalle donne.
La famiglia, le famiglie sono dunque lo specchio di come le nostre comunità si muovono, si trasformano, e trasformano le relazioni tra i generi, le generazioni e le culture. Muovendosi tra modernità e oscurantismo questo luogo degli affetti, della solidarietà, ma anche dell’orrore e della violenza è lo specchio dei nostri fallimenti e delle nostre virtù. Anche con la nostra rivista Marea, ben 10 anni fa, abbiamo provato a tratteggiarne le sottili sembianze di questi spostamenti, alla luce dell’esperienza di studiose, filosofe, scrittrici, ma oltre quel numero monotematico l’argomento è talmente trasversale da essere sempre sotto il riflettore. “Lo smembramento di una famiglia infelice non dovrebbe essere motivo di lacrime. E’ un cambiamento giusto e sano, e prima avviene, meglio è.” Sono parole di Ivy Compton Burnett, tratte dal suo Servo e serva, scritto nel 1950.
Compton Burnett, scrittrice inglese morta nel 1969, scrisse a lungo e solo delle sinistre tragedie, delle feroci lotte di potere, delle tirannie e dei tormenti all’interno delle rispettabili famiglie della borghesia, con uno stile segnato da un impassibile distacco e una modernità sorprendente, scegliendo titoli inequivocabili, come Fratelli e sorelle, Mariti e mogli, Madre e figlio, I grandi e la loro rovina. Non deve essere stata una delle autrici preferite dai fondamentalisti cattolici. Ed è un male, non solo e non tanto per la sua cultura generale, ma anche e soprattutto perché in quei romanzi chi legge, anche a distanza di oltre quarant’anni, riceve insegnamenti inestimabili per capire e trasformare le relazioni umane, e quelle familiari in particolare.
Prima dell’avvento di papa Francesco (di certo migliorativo rispetto al trend di Benedetto XVI), era quasi quotidiano l’attacco contro le famiglie allargate e contro il divorzio, che assieme all’aborto, all’autodeterminazione delle donne in materia di procreazione e sessualità, e più in generale alla libertà sul proprio corpo nell’inizio e nel fine vita sono stati i temi preferiti dei gravi attacchi alle conquiste laiche della società contemporanea. Non è possibile dimenticare che, parlando a un gruppo di vescovi brasiliani il papa tedesco usò parole da crociata: denunciò “un assedio alla famiglia basata sul matrimonio tra uomo e donna e la profonda incertezza diffusa nel mondo secolarizzato, specialmente da quando le società occidentali hanno legalizzato il divorzio. Il divorzio, la convivenza e le famiglie allargate rovinano la vita di molti bambini, – ha proseguito – spesso privati dell’appoggio dei genitori, vittime del malessere e dell’abbandono, e che si sentono orfani non perché figli senza genitori, ma perché figli che ne hanno troppi. La Chiesa non può restare indifferente davanti alla separazione dei coniugi e ai divorzi – ha detto ancora Ratzinger, che resta potente nelle gerarchi vaticane -, davanti alla rovina delle famiglie, e dalle conseguenze create nei figli dal divorzio.
Questa situazione, come l’inevitabile interferenza e intreccio di relazioni non può non generare conflitti e confusioni interne, contribuendo a crescere e imprimere nei figli una tipologia alterata di famiglia, assimilabile in qualche modo proprio alla convivenza, a causa della sua precarietà”. Su un punto il teorico ex papa, come chiunque osservi con attenzione i pericoli che sta correndo la società italiana, ha ragione: c’è molta confusione, specialmente tra le giovani generazioni e non solo. Confusione che origina, per usare le parole di una editorialista di Radio Maria (sì, proprio quella) dalla sempre più frequente visione ‘proprietaria’ degli esseri umani sul mondo, a scapito dell’altra possibilità di scelta: quella della custodia. “Vogliamo essere proprietari di noi stessi, delle nostre relazioni, e del mondo che ci circonda, o vogliamo esserne custodi – era la domanda?” Persino Radio Maria non deve essere stata una delle fonti predilette del pontefice tedesco e della sua scuola di pensiero, perché se lo fosse allora Ratzinger avrebbe dovuto meditare profondamente su questo interrogativo, che cito anche se lontano dal mio percorso di donna laica e femminista. Scegliere un orizzonte di proprietà sulle relazioni umane, sulla famiglia, sui figlie e le figlie, porta di fatto a supportare pratiche di patriarcato nelle quali non sono l’ascolto, i bisogni e le trasformazioni al centro del percorso, ma le regole astratte e astoriche del potere, incarnate nella legge del padre.
Praticare la custodia, invece, è una proposta sensata che muove dalla consapevolezza del limite, profondamente umano, che ci porta a riconoscere ed ammettere gli errori, cercando di porvi rimedio, per il bene comune. La famiglia allargata è la prova inequivocabile che nella vita concreta non c’è spazio per la perfezione astratta, ma che c’è, feconda e generosa, la ricerca del meglio possibile, in particolare per i bambini e le bambine che le abitano. La famiglia allargata è la risposta antitetica alla condanna di una convivenza infelice, e pericolosa, dentro una coppia bloccata dal rancore e dalla impossibilità di rifarsi una vita fuori da mura che, un tempo protettive, ora rischiano di diventare una prigione orrenda. Da questa prigione la legge sul divorzio ci ha liberate, donne e uomini, e ha liberato anche i figli e le figlie, un tempo vittime certe dell’odio potente che origina dalla schiavitù di relazioni affettive imposte.
Ma il passaggio successivo è ancora tutto da costruire. Se è vero che sono state le donne a modificare e migliorare, con le lotte per la parità e l’autodeterminazione, anche la vita maschile, ora è venuto il momento che siamo gli uomini a restituire il favore, prendendo parola. Su sessualità, violenza (la cui prima location è proprio la casa famigliare), ambivalenza e connivenza con la cultura patriarcale che ancora vede il possesso e il potere alla base delle relazioni tra i generi. Oggi, per cambiare radicalmente la visione della famiglia e sostituire una pratica di solidarietà alla crescente e malsana cultura del mercato che tracima dentro le case c’è bisogno di una forte presa di coscienza da parte degli uomini: padri, fratelli, amici, amanti, mariti, uomini che offrano pratiche nuove di empatia verso il cambiamento fecondo che i movimenti delle donne hanno immesso anche nella loro vite. Solo così, con orizzonti inclusivi e partecipati, le famiglie potranno tornare ad essere i luoghi della formazione della migliore coscienza civica e della cittadinanza positiva.
* Monica Lanfranco è giornalista, femminista e formatrice sulla differenza di genere; il suo ultimo libro è Uomini che odiano amano le donne: virilità sesso violenza: la parola ai maschi (Marea edizioni)
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