Cos’hanno in comune Margherita di Savoia e Lady Diana e qual è il loro messaggio per le donne contemporanee?
Testimonianze di sovranità femminile a Castel Savoia.
Indulgiamo all’amore per i castelli per la loro allure romanzesca, aborrendone le finalità militari. Quello costruito a Gressoney-Saint-Jean dalla prima regina d’Italia, Margherita di Savoia, in Val d’Aosta, è una dimora signorile che del castello ha conservato la foggia esteriore, come il padiglione di un’attrazione disneyana per turisti, ma è così perfettamente conservato e piacevole, che vale un’escursione. Il percorso di visita, per la cronaca, consente di godere, oltre che dei decori delle stanze e di vecchie romantiche fotografie, di un bel giardino botanico fra i boschi, e di scorci panoramici sul Monte Rosa. (Che c’entra tutto ciò con artediparte, cercheremo di spiegarlo in conclusione). Il castello ha bizzarrie interessanti, come il sistema di trasporto delle vivande dalle cucine, lontane dal corpo della dimora, e altre occasioni di curiosità. Una curiosità in fondo invadente e indelicata. Come curiosare nei cassetti di una sconosciuta.
La sensazione, forte, che ci accompagna è quella di un passato troppo prossimo. Queste stanze appartengono a una donna che ebbe certamente un ruolo storico importante, ma le sue vicende sono ancora troppo palpabili, come il lucente parquet sulla cui manutenzione uno dei visitatori del gruppo s’informa con tanto scrupolo. Il pavimento scelto dalla regina per la sua dimora fra i monti, sotto i pantofoloni blu che ci costringono a indossare sulle scarpe, è ancora troppo intatto e il tavolo da lavoro troppo lucido; cose d’altri tempi, come la toilette, sono ancora fresche e vicine. A parlarci di questa storia sarà inevitabilmente più il cuore che la testa. Dovremo mettere in moto quelle particolari antenne che in un istante ci pongono in comunicazione con chi è vissuta prima di noi, non come lontane abitatrici di mondi-altri, ma come a importanti antenate dirette, che non abbiamo conosciute.
Colpiscono le somiglianze fra la regina Margherita, osannata da Carducci – che fu repubblicano di ferro finché non la vide così “bianca e gemmata” che s’innamorò di lei – e un’altra figura della regalità dei nostri giorni, di cui sappiamo tutto persino nostro malgrado: Diana Spencer. Una somiglianza basata sul tipo fisico (bionde occhi azzurri) e sul ruolo storico: avvicinare la monarchia alle persone comuni. . Entrambe chiacchierate e sofferenti per rivalità con altre donne. Nel caso di Margherita, una splendida milanese, Eugenia Litta Visconti, patriota del Risorgimento, che la Regina si ritrovò persino tra le proprie dame di compagnia, cui sempre sorrise, assai diplomaticamente. Tutte e due preoccupate di superare il cerimoniale di corte per avvicinarsi alla gente: Margherita chiede il permesso al Re Vittorio Emanuele II, insieme suocero e zio, di salutare al balcone i sudditi osannanti, e indossa i graziosi costumi popolari delle regioni che visita. Diana accompagna i figli a scuola come tutte. Entrambe coinvolte nei numerosi impegni e viaggi in un ruolo istituzionale di rappresentanza. Entrambe omaggiate, coccolate, ammirate.
La residenza, in cui indiscretamente ci aggiriamo, è testimone anche della freddezza nei rapporti fra Margherita e il figlio, Vittorio Emanuele III (quello che regnò anche durante il Ventennio), che si intuisce dalla sua scelta di vendere a un industriale del nord una residenza che per la madre dev’essere stata tanto importante. Una freddezza, non si può non riconoscerlo, che è un po’ anche nostra. Questa Savoia compassata, avvolta nei suoi fili di perle, uno per ogni tradimento… in questa casa-castello, con il suo lusso… una donna che, rimasta prematuramente vedova del marito (ucciso dall’anarchico Bresci nel 1900), lì trascorre il tempo libero da impegni di corte, passeggia fra i boschi, evadendo dalla “gabbia dorata del Quirinale” – così dice lei – e dalle penose necessità del proprio ruolo storico e politico.
È lì forse alla ricerca del padre perduto. È infatti un amico di famiglia, il barone Peccoz a dare a Margherita l’occasione per tornare dove suo padre era già andato a caccia. Così si ama favoleggiare delle regine. Che, in fondo, siano donne comuni. Ricordate il fascino dell’Imperatrice Sissi nei popolari film ritriturato dalla televisione? E la corsa in vespa con Gregory Peck della principessa di Vacanze romane?
Belle fascinose autorevoli, Margherita e Diana, nel loro condiscendente aplomb, vittime di mariti bricconi impenitenti, s’imprimono nei cuori dei sudditi, suscitano consenso dagli irraggiungibili scranni in cui siedono ma … sono come noi. Donne. Dotate di un importante potere d’influenza e dell’aspettativa di più d’una missione caritatevole, ma senza alcun vero peso decisionale nella vita politica. Senza potere. Perché a qualcuno piacciono così. Puramente ornamentali, come le piante.
Non sapremmo se ciò sia soltanto vetero – femminismo. E neppure se quello incarnato da queste due donne non sia, al contrario, il vero enorme indiscutibile potere dell’eterno femminino. Ci tocca comprenderlo, e toccarlo con mano. Tutto questo, questa idea, intendiamo, è ancora così viva, presente e vicina, che nessuna di noi se ne può chiamare fuori. Lo dimostra, appunto, l’ossessione amorevole di tante e tanti per Lady Diana.
Il potere di queste donne, il piedistallo da cui suscitano amore e ammirazione, sta nel costruirsi con fantasia e ingegno. Nell’edificare per sé il proprio mondo. Perciò vi proponiamo di entrare, in punta di piedi, nel castello di Margherita, la trisnonna d’Italia, non per giudicarla, cosa che sarà fatta dalle storiche e dagli storici in un tempo futuro, ma per carpirle il segreto di un intimo lavorio, che può essere a volte ispirato dalla ricerca di un bene irrimediabilmente perduto – nel caso di Margherita, l’amore per il padre morto nella primissima infanzia – che conduce all’impresa di tagliare su misura per se stesse abito e abitazione, vita e lavoro, amicizie e amori.
Il potere sovrano è costruire se stesse, con solida convinzione del proprio valore, con fiducia nel bene prezioso della vita. Costruire intorno a noi stesse una dimora, cioè, per traslato, un ambiente e una vita di relazione, che siano precisamente ciò che vogliamo, questa è l’opera d’arte cui tutte possono mettere mano. Ciascuna a suo modo, nella sua epoca e nel suo mondo. E non c’è dubbio, in questo senso anche noi regniamo. A questo servono certe (tris)nonne: a ricordarci che possiamo.