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    Home»Costume e società»Vespe amiche
    Costume e società

    Vespe amiche

    Graziamaria PellecchiaBy Graziamaria Pellecchia31/08/2015Updated:29/07/2019Nessun commento7 Mins Read
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    vespe
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     In un’estate torrida anni cinquanta presso una fontanella di città in un rione popolare a due passi dal Lungomare di Bari

     

    Da un mese a Bari e dintorni non si vedeva una goccia d’acqua: era un’estate secca e caldissima.  Alcuni ottimisti  dicevano che tanto, l’estate, si sa, dura poco.  Ma, appena potevano, anche loro scappavano, verso il mare, con i bambini stipati in vecchie macchinine fra  ombrelloni, focaccia e anguria.  Queste auto da vacanzaingiornata, negli anni cinquanta si riconoscevano benissimo perché dai finestrini   sporgevano quasi sempre  manine e gomiti alla ricerca di un alito di vento, ovviamente i condizionatori non erano stati ancora inventati, né per le auto e neanche per le abitazioni!

    Per le piante e gli animali la situazione era più tragica. Le palme dei giardinetti non soffrivano molto, ma le siepi di pitosforo erano polverose e rinsecchite, i gatti si vedevano solo dopo il tramonto. Le  vespe vagavano qua e là intontite, senza nemmeno più la forza di pungere, alla ricerca di quel poco che l’ aridità  della stagione poteva consentir loro di succhiare. Sembrava quasi che quell’anno in giro ce ne fossero più del solito.

    Già, le vespe: un bel problema!

    Non sono soltanto uno dei tanti  insetti estivi, sono particolari: il loro corpo è  quasi  diviso in due dal famoso “vitino di vespa”.  La prima parte del corpo, comprende la testa e  ha un pungiglione, la seconda parte del corpo è gialla e nera e trema, come fosse sempre in bilico.

    Le vespe assomigliano vagamente alle  api, per dimensioni e un po’ i colori, tanto che  qualcuno poco esperto  confonde api e vespe, anche perchè entrambe  usano il pungiglione di cui sono dotate senza pensarci troppo e questo spesso contribuisce alla confusione.  Ma, sorvolando sugli aspetti comuni e  parlando di considerazione  sociale,  fra le due creature c’è proprio un abisso: le api, è vero,   pungono come le vespe,  ma almeno fanno il miele, la cera, la propoli, la pappa reale e poi  hanno un bell’alveare  ordinato, insomma, sono utili e rispettano le regole, tutte intorno alla regina, solerti e inquadrate. Le vespe, almeno apparentemente,  non fanno niente di  utile per gli umani, anzi li tormentano e anche l’alveare lo costruiscono dove capita: nei pali cavi delle pergole, sotto gli stipiti delle finestre, negli incastri delle tapparelle e,  specie nelle stagioni calde, bisogna  scacciarle in continuazione sennò si fanno la casa nella nostra casa… sembra che facciano  apposta a provocare la gente!

    Nel rione Madonnella, antico quartiere del centro barese,   l’unico posto fresco, quell’anno era un marciapiede sulla destra,  allietato da una fantastica fontanella di ferro. Talvolta i  ragazzini  andavano a giocare con la sua acqua.  I passanti  li rimproveravano, allora si poteva, tutti gli adulti avevano un potere educante universalmente riconosciuto, comunque i rimproveri erano blandi,  senza troppa convinzione, così che i monelli  si allontanavano per un po’,  ma  alla prima occasione, con la scusa di bere,  lavarsi le mani o ripulire dalla terra un ginocchio sbucciato, ritornavano.

    Davanti alla conca della fontana dopo queste scorribande   si formavano delle piccole pozze per la gioia di uccelli,  gatti e   cani randagi,  a turno.

    E… proprio queste pozze della fontanina,un giorno d’estate, furono il  teatrino di una storia particolare,  che quando ci penso ancora mi mette allegria.  Ve la racconto.

    Era un caldissimo giorno di solleone e  non c’erano in giro né bambini,  né animali.  Il rione era insolitamente silenzioso, molti abitanti erano andati fuori città alla ricerca del fresco e  altri si erano  rinchiusi nelle stanze, davanti ai ventilatori.   Così, approfittando della tranquillità,  una ventina di vespe si fecero coraggio e si precipitarono ai bordi delle pozzanghere, sicure di poter fare un bel  pieno d’acqua in santa pace:  previsione purtroppo sbagliata!

    Dopo qualche secondo arrivarono correndo alcuni ragazzini, notarono le vespe  leggermente in sospensione ai bordi delle pozzanghere  e decisero di“giocare alla caccia”.  Si armarono di tutto ciò che riuscirono trovare per terra o nelle loro tasche: sassolini, palline, cerbottane,   e  “pronti, via!”cominciarono a centrare gli obiettivi.

    Le vespe cercarono di fuggire, ma non tutte ce la fecero: quelle con le ali  bagnate  non riuscirono ad alzarsi in volo, si capovolsero per il peso dell’acqua e  iniziarono a galleggiare a pancia in su dimenando inutilmente le zampette verso il cielo.

    Una  bambina girò  l’angolo della strada.

    Da lontano  sentì i commenti e  le risate dei ragazzini. Si incuriosì, pensò di andare a vedere cosa stesse succedendo. Pensò anche che non poteva fermarsi, perchè aveva un cartoccio di pane e la mamma la stava aspettando. Non potendo scegliere fra desiderio e dovere, però, rallentò il passo e così  vide la scena.

    “…Affogano le vespe !?  Ma sono matti!    Quelle erano andate lì per bere e loro, sempre i soliti…ma  si  può uccidere qualcuno che cerca l’acqua?…E no, non è possibile! ”

    L’ indignazione crebbe in fretta, non le riuscì proprio di  frenarla, superò anche la paura del rimprovero della mamma. La bambina appoggiò il cartoccio al muro, le sue mani si sollevarono decise e le sue gambe scattarono tutte e due insieme  come frecce e  cominciò correre, correre  verso il gruppo gridando con la faccia più feroce che le riuscì di fare:  “ maledetti, lasciatele stare, ve le do io a voi!”   E giù spintoni e strattoni,  lei,  una, contro loro, tanti.

    Tutti si misero a ridere,  per quell’assurdità, tanto che neanche le  restituirono gli spintoni e visibilmente in confusione dissero:

    – “Ma che sei matta? Sono vespe, non servono a niente, pungono, bisogna ammazzarle!”

    -“ Però la  natura le ha, le haaaa… inventate !  Che diritto avete su di loro, eh? Caso mai voi fate anche peggio di  pungere, che vi dobbiamo affogare anche a voi?”

    –“ E’ fuori di testa questa, lasciamola stare che è   meglio” Conclusero i ragazzi. Ormai il gioco si era guastato e  così  se ne andarono.

    La bambina  si accovacciò presso la  pozzanghera, prese il suo fazzoletto e  lo avvicinò alle zampette delle vespe.

    Una per una le bestioline  si aggrappavano a quell’aiuto. Lei le sollevava  con cura e le deponeva sul muretto,  al sole.

    Per strada qualcuno protestava:  “ma lasciale stare, ti pungeranno. Che stupidina, facciamo di tutto per ammazzarle e tu le salvi…!”

    Ma la bambina sembrava non ascoltare, non le interessava il parere della gente e  continuava a sollevare le vespe in fretta, prima che fosse troppo tardi per loro.

    Sul muretto, al sole,  le alette   si asciugavano, le vespe   si stiracchiavano un po’ e volavano via, poi tornavano  girando qua e là quasi per chiamarsi e incoraggiarsi  l’un l’altra.  La bambina era in mezzo a questo via vai, ma  non aveva paura.

    Dopo vari salvataggi il fazzoletto  si bagnò,  le  zampette  non riuscirono  più ad  attaccarsi, così la   bambina si inginocchiò per terra e  pensò   di far salire le vespe sull’orlo della gonna, lo afferrò con due dita e lo sporse verso di loro… ma,  improvvisamente,  qualcosa  la fermò:  un bastone e dopo di questo due scarpe di tela color noisette.

    La ragazzina alzò gli occhi con aria interrogativa, ben decisa ad allontanare  con  forza  qualsiasi interferenza. Il padrone delle scarpe era però  soltanto un signore anziano che le porgeva  un giornale ripiegato,  senza dire neanche una parola.

    (Lei conosceva quell’uomo, lo chiamavano “ il professore”,  andava sempre da  solo  per strada, con aria burbera.  Talvolta rispondeva  distrattamente ai saluti, come  uno a cui  non  importa più niente).

    La bambina interpretò al volo  quel gesto,  prese gentilmente il giornale e lo usò così ripiegato per sollevare le ultime vespe, poi, sistemò ben bene le pagine  un po’ umide e  stropicciate e con un breve inchino  restituì il giornale al professore.

    Lui?

    Sorrise impercettibilmente,  toccò con due dita  la falda del  cappello di paglia,  mise il giornale sotto il braccio  e proseguì la sua strada.

     

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    Graziamaria Pellecchia

    Graziamaria Pellecchia. Nata a Bari nel1947. Ho frequentato l’Istituto commerciale e poi l’Università di Lingue a Bari. Nel 1973 mi sono sposata e ho raggiunto mio marito nel suo piccolo paese natale: Vaiano Cremasco in Provincia di Cremona . Ho lavorato a Milano negli anni settanta e poi a Monte Cremasco, per quasi trent’anni, come ufficiale demografico al mattino e bibliotecaria nel pomeriggio. Ho due figli. In pensione abbiamo deciso di stabilirci ad Adelfia, (BA) dove tutt’ora viviamo. Ho sempre amato scrivere. Penso che questo modo di raccontarci sia una delle migliori opportunità per condividere con leggerezza la nostra umana avventura.

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