In un’estate torrida anni cinquanta presso una fontanella di città in un rione popolare a due passi dal Lungomare di Bari
Da un mese a Bari e dintorni non si vedeva una goccia d’acqua: era un’estate secca e caldissima. Alcuni ottimisti dicevano che tanto, l’estate, si sa, dura poco. Ma, appena potevano, anche loro scappavano, verso il mare, con i bambini stipati in vecchie macchinine fra ombrelloni, focaccia e anguria. Queste auto da vacanzaingiornata, negli anni cinquanta si riconoscevano benissimo perché dai finestrini sporgevano quasi sempre manine e gomiti alla ricerca di un alito di vento, ovviamente i condizionatori non erano stati ancora inventati, né per le auto e neanche per le abitazioni!
Per le piante e gli animali la situazione era più tragica. Le palme dei giardinetti non soffrivano molto, ma le siepi di pitosforo erano polverose e rinsecchite, i gatti si vedevano solo dopo il tramonto. Le vespe vagavano qua e là intontite, senza nemmeno più la forza di pungere, alla ricerca di quel poco che l’ aridità della stagione poteva consentir loro di succhiare. Sembrava quasi che quell’anno in giro ce ne fossero più del solito.
Già, le vespe: un bel problema!
Non sono soltanto uno dei tanti insetti estivi, sono particolari: il loro corpo è quasi diviso in due dal famoso “vitino di vespa”. La prima parte del corpo, comprende la testa e ha un pungiglione, la seconda parte del corpo è gialla e nera e trema, come fosse sempre in bilico.
Le vespe assomigliano vagamente alle api, per dimensioni e un po’ i colori, tanto che qualcuno poco esperto confonde api e vespe, anche perchè entrambe usano il pungiglione di cui sono dotate senza pensarci troppo e questo spesso contribuisce alla confusione. Ma, sorvolando sugli aspetti comuni e parlando di considerazione sociale, fra le due creature c’è proprio un abisso: le api, è vero, pungono come le vespe, ma almeno fanno il miele, la cera, la propoli, la pappa reale e poi hanno un bell’alveare ordinato, insomma, sono utili e rispettano le regole, tutte intorno alla regina, solerti e inquadrate. Le vespe, almeno apparentemente, non fanno niente di utile per gli umani, anzi li tormentano e anche l’alveare lo costruiscono dove capita: nei pali cavi delle pergole, sotto gli stipiti delle finestre, negli incastri delle tapparelle e, specie nelle stagioni calde, bisogna scacciarle in continuazione sennò si fanno la casa nella nostra casa… sembra che facciano apposta a provocare la gente!
Nel rione Madonnella, antico quartiere del centro barese, l’unico posto fresco, quell’anno era un marciapiede sulla destra, allietato da una fantastica fontanella di ferro. Talvolta i ragazzini andavano a giocare con la sua acqua. I passanti li rimproveravano, allora si poteva, tutti gli adulti avevano un potere educante universalmente riconosciuto, comunque i rimproveri erano blandi, senza troppa convinzione, così che i monelli si allontanavano per un po’, ma alla prima occasione, con la scusa di bere, lavarsi le mani o ripulire dalla terra un ginocchio sbucciato, ritornavano.
Davanti alla conca della fontana dopo queste scorribande si formavano delle piccole pozze per la gioia di uccelli, gatti e cani randagi, a turno.
E… proprio queste pozze della fontanina,un giorno d’estate, furono il teatrino di una storia particolare, che quando ci penso ancora mi mette allegria. Ve la racconto.
Era un caldissimo giorno di solleone e non c’erano in giro né bambini, né animali. Il rione era insolitamente silenzioso, molti abitanti erano andati fuori città alla ricerca del fresco e altri si erano rinchiusi nelle stanze, davanti ai ventilatori. Così, approfittando della tranquillità, una ventina di vespe si fecero coraggio e si precipitarono ai bordi delle pozzanghere, sicure di poter fare un bel pieno d’acqua in santa pace: previsione purtroppo sbagliata!
Dopo qualche secondo arrivarono correndo alcuni ragazzini, notarono le vespe leggermente in sospensione ai bordi delle pozzanghere e decisero di“giocare alla caccia”. Si armarono di tutto ciò che riuscirono trovare per terra o nelle loro tasche: sassolini, palline, cerbottane, e “pronti, via!”cominciarono a centrare gli obiettivi.
Le vespe cercarono di fuggire, ma non tutte ce la fecero: quelle con le ali bagnate non riuscirono ad alzarsi in volo, si capovolsero per il peso dell’acqua e iniziarono a galleggiare a pancia in su dimenando inutilmente le zampette verso il cielo.
Una bambina girò l’angolo della strada.
Da lontano sentì i commenti e le risate dei ragazzini. Si incuriosì, pensò di andare a vedere cosa stesse succedendo. Pensò anche che non poteva fermarsi, perchè aveva un cartoccio di pane e la mamma la stava aspettando. Non potendo scegliere fra desiderio e dovere, però, rallentò il passo e così vide la scena.
“…Affogano le vespe !? Ma sono matti! Quelle erano andate lì per bere e loro, sempre i soliti…ma si può uccidere qualcuno che cerca l’acqua?…E no, non è possibile! ”
L’ indignazione crebbe in fretta, non le riuscì proprio di frenarla, superò anche la paura del rimprovero della mamma. La bambina appoggiò il cartoccio al muro, le sue mani si sollevarono decise e le sue gambe scattarono tutte e due insieme come frecce e cominciò correre, correre verso il gruppo gridando con la faccia più feroce che le riuscì di fare: “ maledetti, lasciatele stare, ve le do io a voi!” E giù spintoni e strattoni, lei, una, contro loro, tanti.
Tutti si misero a ridere, per quell’assurdità, tanto che neanche le restituirono gli spintoni e visibilmente in confusione dissero:
– “Ma che sei matta? Sono vespe, non servono a niente, pungono, bisogna ammazzarle!”
-“ Però la natura le ha, le haaaa… inventate ! Che diritto avete su di loro, eh? Caso mai voi fate anche peggio di pungere, che vi dobbiamo affogare anche a voi?”
–“ E’ fuori di testa questa, lasciamola stare che è meglio” Conclusero i ragazzi. Ormai il gioco si era guastato e così se ne andarono.
La bambina si accovacciò presso la pozzanghera, prese il suo fazzoletto e lo avvicinò alle zampette delle vespe.
Una per una le bestioline si aggrappavano a quell’aiuto. Lei le sollevava con cura e le deponeva sul muretto, al sole.
Per strada qualcuno protestava: “ma lasciale stare, ti pungeranno. Che stupidina, facciamo di tutto per ammazzarle e tu le salvi…!”
Ma la bambina sembrava non ascoltare, non le interessava il parere della gente e continuava a sollevare le vespe in fretta, prima che fosse troppo tardi per loro.
Sul muretto, al sole, le alette si asciugavano, le vespe si stiracchiavano un po’ e volavano via, poi tornavano girando qua e là quasi per chiamarsi e incoraggiarsi l’un l’altra. La bambina era in mezzo a questo via vai, ma non aveva paura.
Dopo vari salvataggi il fazzoletto si bagnò, le zampette non riuscirono più ad attaccarsi, così la bambina si inginocchiò per terra e pensò di far salire le vespe sull’orlo della gonna, lo afferrò con due dita e lo sporse verso di loro… ma, improvvisamente, qualcosa la fermò: un bastone e dopo di questo due scarpe di tela color noisette.
La ragazzina alzò gli occhi con aria interrogativa, ben decisa ad allontanare con forza qualsiasi interferenza. Il padrone delle scarpe era però soltanto un signore anziano che le porgeva un giornale ripiegato, senza dire neanche una parola.
(Lei conosceva quell’uomo, lo chiamavano “ il professore”, andava sempre da solo per strada, con aria burbera. Talvolta rispondeva distrattamente ai saluti, come uno a cui non importa più niente).
La bambina interpretò al volo quel gesto, prese gentilmente il giornale e lo usò così ripiegato per sollevare le ultime vespe, poi, sistemò ben bene le pagine un po’ umide e stropicciate e con un breve inchino restituì il giornale al professore.
Lui?
Sorrise impercettibilmente, toccò con due dita la falda del cappello di paglia, mise il giornale sotto il braccio e proseguì la sua strada.