Rianimare il demiurgo femminile: la maternità e i suoi numerosi e differenti interrogativi. Due mostre a Milano sulla maternità e l’arte.
SHEELA-NA-GIG, LA VECCHIA FORESTA E LE LOCOMOTIVE CON LE CALZE.
A fine agosto nella Milano ai tempi di Expo, ben due eventi artistici fanno perno sulla figura materna. E ben più di due domande c’inquietano.
Il primo: un’istallazione sonoro-visiva, in dialogo con il terzo Paradiso di Pistoletto, la creazione musicale di Yuval Avital, musicista israeliano che vive a Milano, proviene da una foresta di amplificatori, in uno spazio semibuio-accogliente, e vede la partecipazione dal vivo di lavoratrici al tombolo, e la proiezione di immagini di due grandi étoile del recente passato. Titolo: Alma mater. Chiarissima evocazione dell’Antenata di tutti noi, chiamiamola Terra-nonna, attraverso nenie e ninna-nanne di diverse culture del mondo, mixate ad arcane potenti voci della natura. Abracadabra…
Ne siamo rimaste sconcertate: una rappresentazione potente, senza dubbio, ma ci valorizza come donne e come soggetti femminili quanto viene riportato a una miticità senza storia, senza tempo, senza consapevolezza dei marxiani rapporti di produzione (ahimè, ma quando ce vò…)? Le brave ricamatrici spiegano, a chi domandi, che il lavoro lì rappresentato – come tradizione da rivalutare? come raffigurazione della dea madre tessitrice del tempo della vita? – fosse nondimeno odiosamente sfruttato. La cosa mal si presta, per noi, a sentimental-mitogenetiche rivisitazioni colte. Detto ciò, mia nonna faceva le “taralline fritte” più buone che si siano ai viste nell’orbe terracqueo. Tutte abbiamo una nonna così… ma le è riuscito d’iniziare soltanto la seconda elementare. A proposito, questa qui di fianco è la sua ricetta, scritta di suo pugno. Caro Pasolini, nel bel mondo rurale, le donne non andavano a scuola. Nutrire i ricordi o nutrire la pianetessa? Cultura barbarica matriarcale vs. patriarcato materialista 6-0 6-0?
La seconda è una vera e propria mostra, e di quelle enciclopediche, e si terrà fino al 15 novembre 2015 a Palazzo reale: è voluta dalla Fondazione Nicola Trussardi, con la curatela del neopadre Massimiliano Gioni. Titolo: La Grande Madre. Una mostra su… ecco propriamente non mi è riuscito di capirlo. E questa è un’altra domanda.
Al di là della constatazione che si orbita intorno del tema della maternità/natalità nell’arte contemporanea, e della facile critica a un allestimento sciatto e distraente, che fa di tutto per non far apprezzare opere di pur grandissimo interesse, non abbiamo veramente capito una cosa: la mostra è sulla maternità, o sulla femminilità o su tutte e due le cose insieme? E vanno confuse, distinte, sfumate… tirate col vino magari…
Ecco, fra l’altro, ciò che si legge nella guida alle opere, opuscolo molto ben fatto e coinvolgente. Ha quasi il sapore di una candida confessione:
Curiosamente, nel corso del Novecento, la rappresentazione della gravidanza da parte di artiste donne resta un soggetto piuttosto raro, quasi a suggerire che nell’arte molte artiste abbiano cercato un’emancipazione dal destino biologico della maternità.
Dove la parola più importante è “curiosamente”. Mavà?
Le madri sono donne, sicuro (ma non troppo, considerando recenti sviluppi tecnologici come la nascita di Superbabe, la prima bambina in provetta, pure ricordata in questa esposizione), ma le donne non sono solo madri.
Eppure, questa intitolazione in una mostra che vuole essere un racconto totale della femminilità artistica e delle sue tappe, dà da pensare. Vien da chiedersi anche perché ben due eventi artistici così importanti, a Milano, nello stesso momento? Che significato possiamo vedervi? Che ne pensate? No, non ditemi che è per via del tradizionale legame, che s’istaura quasi come un automatismo, fra nutrizione e femminilità, alla luce del tema dell’Esposizione universale? Un evento artistico per nulla banale, sia pure affetto da gigantismo (quasi come tutti gli eventi del genere) che mette a tema non tanto la maternità, ma la femminilità in varie e diversificati aspetti, deve intitolarsi proprio La grande madre. Mah…
Sia come sia, la mostra è un’occasione ghiotta. Da vedere e rivedere più e più volte (date le dimensioni e la ricchezza dell’offerta). La prima volta per ricucire i fili con le meravigliose personalità femminili che costruirono le esperienze più entusiasmanti delle avanguardie, del futurismo e surrealismo in particolare. Poi per vedere un film della prima regista donna in assoluto, per rendere omaggio alla creatrice del cabaret letterario, per guardare le locomotrici con calze e rossetto di Rosa Rosà. A proposito, al MIC e allo Spazio Oberdan di Milano una interessante rassegna di film sulla maternità vede sette autrici cinematografiche di tutto rispetto (pochine, ma tant’è…). Bisogna tornare per convincersi che Suzanne Duchamp era più brava di suo fratello Marcel, e per assaggiare la pappa stellare di Remedios Varo, e sentirsi dire da Luoise Bourgeois che siamo ciò che facciamo con le nostre mani. E ancora per scoprire perché la polizia interruppe alla prima mostra di Carola Rama, artista oggi quasi centenaria, chi dipingeva addirittura con un fucile, e cosa sono i disegni della vagina di Applebroog.
Non c’è che dire: una magnifica occasione per ripercorrere la storia dell’arte femminile in parallelo con la storia delle donne. Per pensare al rapporto di una donna con il proprio corpo, con la natura, con se stessa. Per zigzagare con la fantasia fra le immagini della potenza, della Jouissance e del desiderio delle donne. Delle loro rivolte e delle loro imprevedibili modalità espressive. Le grandi madri sono le grandi artiste, quando t’insegnano a essere te stessa.
Quanto a Sheela Na gig, lo vedremo alla prossima puntata, quando vi parleremo del bucato di Nancy Spero.