Per lo Stato e lo Sport italiano nessuna disciplina sportiva femminile è qualificata come professionistica. nemmeno il tennis.
Adesso proprio tutti sanno chi sono Flavia (Pennetta) e Roberta (Vinci). Il potere dell’attenzione televisiva le ha consegnate alla memoria dell’Italia sportiva e non; tutti e tutte non potremo non ricordare l’emozione di vedere queste due atlete nella Finale di un torneo di tennis tra i più competitivi e difficili al mondo: gli U.S. Open. Nessuno, nemmeno gli addetti ai lavori, nemmeno i più devoti tifosi, avrebbero potuto sognare una giornata così, per due atlete che rappresentano una Nazione più piccola di quasi tutti i 50 Stati degli States. E invece, eccole lì, una con il nome scritto per sempre sul trofeo del Torneo e l’altra con quel sorriso meraviglioso di chi sa insegnare che non solo si gioisce vincendo un torneo, ma che si può godere immensamente per aver raggiunto un fantastico secondo posto.
A tutto ciò aggiungiamo la decisione di Flavia, comunicata a sorpresa e in diretta tv, di chiudere la sua carriera. Una decisione che va solo rispettata e che ci auguriamo non debba subire una marea di pressioni da ogni direzione. Insomma una “sceneggiatura” del destino meravigliosa e che ci dice alcune cose su cui riflettere. Innanzitutto che nulla di questo risultato appartiene solo alla buona sorte. Queste due campionesse, come le loro compagne di Fed Cup Schiavone ed Errani, sono arrivate così in alto nella loro carriera sportiva grazie al talento, alla dedizione e all’umiltà di chi è disposto a sacrificare una vita per un obiettivo. Anni e anni di lavoro durissimo: ben pagato certo, ma sono sicura l’avrebbero fatto anche per poche migliaia di euro e se dite “figuriamoci”, è perché non avete mai praticato sport agonistico. Anni di rinunce e sacrifici in un sistema giuridico (statuale e sportivo) che le consegna alla Storia con l’inaccettabile qualifica di “dilettanti”. E sì: per lo Stato e lo Sport italiano nessuna disciplina sportiva femminile è qualificata come professionistica. Flavia e Roberta hanno costruito il loro percorso allenandosi e giocando 365 giorni all’anno, Flavia da tempo in Spagna, Roberta a Palermo, tra un torneo e l’altro. Sono, insomma, un esempio meraviglioso di tenacia e impegno uniti a una meravigliosa umiltà. Ma in Italia le chiamiamo “dilettanti”.
Pensavo, guardando la Finale, che il primo grande insegnamento di Flavia e Roberta è che nessun talento, nessuna straordinaria qualità fisico-atletica, nessuna condizione privilegiata può farti diventare una campionessa e un campione, se non hai le qualità che queste due donne hanno tenuto come punti fermi per tutta una vita.
La seconda riflessione, impossibile evitarla, la dobbiamo fare non solo sul successo planetario delle due tenniste pugliesi, ma su cosa lo Stato Italiano “restituisce” alle atlete che stanno costellando di successi lo Sport italiano da almeno 15 anni a questa parte.
Giusto per la cronaca, voglio ricordarvi che negli ultimi due mesi abbiamo assistito alle imprese stratosferiche di Federica Pellegrini, di Tania Cagnotto, del mitico Setterosa, delle schermitrici, delle tenniste Pennetta e Vinci, della fenomenale Nazionale di ritmica oro ai Mondiali e delle delle beacher italiane oro in un evento del Grand Slam, proprio come le tenniste. Bene, a fronte di questi successi indiscutibili, l’Italia dello Sport femminile si divide in due categorie accomunate da uno stesso paradosso: le categorie delle atlete nei Corpi militari (stipendio fisso, tutele, nessuna ansia di perdere anni di contributi..) e di quelle che non sono nei Corpi e, in comune, il paradosso inaccettabile: sono tutte dilettanti. Quest’ultima questione è talmente poco nota che in questi giorni, ma per la verità da 15 anni, sono costretta a correggere la marea di sciocchezze che i “soloni dei social” produco negando l’evidenza. La racconto ancora una volta, perdonatemi, solo in poche righe. La donne che praticano agonismo, anche se di altissimo livello.
In Italia non possono accedere alla qualifica di professioniste ma sono destinate, per legge, ad essere “dilettanti” a vita, con conseguente grave compressione di diritti fondamentali quali quelli a tutela della maternità e della malattia, ma anche l’accesso a trattamenti pensionistici nonché l’equità retributiva. E’ vero che è così anche per molte discipline sportive maschili chiamate insensatamente anch’esse “dilettanti”, ma il punto gravissimo è che, secondo quanto stabilito da CONI e Federazioni (essendo loro a decidere, come previsto dalla Legge 91 del 1981 sul professionismo sportivo) ci sono SEI discipline sportive in Italia che sono “pro”. Con un piccolo particolarino: sono TUTTE maschili. E quindi, cari lettori, il risultato è che, in Italia, esiste una Legge (quella appunto sul professionismo sportivo) a cui nemmeno la più titolata delle nostre atlete può avvalersi. Nessuna, ripeto.
In questo paradosso c’è tutta la sottovalutazione non solo delle donne, ma della necessità di riscrivere il sistema sportivo italiano, drogato da finti rimborsi spese e dall’incapacità di chiamare lavoro ciò che “prestazione lavorativa” innegabilmente è.
E badate, per ogni atleta che guadagna moltissimo e che può sopperire alla mancanza di tutele con i propri soldi o con i propri sponsor, ce ne sono mille che guadagneranno cifre “normali”, come reddito unico, per anni, costituendo un esercito di precarie invisibili e senza diritti. E senza QUELLE atlete, noi non avremmo nessuna campionessa e nessuna stella da celebrare.
DI questo e di tanto altro saranno proprio le atlete a parlare il 26 settembre prossimo a Roma, al Meeting Nazionale dello Sport Femminile. Un evento voluto da Assist Associazione Nazionale Atlete imaggiori Sindacati di atleti e atlete italiani, AIC (calcio), GIBA (basket), AIPAV (volley), AGP (pallanuoto), AIR (rugby) e AIAC (allenatori calcio) e patrocinato dal Senato della Repubblica, dal Municipio I del Comune di Roma e dal Telefono Rosa.
A parlare saranno Azzurre stellari del calibro di Tania DI Mario (capitana del Setterosa con oltre 300 presenze in Nazionale), Patrizia Panico (capitana azzurra per anni mito del calcio femminile, attualmente campionessa d’Italia in carica), Arianna Cau (astro nascente del wakeboard e dello snowboard e tra le prime al mondo in queste specialità) e Josefa Idem, da sempre a fianco delle donne dello sport, ben prima di diventare una politica e una ministra. Altre se ne stanno aggiungendo in queste ore. Ad aprire i lavori sarà la vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli e la Presidente del Municipio I del Comune di Roma, Sabina Alfonsi. A seguire, gli interventi delle atlete, dei presidenti dei loro maggiori Sindacati e dell’esperto di diritto del lavoro e diritto sportivo, Avv. Filippo Biolè.
Forse, davvero l’obiettivo di questa giornata si può sintetizzare in un claim molto semplice: vogliamo che lo Sport Femminile abbia il RISPETTO che merita. Vogliamo che l’Italia, anche nello sport, sappia rispettare i diritti delle donne.
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